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“L’Impressioniste”, Manet e il lato epico della vita moderna

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Scriveva Baudelaire: “Un pittore, un vero pittore sarà quello che riuscirà a strappare alla vita moderna il suo lato epico, e ci farà vedere e sentire quanto siamo grandi e poetici nelle nostre cravatte e nelle nostre scarpe lucide”. Con la crisi della società francese e dopo il fallimento della Comune di Parigi del 1871, alcuni artisti si riunirono intorno alla rivista “L’Impressioniste” in cui rivendicarono la loro diversità dai pittori di storia e dai tutti i poeti dei “Salon” ufficiali. Le mostre di tale gruppo ebbero luogo in sedi diverse. Gruppo fluido, anche il programma era molto vago, fondato sul principio di libertà e sincerità di visione, nel rispetto massimo dei valori luminosi. La prima esposizione del nuovo gruppo degli Impressionisti si tenne presso un fotografo e la fotografia ha avuto una notevole influenza, attraverso le immagini talvolta sfocate e tagliate. La fotografia come la letteratura di Baudelaire e Zola ha alimentato la scelta di soggetti relativi alla vita moderna. Non più contadini, storia antica e paesaggi pastorali, ma la concreta rappresentazione di città, dei suoi caffè, dei suoi teatri e delle strade affollate, una popolazione di borghesi eleganti e donne spigliate, ballerine e fantini; ma anche emarginati, prostitute e alcolizzati. Non c’era impegno sociale o denuncia politica nella scelta di questi temi, (unica eccezione impressionista, considerevole, fu quella di Camille Pissarro attratto dalle idee anarchiche) ma affermazione del primato della visione, dei sensi. Contava l’elemento percettivo, la sensazione che registrava l’apparenza della realtà, quell’arte pura di tipo estetizzante che scrittori come Stephane Mallarmé propugnavano. Tranne Degas e Manet, legati alla pittura “di figura”, gli artisti del gruppo impressionista preferirono la pittura en plein air, da loro esaminata e portata alle estreme conseguenze, poiché tendevano a finire il dipinto nell’arco di una giornata, in un soffio, rinunciando sia alla fase preparatoria dell’ abbozzo che allo schizzo del disegno. Non era il contorno ma il colore a delineare le forme. Emblematica la figura di Manet, che formatosi in bottega e non in accademia, suscitò scandalo anche alla “Mostra dei Rifiutati”, istituita da Napoleone III per consentire al pubblico di giudicare in prima persona le opere respinte dal severissimo giudizio della giuria del Salon ufficiale. Di Manet emblematico è il legame con Emile Zola suggellato dal ritratto che nel 1868 Manet eseguì facendo posare lo scrittore nel suo atelier. Il paravento giapponese, le stampe alle pareti, probabilmente il volume di Charles Blanc mantenuto dal Zola, la fotografia dell’Olympia (altra opera dell’artista che scatenò scalpore sia per il soggetto che per il linguaggio pittorico), chiariscono i gusti del Manet. Gli effetti dei rapporti con il gruppo di pittori indipendenti, di lì a poco denominati “Impressionisti”, si notarono subito: la tavolozza si schiarì, la stesura del colore diventò più rapida, l’inquadratura dell’immagine sembrava rincorrere una convinta adesione al taglio fotografico. Tutto ciò si coglie nel dipinto In giardino, del 1870, probabilmente il primo eseguito da Manet en plein air.    

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