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Massimo Bontempelli. Vita e morte di Adria e dei suoi figli

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Vita e morte di Adria e dei suoi figli è stato pubblicato la prima volta nel 1930 da Bompiani e lo riporta adesso in libreria l’editore Utopia, che di Massimo Bontempelli sta pian piano ripubblicando tutte le opere (questa è la terza uscita, dopo Gente nel tempo e Il figlio di due madri). Operazione, questa, cui non si può che rispondere: grazie.

Adria è una donna bellissima. A vent’anni, subito dopo aver partorito il secondo figlio, decide di consacrare quel che le resta da vivere alla propria bellezza: a difenderla, farla durare, nasconderla al tempo. Per far questo si nega al mondo, all’affetto dei figli, del marito, priva se stessa di contatti fisici, se non minimi e solo quando indispensabili (una carezza, una stretta di mano, un bacio appena accennato).

A lei sono dedicate tre delle cinque parti di cui il romanzo è composto. Le altre due sono per i figli, Tullia e Remo, una a testa. Ciò che il romanzo racconta, in sostanza, è il modo in cui la follia di Adria investe e determina la vita dei figli, oltre che la propria. Il racconto procede per progressivi stacchi temporali, ad ogni nuova parte corrisponde un salto negli anni più o meno grande, che sorprende i protagonisti ogni volta diversi, più vecchi, e insieme immobili. Di tutti e tre si segue il destino, che li porta a vivere esistenze distanti gli uni dagli altri: Adria sepolta viva, isolata in un piccolo appartamento a Parigi; Remo prima in Germania e poi in Francia anche lui, a Marsiglia; Tullia in Italia, dove la sua storia personale incrocia quella collettiva con l’incombere e il compiersi della Prima Guerra Mondiale.

Quella che Bontempelli mette in scena, fin dal principio, è un’esistenza mostruosa. Adria è allo stesso tempo un angelo, una creatura quasi divina, amata e venerata da chi le sta intorno, e un mostro, piega il mondo circostante al culto della propria bellezza, lo immobilizza, lo rende irreale. Esiste in mezzo agli altri ma non con gli altri. Il suo è un esserci senza essere davvero presente. Se davvero è follia, la sua, si tratta di una follia condivisa, accettata da tutti, in certo modo anche incoraggiata. Condivisa, accettata, incoraggiata ma, è bene precisarlo, non compresa. Lo stesso autore, intervenendo qui e là nel testo, afferma di aver conosciuto la donna di cui racconta la storia e di non averla mai capita nemmeno lui che pure può infilarsi, in quanto appunto scrittore e autore, nelle pieghe più private e invisibili del racconto. E qui sta, tra le altre cose, l’incredibile modernità della narrativa di Bontempelli (ancor più incredibile se si pensa che questo romanzo ha quasi cento anni): il suo è un narratore sì onnisciente, ma di un’onniscienza vana davanti ad una realtà impenetrabile.

Tullia e Remo, gli altri due protagonisti, sono individui incompleti, figli non di una madre, ma di un’idea di madre che si fa via via più lontana e imprecisa intanto che il tempo scorre. Hanno passato gli anni dell’infanzia a spiarla, Adria, e viverla non l’hanno vissuta mai. Hanno, per così dire, camminato nella sua ombra. Un’ombra tanto ingombrante da lasciarli per sempre a metà, personaggi irrisolti. Anche una volta cresciuti, quell’ombra è rimasta lì, mai dimenticata, a infettarne le vite. C’è una scena bellissima in cui Tullia, andata a Parigi per tentare un incontro con la madre, rimane per strada, nascosta, a guardare la finestra dove spera che anche solo per un attimo Adria si affaccerà. Passa il tempo e Tullia non si accorge, è sera e poi notte e poi l’alba. Adria non si affaccia, Tullia, come uscita da un sogno va via.

È qui, in lampi simili a questo, che il lettore si dà conto dell’abisso che è la mostruosità di Adria. Quel che manca ai figli (e al marito e agli altri che l’hanno conosciuta) non è una persona, è una cosa. Una cosa meravigliosa di cui son stati spettatori e che gli è poi stata strappata via. Rincorrono la meraviglia di un oggetto, non l’affetto di un essere umano: e questo semplicemente perché Adria per tutta la vita ha negato se stessa ai movimenti interiori, alle emozioni, proprio per paura che potessero intaccarne la bellezza. Quando ne è stata sfiorata, seppure per pochissimo, ha sentito una minaccia tanto grande da rispondere con un esilio volontario in una stanza lontana dal mondo, una specie di tomba in vita.

La lingua con cui Bontempelli porta avanti la storia è una lingua senza ostacoli, che trova la sua bellezza e compiutezza proprio nella semplicità e nella velocità con cui dice il mondo e i personaggi che lo abitano. I suoi sono libri in cui si entra e si esce velocemente, brevi quando non brevissimi, ma che restano a lavorare a lungo nella mente del lettore, proprio in virtù degli enigmi, delle domande senza risposta che vi depositano dentro. Poco frequentata dai lettori, disertata dalle grandi case editrici, finalmente la narrativa di Bontempelli torna disponibile (ancora, Utopia editore: grazie), non resta che correre e leggerne più che si può.

Edoardo Zambelli

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Massimo Bontempelli, Vita e morte di Adria e dei suoi figli, Utopia editore, 2022, 160 pagine, 18 euro

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