L’omogeneità tra la lingua e il mondo di Patrizia Cavalli è riconoscibile ed indiscutibile. In quel microcosmo costituito dalla sua casa in via del Biscione presso Campo de’ Fiori piena di oggetti vitali, dai bar-salotto, dalle cene con gli amici, dalle amate piazze romane che accolgono i viandanti del mondo, in questo universo modellato da una vibrante inquietudine, esplode la sostanza della sua poesia, così antiretorica e de-ideologizzata, difficile da inquadrare in una scuola o in una tendenza che ne ricostruisca la genealogia. La sua è una linea espressiva che ha familiarità con la metrica classica, ma è anche immersa nel quotidiano, nella sintassi della lingua d’uso contemporanea che si colloca tra un racconto figurale e una chiara percezione di un meraviglioso, autentico esistere.
Io lo so qual è la parola giusta./ Io lo so e tu non lo sai /non lo sai perché hai paura/io lo so perché ho il coraggio./Non è mio questo coraggio/però è mio quando ce l’ho. (da Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi). È una lingua “esatta” perché in essa le cose vengono nominate per quelle che sono, senza allusioni , sottintesi o eufemismi ed arrivano come fulmini per sottrarsi ad ogni processo interpretativo, spesso anche grazie all’uso della figura retorica della tautologia.
Leonetta Bentivoglio, autorevole firma de «la Repubblica», in questo suo nuovo saggio “dedicato” mette in rilievo l’assoluta originalità della poeta umbra, la sua capacità di saldare il verso alla meraviglia del quotidiano, cogliendo tutti i riflessi della sua scrittura, gesto istintivo ed imprevedibile. Lontano da una mera ricostruzione biografica o dalla storia di un’amicizia, il suo è un tributo d’affetto, come spiega chiaramente nella prefazione, nato con l’intento di comunicare la sostanza del vitalismo esistenziale di Cavalli, la sua lezione di libertà, la limpidezza di una visione che deriva dallo stare immersi nel mondo con ironia e profondità, elementi presenti sin dalla sua raccolta d’esordio “Le mie poesie non cambieranno il mondo” (1974). Alcuni emblemi della sua poesia (corpo-semplicità-amore-musa, solitudine, ecc.) diventano nel saggio titoli di capitoli interni ,segmenti testuali che hanno il pregio di introdurre, di stimolare la curiosità e l’approfondimento, non di spiegare la sua poesia, anche se in alcuni di essi, non mancano passaggi critici. Bentivoglio affronta temi come l’indagine sul tempo ([…] Il tempo poetico di Patrizia Cavalli è sospeso. Galleggia in una dimensione autoreferenziale […], pag. 60) o l’uso della rima ([…] Patrizia sa giocare in chiave scherzosa e affettuosa con la rima, con esiti musicali […] In lei la rima è ludica e amabile, e non va presa troppo sul serio. Talvolta ha l’aspetto di un intralcio. Lei stessa dice di venirsi a trovare più volte «nell’incidente della rima». Oppure scherza, come in una filastrocca, coi propri sentimenti rimati: «Amor che fa la rima / sta un po’ meglio di prima. / Amor che rima fa / tanto male non sta. […] La rima è anche un’avventura grafico-visiva che riguarda la superficie della poesia, il suo presentarsi formalmente alla nostra lettura, e Cavalli crede nella superficie, che possiede la virtù di una concretezza prodigiosa, perché sta proprio davanti al nostro sguardo. Esiste tangibilmente […] pag. 57). La parola esatta, profonda e musicale di Cavalli (che era laureata in Estetica della musica) risuona per sottigliezza d’ingegno e vivacità di spirito. Viaggiamo, in queste pagine, nel suo complesso universo poetico, nei suoi alfabeti, nel cuore della sua esperienza di scrittura, con levità, grazie alla fertile discorsività della Bentivoglio che ci aiuta a comprendere meglio le fatiche della poeta nel cammino delle relazioni, la sua rabbia e i suoi sentimenti d’impazienza, la sua natura umorale, la metereopatia che le ha consentito di raccontare come pochi le minime variazioni della luce e del cielo, i cambi di stagione, con una certa ossessione metereologica. Rende il lettore partecipe della sua fondata percezione dell’amore, di una certa ricerca di perfezione, che si converte alla proclamazione di sé stessa come un semplice «io grammaticale» (In L’io singolare proprio mio, 1992). Qui la Bentivoglio ricorda che è la stessa Cavalli a sottolineare che l’uso della prima persona ha un esclusivo senso grammaticale: Se quando parlo dico sempre io / non è attenzione particolare e insana / per me stessa, non è compiacimento, / che anzi, io mi considero soltanto / un esempio qualunque della specie, / perché quell’io verbale non è altro / che un io grammaticale ( cit. pag.40). Certo, è indubitabile che Cavalli dica sempre io, ma, com’è stato notato, l’io singolare proprio del poeta viene assunto fino in fondo, diventa in tal misura esposto e fatto proprio, da rivelare infine la propria inconsistenza di maschera (cfr. Dattilo, 2015). È come rovistare tra le carte della poeta e scoprire pensieri e letture che hanno agito nella formazione di un percorso, come la passione per Jacopone da Todi ( ..Se fossi nata nel Duecento o nel Trecento avrei visto semplicemente la Madonna o Gesù, o il nulla mistico, e le alterazioni dei miei sensi sarebbero tutte confluite nella dottrina della Chiesa, e sarei diventata, con la disciplina, una santa o una visionaria, mentre adesso ero lì, sola con me stessa, con orpelli falsamente scientifici (cit. dal racconto Mal di testa, contenuto nel suo unico libro in prosa, Con passi giapponesi, cit.pag. 22) Anche qui Cavalli sfugge alle classificazioni: l’opera ha una struttura anarchica, costituita da un insieme di immagini e stati d’animo, riflessioni e analisi introspettive. Con la stessa andatura di un passo giapponese si avvicinerà all’esperienza dell’amore. L’intenso viaggio amoroso che compie nel corso della propria vita non contempla il concetto di coppia stabile che si configura come meramente funzionale: Conviene, è pratico / avere il fisso amore, / ci s’innamora per semplificare / e non c’è niente di meglio di un fantasma / per inghiottire ingombri e confusioni, cit. pag. 47).
Nessun poeticismo e nessun manierismo descrittivo; talvolta la forma lirica della tradizione poetica viene brutalizzata dalla verità:
Tu te ne vai e mentre te ne vai
Mi dici “Mi dispiace”.
Pensi così di darmi un po’ di pace
Mi prometti un pensiero costante, struggente
Quando sei sola e anche tra la gente.
Mi dici: “Amore mio mi mancherai.
E in questi giorni tu cosa farai?”
Io ti rispondo: “Ti avrò sempre presente,
avrò il pensiero pieno del tuo niente”.
(L’Io singolare proprio mio)
Questo niente può diventare crudele, vendicativo e rivelatore di una verità sottile. Oppure l’amore può voler dire fondersi con un fantasma che non ha nulla di umano: Mi ero incagliata dentro un cupo errore /dentro l’odore scuro del tuo corpo/dentro il silenzio del tuo cuore accorto/ IO tutti i giorni l’ho chiamato amore /e non sapevo di chiamare un morto ( cit pag. 46). Cavalli ci ha messo frequentemente di fronte ai misteri dell’amore con rara precisione filosofica rendendoci lettori consapevoli dei nostri comportamenti sentimentali e dei processi fisico-chimici che governano la passione amorosa, riecheggiando la polifonia amorosa di Saffo.
Poeta del canto ironico, di quelle repentine note sarcastiche che risuonano anche nei rapporti personali, negli improvvisi scatti creativi che la portano ad inventare di volta in volta nuove architetture linguistiche con una velocità fulminante che si sottrae ad un orizzonte panoramico e a visioni suggestive della natura ( cit pag. 35) che non viene contemplata ; piuttosto avvia una riflessione sulla condizione umana . La poesia è una forma di concentrazione illuminata che irrompe nella percezione del poeta ( cit. pag.37).
Nel nucleo più profondo della sua esperienza di scrittura, c’è una fiducia speciale nella poesia dalla misura breve anche se in Pigre divinità e pigra sorte le poesie epigrammatiche diminuiscono a vantaggio di monologhi più ampi e ragionati. In questo libro, infatti sono contenuti due poemetti, Aria pubblica, (una sorta di epistola a carattere civile) e La guardiana, (racconto figurale) che inaugurano una tendenza normalizzata nella raccolta successiva, Datura, dove le composizioni ampie e distese non costituiscono più sezioni isolate ma il sistema centrale attorno a cui orbitano le poesie brevi, (come precisa la quarta di copertina).
Il saggio è corredato sia da una bibliografia essenziale delle opere (compresi radiodrammi, libretti d’opera, canzoni) e da una ricca sezione di immagini fotografiche ( tra cui i bellissimi scatti di Dino Ignani e di Elisabetta Catalano, (fra le maggiori fotografe italiane del dopoguerra) dove dominano molti primi piani, non a caso, in quanto la poeta ha sempre scelto il volto come una delle parti maggiormente in relazione con l’identità di ciascun essere umano. IL volto è il primo elemento di riconoscibilità e specchio nel quale si riflettono, in maniera più o meno definita, le emozioni e gli stati d’animo più intimi. Il volto è un ponte tra noi e l’umanità, ma anche tra il nostro mondo interiore e quello esteriore: Addosso al viso mi cadono le notti/ e anche i giorni mi cadono sul viso. /Io li vedo come si accavallano/ formando geografie disordinate: il loro peso non è sempre uguale,/ a volte cadono dall’alto e fanno buche, /altre volte si appoggiano soltanto/ lasciando un ricordo un po’ in penombra. Geometra perito io li misuro / li conto e li divido// in anni e stagioni, in mesi e settimane. Ma veramente aspetto/ in segretezza di distrarmi/ nella confusione perdere i calcoli,/ uscire di prigione/ ricevere la grazia di una nuova faccia. (da “Il cielo”, in “Patrizia Cavalli, Poesie (1974-1992)”, Einaudi).
C’è, tra i versi di Cavalli un epigramma di settenari perfetti, un piccolo inno indirizzato alla vita, grato e pungente che porto sempre con me : Vita meravigliosa/ sempre mi meravigli/ che pure senza figli/ mi resti ancora sposa. Una dedica alla vita che va catturata, fissata in quella meraviglia che dobbiamo imparare ad esercitare , in un’ infinita sperimentazione, legati al suo filo illogico, insensato, contradditorio .
Rossella Nicolò