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L'esatto contrario. Intervista a Giulio Perrone

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cover giuliDa editore a esordiente. Dopo aver letto migliaia di manoscritti, valutato la loro pubblicazione, portato alla ribalta numerosi esordienti, alcuni dei quali diventati scrittori affermati, Giulio Perrone passa dall’altra parte della barricata e il titolo del suo primo romanzo sembra strizzare l’occhio a questo suo cambio di prospettiva, L’esatto contrario (Rizzoli, 18,50 euro, 234 pagine). Un giallo elegante, dall’impianto classico e con un’atmosfera modernissima.
Riccardo Magris, trentacinquenne romano, scrive recensioni di libri su uno scadente settimanale di nera, tifa Roma, conduce un programma radiofonico sportivo e ha un’atavica idiosincrasia per regole, imposizioni e responsabilità. Condivide il suo appartamento con Sandro e Rachele, le cui quote d’affitto servono a rifocillare le sue tasche, facendolo così arrivare alla fine del mese. Un evento di cronaca, la morte di un professore universitario, riporta a galla una storia accaduta dieci anni prima: l’omicidio di Giulia Rusconi, con cui aveva avuto un liaison, uccisa nei bagni dell’Università La Sapienza. Colpevole era stato riconosciuto il professor Morelli. Ora, dieci anni dopo, proprio il professore, uscito da poco dal carcere, è tornato alla ribalta a causa del suo presunto suicidio. Un tuffo nel passato per Riccardo che, da critico svogliato senza ambizioni, si trasforma in un investigatore privato, goffo e un po’ maldestro, deciso a scovare la verità, a costo della sua stessa vita. Inseguirà il ricordo di Giulia, cui è stato legato da un solo bacio e che non ha mai dimenticato. Troverà il suo diario che riporta particolari del loro rapporto e altri misteri collegati alla tragica fine della studentessa.
La vicenda è ambientata a Roma, anch’essa protagonista con la sua lingua viva dai toni talvolta esuberanti, con i suoi quartieri storici, come quello di San Lorenzo, e le sue monumentali rovine.
La forza del romanzo risiede nei personaggi. A cominciare dai due coinquilini di Riccardo, due personalità singolari: Sandro legge Proust tutto il giorno, senza preoccuparsi di nessun’altra attività, e Rachele arrotonda lavorando come mistress. Svolge la professione più antica del mondo, ma con alcune varianti: è sempre lei che domina, non fa sesso e lavora solo di giorno. C’è poi Italo Tucci, detto Italone, zio di Riccardo, che lo supporterà nella sua smania di verità. Sono personaggi secondari ma vivi, così veri da toccarli, e i loro dialoghi con Riccardo rivelano la complessità del protagonista, con tutte le sue contraddizioni.
Una scrittura pastosa, elegante, chiara quella di Giulio Perrone che illumina le atmosfere, talvolta cupe, della vicenda. Persino la voce dei personaggi è cristallina, come quella di Sandro raccontata da Riccardo: «Indossa la solita polo sbiadita e occupa con baldanza tre quarti di divano. Sta leggendo Proust […].
– Ti lascio con Marcel.
– Meraviglioso, replica Sandro, senza scostare gli occhi dalla pagina. Lo fa trascinando molto la O. La sua sicilianità è tutta lì».

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Da editore a scrittore. Cosa ti ha spinto a scrivere il tuo primo romanzo?
Dieci anni fa, quando ho iniziato a fare l’editore, ho messo da parte l’idea della scrittura per dedicarmi ai libri degli altri. Non è solo un lavoro a tempo pieno, ma una passione straordinaria e coinvolgente. Poi, alla fine del 2012, qualcosa è cambiato, sentivo l’urgenza e la voglia di raccontare una storia che avevo in mente, ma soprattutto di dare vita a certi personaggi. Tutto è iniziato un po’ per gioco, quasi come una piccola vacanza dalla mia attività principale, ma poi grazie anche al supporto e all’interesse di Rizzoli tutto è cambiato e ho trovato il tempo e la convinzione per arrivare fino in fondo.

La vicenda della studentessa uccisa nei bagni dell’università La Sapienza di Roma è un fatto di cronaca, rimasto impresso nella memoria di molti. Cosa ti ha colpito di quella vicenda da ripescarla per poi prenderne le distanze?
L’episodio di cronaca, cui fai riferimento, è sicuramente restato nella mente e nella coscienza di tutti però devo dire, con molta sincerità, che non ha nessun riferimento con l’episodio che inserisco all’inizio del romanzo e che dà un po’ avvio a tutto. La figura che mi interessava di più era quella del professore e da lì sono partito.

Il titolo “L’esatto contrario” rimanda al protagonista, Riccardo, e alla sua percezione di sé rispetto al mondo che lo circonda. C’erano altri titoli in ballo?
Ce ne sono stati molti, ma nessuno realmente efficace. Poi, come spesso accade, è stata un’intuizione felice (in questo caso di Stefano Izzo) a risolvere il problema. Sicuramente il concetto che esprime calza a pennello col protagonista che si sente spesso inadeguato e si scontra con personalità e personaggi molto distanti da lui.

Le descrizioni dei personaggi, da Riccardo a Italo Tucci, detto Italone, sono curatissime. Ci hai lavorato molto?
Devo dire che è stata la parte più divertente. Soprattutto alcuni personaggi collaterali che ho amato molto come Italone, ma anche Rachele e Sandro, i due coinquilini di Riccardo che sono un po’ sopra le righe. Una cosa fondamentale è stata la possibilità di “rubare” molto dalla realtà e da persone che, per un verso o per l’altro, ho avuto modo di conoscere e di studiare. Molti dei tic, delle caratteristiche e dei dettagli li devo a loro.

C’è stato un momento in cui hai pensato di abbandonare la stesura?
A metà del lavoro c’è stata una fase difficile in cui ho pensato anche di mollare. Il libro era molto diverso da come si presenta ora, soprattutto nei toni. Era un libro molto cupo con personaggi e atmosfere “nere”. Qualcosa che mi apparteneva pochissimo. Poi, grazie ai consigli di alcune persone, tra cui Mariacarmela Leto, che è stata importantissima per il libro, e dello stesso Izzo, sono riuscito a raddrizzare la barra e a portare la nave in porto.

Sei un appassionato del genere? Pensi si possa parlare di un giallo moderno, rispetto al genere originario, giunto in Italia negli anni Trenta grazie alla collana “Il Giallo Mondadori”?
Sono sicuramente un appassionato del giallo, anche se i miei riferimenti letterari sono paradossalmente molto lontani dal mio stile e dal mio modo di intenderlo. Ho scelto il genere perché credo che in questo momento sia particolarmente efficace per raccontare la realtà in cui viviamo che è piena di contraddizioni, di personalità ambigue e di uomini che vivono doppie o triple vite. In più, si tratta di un modello letterario che consente di rendere protagoniste le atmosfere, i luoghi e le città, come è stato nel mio caso per Roma.

Cosa ti piacerebbe rimanesse impresso nella memoria dei tuoi lettori?
Posso dire quello che mi sembra stia restando ai lettori che finora l’hanno letto e con cui ho parlato. Due cose mi fanno piacere: una forte empatia verso il protagonista che tutto è tranne un “addetto ai lavori” e forse proprio per questo è sentito molto vicino dal pubblico; poi i piccoli dettagli, che ho disseminato tra le pagine, piccoli flashback e peculiarità dei personaggi.

Leggendo il romanzo, si avverte un certo divertimento dell’autore mentre scriveva. È così? Avevi la trama in mente fin dall’inizio o ti sei lasciato guidare dall’ispirazione durante la stesura?
Nella seconda vita del libro, quando ho cambiato punto di vista e ho puntato sul risvolto ironico, anche se a tratti amaro, che potevano avere i protagonisti e la storia, mi sono molto divertito. La storia è rimasta quella e l’ho avuta in mente già dalle prime battute, però lo sguardo del protagonista e la sua stessa personalità sono cambiati molto nel corso del lavoro.

Hai trasformato una delle tue passioni in una professione: dieci anni fa hai fondato una casa editrice che porta il tuo nome. Bilancio?
Assolutamente positivo, nonostante la fatica e il momento difficile che passano tutti i settori, compreso il nostro. Questi primi dieci anni sono stati una bella cavalcata fatta di tanto impegno, qualche successo, diversi momenti indimenticabili e qualche intoppo dovuto agli errori che inevitabilmente si commettono. D’altronde, e per fortuna, questo è un mestiere “del fare” oltre che “del pensare”. La sua peculiarità più bella sta nel rendere concreta, in un oggetto fisico come il libro, un’idea che magari è nata sei mesi o un anno prima davanti ad una birra o in un viaggio in treno.

Hai lavorato con autori come Ugo Riccarelli, Dacia Maraini, Antonio Tabucchi, Iolanda Insana. Qual è la differenza tra collaborare con esordienti e confrontarsi con chi della scrittura ne ha già fatto il proprio lavoro?
Dai grandi, come quelli che hai citato, ai quali potrei aggiungere Raffaele La Capria, Franco Cordelli e soprattutto Walter Mauro, cui devo molto di quello che sono e che ho fatto, impari molto se sai stare in ascolto. Però l’emozione di scoprire un talento e di contribuire alla sua crescita e alla sua affermazione è il motivo per cui si fa editoria di progetto. Posso fare l’esempio di Paolo Di Paolo che è nato con noi (e ancora oggi collabora con la casa editrice) e che è uno degli autori più interessanti del panorama letterario attuale.

A volte, libri eccezionali passano inosservati e libri mediocri segnano invece un’epoca, citati continuamente da letterati, e non solo. Come comprendi, da editore, quando hai a che fare con manoscritti eccezionali e quando con testi dozzinali ma vendibilissimi?
Posso dire che la qualità, soprattutto oggi, paradossalmente, è quella che alla lunga ripaga. E lo dico perché cercare di editare prodotti mediocri e vendibili per una casa editrice come la nostra sarebbe addirittura grottesco. Non che non capiti di pubblicare qualcosa di più “leggero”, ma sempre all’interno di un contesto che possa avere una logica. E d’altronde in un mercato del libro così asfittico come quello di oggi, se c’è una possibilità, è quella di tornare a lavorare sulla bontà di quello che si offre al pubblico.

Come reputi l’attuale mercato del libro? In narrativa, contano di più le storie o il modo in cui sono scritte?
Il mercato è complesso e particolarmente angusto in questo momento. Lo spazio e la visibilità in libreria sono difficili da conquistare, soprattutto se si lavora sulla ricerca e sugli esordienti. Credo, però, che le storie e la qualità della scrittura, entrambe con lo stesso peso, facciano sempre la differenza e possano regalarci la scoperta di nuovi autori.

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