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L’Italia di Rocco Chinnici. Intervista ad Alessandro Averna Chinnici

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Di seguito potete leggere l’intervista fatta per Satisfiction ad Alessandro Averna Chinnici autore insieme a Riccardo Tessarini di L’Italia di Rocco Chinnici Storie di un giudice rivoluzionario e gentile (Minerva Edizioni 2025, pp. 244, € 20,00).

Rocco Chinnici di cui si celebra il centenario della nascita è un magistrato simbolo della lotta alla mafia ucciso in un attentato il 29 luglio 1983. Chinnici è stato un innovatore sia nelle metodologie di indagine sia nell’organizzazione degli uffici e si deve a lui il merito di aver scoperto e coinvolto nelle indagini contro la mafia due magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Carlo Tortarolo

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Rocco Chinnici è una figura simbolica della lotta alla mafia. Com’è stato crescere con l’ombra di un nonno così straordinario, che purtroppo non ha mai conosciuto di persona?

Crescere all’ombra della figura di mio nonno è stato un enorme stimolo per migliorarmi, ed essere all’altezza, quasi come se fosse stato stabilito uno standard al quale attenermi. Questa pressione però sono riuscito ad incanalarla su binari positivi che mi hanno permesso di ricercare la versione migliore di me e di approfondire la storia e la figura di mio nonno. Oggi, sono fieramente un Ufficiale dei Carabinieri e mi sento pienamente realizzato e felice di lavorare per il bene della società e questo è merito dell’esempio di mio nonno e degli uomini della sua scorta.

Nel libro lei racconta la vita di suo nonno non solo come magistrato, ma anche come uomo. Un uomo delle istituzioni che ha sempre fatto il suo dovere in periodi difficili, quando a fare il proprio dovere si rischiava la vita. Quali aspetti del suo carattere l’hanno colpita di più durante la sua ricerca?

La cosa più importante ch, come una impronta indelebile, mi è rimasta durante il mio lavoro di ricerca e ricostruzione della storia di mio nonno è stata la sua empatia. Mio nonno era una persona assolutamente imponente dall’alto dei suoi quasi due metri di altezza, per altro sempre in giacca e cravatta, ma al contempo dalla fortissima empatia. Era un uomo capace di comprendere perfettamente le persone e i loro stati d’animo anche senza bisogno di tante parole.

Il titolo definisce suo nonno “rivoluzionario e gentile”. Quanto contava per lui il dialogo con le persone comuni e con i giovani nella sua battaglia contro la mafia? Se suo nonno potesse parlare ai giovani di oggi, quale pensa sarebbe la sua raccomandazione principale?

Come ampiamente descritto nel libro mio nonno credeva in maniera fortissima nei giovani e nel concetto di trasmettere la cultura della legalità per “seminare” al fine di creare una nuova coscienza e una piena consapevolezza del ruolo di ognuno di noi come cittadini e consociati. Per opporsi alla mafia, il primo e più importante passo è sicuramente creare una solida e incrollabile cultura della legalità, fatta di piccoli e grandi gesti quotidiani.

L’istituzione del pool antimafia è stata una delle grandi innovazioni di Rocco Chinnici. Oltre all’intuizione di avvalersi di collaboratori come Falcone e Borsellino. Secondo Lei, quanto del suo approccio investigativo è ancora attuale oggi?

Posso affermare senza alcun timore di smentita che il lavoro portato avanti da mio nonno, il suo approccio investigativo e gli strumenti da lui creati sono al giorno d’oggi assolutamente attuali ed efficaci. È assolutamente notorio, infatti, come dalla creazione del “pool” antimafia si sia poi sviluppato gli interi concetti di “Direzione Investigativa Antimafia” e “Procura Nazionale Antimafia”. Addirittura, anche per la creazione della Procura Europea si è partiti dalla “dottrina Chinnici”.

Nel libro emergono testimonianze di familiari e colleghi. Quale racconto le ha dato più ha emozioni e perché?

Devo ammettere che in realtà sono stati tutti dei racconti emozionanti e raccoglierli in questi due anni mi ha reso ancora più consapevole e partecipe. Mi piace però citare il contributo di Rita Dalla Chiesa, per me ormai una zia acquisita, che ricorda sempre con piacere il nostro primo incontro alla Scuola Ufficiali dei Carabinieri dove le raccontai come suo padre fosse stato una luce ispiratrice che ha guidato i miei passi sin dal primo momento in cui ho scelto di entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri. Ma ci sono altri racconti come quello dello straordinario Maestro e Compositore Santi Pulvirenti, un uomo capace di far vibrare le corde dell’anima con la sua musica o quello di Rino Duca, uno chef di origine siciliana, titolare di un ristorante a Ravarino che ha esattamente colto il messaggio di mio nonno e ha deciso di dedicargli un piatto. Oppure ancora il contributo di Pif (Pierfrancesco Diliberto), capace con le sue incredibili capacità registiche e di scrittura, di far riflettere, ridere e piangere, affrontando il tema della mafia con una incredibile aderenza alla realtà.

Negli ultimi anni si è parlato molto delle infiltrazioni mafiose nell’economia legale, specialmente nella gestione di fondi pubblici e nei progetti legati al PNRR. Secondo Lei, quanto è urgente oggi seguire il denaro come faceva suo nonno, e quali strumenti mancano per contrastare questo fenomeno?

Il tema delle infiltrazioni mafiose all’interno di qualsivoglia ambito della pubblica amministrazione ove vi sia la possibilità di lucrare indebitamente è ormai purtroppo tristemente noto. Il mio modesto parere però è che lo Stato abbia tutti gli strumenti e sia ben preparato a rispondere a questi tentativi, il quadro legislativo attuale mi pare ben congeniato e adeguato alle esigenze investigative e i risultati operativi conseguiti negli ultimi anni da parte delle forze dell’ordine ne sono la prova.

Suo nonno credeva fortemente nell’importanza di parlare ai giovani per creare una nuova coscienza civile. In un’epoca in cui l’attenzione sembra spesso distratta da altre priorità, quale ruolo pensa debbano avere oggi la scuola e la cultura nella prevenzione e nel contrasto alle mafie?

Come accennavo prima: i giovani sono la base fondante su cui dobbiamo improntare la lotta alla mentalità mafiosa ed in questo è naturale che la scuola giochi un ruolo chiave al fine di ben indirizzare le coscienze ed i percorsi formativi delle nuove generazioni. Concluderò con una frase di mio nonno che ben chiarisce l’importanza delle nuove generazioni: “…senza una nuova coscienza, noi da soli non ce la faremo mai.”.

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