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Luca Doninelli. "Le cose semplici" meritano il Premio Strega 2016

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3416862-9788845277702Più che un romanzo “Le cose semplici” di Luca Doninelli (appena edito da Bompiani, pp. 840, euro 23) è il miglior libro di questo 2015. Se lo scorso anno era stato “L’inventore della dimenticanza” di Pierluigi Panza (sempre per Bompiani), Doninelli dimostra come sia giunto alla summa magistrale della propria opera in prosa.

Ambientato in una Milano apocalittica, dove cadaveri in putrefazione sono abbandonati in Duomo e “ammassati gli uni sugli altri a imputridire senza sepoltura”, dove “le vie sono ridotte a giungle di sterpi interrotti da cumuli di calcinacci” e in “un susseguirsi di ruderi scarsamente abitati”. Una Milano che, come tutta Italia, deve far fronte a un’apocalissi economica (si è tornati al baratto), energetica (elettricità e petrolio sono ormai un ricordo) e culturali (con giornali, università e fabbriche chiuse). In questo scenario desolante si muovono i protagonisti di un romanzo che riesce a coniugare, come pochi altri negli ultimi vent’anni, una trama avvincente come un bestseller a metafore e rimandi letterari di stringente attualità. Il racconto comincia nell’aprile 2039, come suggerisce l’unica indicazione temporale del romanzo (“ma potrebbe essere una data falsa”), ossia 22 anni dopo l’interruzione del mondo. Quindi oggi. E di questo presente assente Doninelli traccia tutte le coordinate di esseri umani che sono soltanto apparentemente vivi. Certo: respiriamo, mangiamo, ci vestiamo, lavoriamo, ma poi? E se a questa domanda hanno cercato di rispondere centinaia di scrittori – tutta la storia della Letteratura si muove intorno a questo quesito- ora senza dubbio siamo giunti a un punto di non ritorno. Ormai abbiamo quotidianamente rimosso il motore che dovrebbe farci vivere: non il cuore, l’ipertensione, la cura contro il cancro, ma la coscienza. Dov’è finita la nostra coscienza? Per questo “Le cose semplici” più che un romanzo apocalittico, è un romanzo sulle macerie morali, civili e culturali dei nostri giorni. “Questo signori”, scrive Doninelli, “è il regno delle chiacchiere, dei pettegolezzi, delle confidenze non richieste, delle recriminazioni fuori luogo, della maldicenze, delle supposizioni, delle ire insensate ma proprio per questo inesauribili: come diceva il filosofo Leibniz, la somma di tanti rumori impercettibili finisce per produrre un boato spaventoso”. Siamo “una torma di sciacalli tutti uguali”, continua lo scrittore, “che parlano tutti allo stesso modo, dicono tutti le stesse cose (evidentemente da qualche parte devono esistere corsi di addestramento per mentecatti) dopodiché diventiamo indifferentemente pubblici amministratori, donne di casa, assessori alla cultura, bancari, professori di italianistica, architetti, dirigenti dell’industria del formaggio molle, così, a scelta: tutti preparatissimi, tutti vanitosissimi, tutti vuoti di qualsiasi contenuto. E tutti senza il minimo barlume di personalità”. Perché esiste “una tendenza maligna al sonno dello spirito, che fa vivere gli uomini fuori dalla realtà, in un mondo completamente finto e completamente idiota. Tutta questa perfezione, tutta questa levigatezza di superfici, tutta questa armonia portano in sé le premesse dello sfacelo dell’umanità”. Certamente: queste argomentazioni procurano “angoscia, ma basta distrarsi, dimenticare. E’ quanto resta della civiltà occidentale: la dimenticanza”.

D’altro canto viviamo nell’era della rimozione: basta cambiare pagina o canale ed è “proprio così con una risata che ebbe inizio la demenza generale”.

E gli scrittori che ruolo hanno? Dove sono gli intellettuali?

La letteratura è diventata più composta, più civile più educata, più attenta ai valori condivisi. La follia è diventata l’ultima forma di dovere morale rimasta”. Come rispondere a Doninelli? Gli scrittori oggi non hanno tempo -presi come sono a formarsi come scalatorini da classifiche e da Premi letterari ormai ridotti farsa- per scrivere un romanzo magistrale come “Le cose semplici”. Un romanzo che rimanda per potenza a “Dissipatio H.G.” di Guido Morselli (Adelphi), che ricorda “Gli Angeli dello Sterminio” (Longanesi 1992), un breve romanzo di Giovanni Testori (che ha scoperto Luca Doninelli) ambientato in una Milano apocalittica dove regna proprio “la demenza generale” e che si può intendere come una evoluzione del suo romanzo del 1992 “La Revoca”.

La sola via di uscita è forse davvero, come scrive il filosofo austriaco Ivan Illich nel suo saggio del 1983 “Gender” e che Doninelli pone ad epigrafe, “l’arretramento come unica alternativa all’orrore”.

Gian Paolo Serino

@GianPaoloSerino

 

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