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Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori

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La giornata inizia molto presto. Mi entusiasma il pensiero che la sera avrò un viaggio nel tempo. Doccia e poi sveglia per tutti. A Milano fa un caldo esagerato per essere fine maggio. A questa città manca un mare, un fiume grande, penso mentre apparecchio la colazione per le ragazze.

Loro parlano a tavola e penso alla signora che mi disse che i figli ereditano le caratteristiche dei nonni. Le loro nonne hanno voci di una bellezza particolare, un timbro caldo e grave che non sente il passo del tempo, allora nelle ragazze mi sembra di ritrovare il colore della voce di mia madre, di Maria Pia. Sarà così con il naso, le mani, la linea delle gambe, le dita dei piedi.

Andiamo a scuola, vado in studio e poi, più tardi, tutto a ritroso. In serata parto verso le Gallerie d’Italia e arrivo puntuale per il primo ingresso. Scendo le scale tappezzate di rosso per lasciare lo zaino e torno su. L’anteprima di tutti gli eventi è un momento sociale, la gente va anche per ritrovarsi, per conversare. Io non conoscendo nessuno potevo guardare le sculture senza distrazioni, galleggiando in quel vociare indistinto, saltando da una nuvola a l’altra di profumo.

Nella sala centrale si riuniscono in circolo i busti-ritratti dei marmi che sono arrivati da Roma, dal Museo di Torlonia fondato nel 1875 dal Principe Alessandro Torlonia. Li guardo uno a uno ed è un attimo che ti sembra di conoscerli, di intuire il loro carattere.

Le targa con i nomi e le date indicano II secolo a.C., I secolo d.C, e così via. Quanto tempo. Conto il tempo in anni e sono tanti. Non tanti per il mondo, per l’universo, ma tantissimi per la mia piccola vita, per il mio albero genealogico che non sa nulla al di là di due o tre generazioni. Eppure guarda i loro nasi, la forma degli occhi, il mento, il collo, l’espressione della bocca. «Il corpo ha ancora tanto da raccontare» mi disse la scultrice Elena Mutinelli in un’intervista e ci penso ogni volta. Mentre Tatiana Brodatch, scultrice anche lei, mi raggiunge in sala. «Guarda le persone intorno a noi, dimentica i loro vestiti e i loro modi, guarda la materia: queste sculture potrebbero essere i loro ritratti.» Mi dice lei, che di ritratti se ne intende. Che riesce a catturare quello che rende una persona inconfondibile nell’animo e nella forma quando la guarda e la ritratta in plastilina.

Percorro tutte le sale. Trovo muse, animali e sarcofagi. Mi incanto a guardare l’Afrodite accovacciata. Le linee dolci della sua schiena, delle sue natiche, le pieghe del suo ventre, la forma dei seni, delle mani, l’angolazione in cui è girata la sua testa. Così simile e così diversa da noi, modificati da duemila anni di alimentazione, abiti, abitudini, strumenti. A volte davanti alle sculture oltre al brivido si presenta il pianto. Ti prende una nostalgia che non sai da dove arrivi. Dal futuro sconfortante che si profila per noi? Dalla pace mentale perduta nella quantità indigesta d’informazione che ci si presenta? Dal fatto che in qualche modo siamo figli loro, figli di questa Afrodite? Della bellezza e il coraggio dimenticati nell’ultimo cassetto di una scrivania?

Spesso le sculture perdono le dita delle mani, il naso, il pene. Tutto quello che tenta di uscire dal blocco di carne per entrare in contatto, per conoscere, per sentire, per fecondare. Per raccontare i corpi. Per raccontare quello che siamo attraverso il corpo, che ci è stato tramandato in quel sistema divertente di scatole con codici segreti che si esprimeranno in te come in nessun altro, che lasciamo in eredità a quelli che verrano e che forse sapranno di noi tra duemila anni, mentre li guarderemmo nascosti dietro gli occhi di un busto-ritratto in mezzo a tanti altri disposti in circolo in un Museo d’Italia un pomeriggio di un’estate impaziente.

Electa, che coordina la produzione e l’organizzazione della mostra, è anche l’editore del prestigioso catalogo, disponibile al bookshop e online.

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I Marmi Torlonia.

Collezionare Capolavori.

Gallerie d’Italia – Milano

Piazza della Scala 6

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