In un non meglio precisato Nord Italia, sulle rive di un lago, anzi di un laghetto anonimo avvolto da un’atmosfera apparentemente sonnacchiosa, è ambientato “Un caso irrisolto” (Montag Edizioni, Le Fenici, 2025, pp.158), il nuovo romanzo di Massimo Pietrantoni, alla sua seconda prova sulla lunga distanza narrativa dopo Summer Sadness del 2022.
Prima avvertenza per il lettore: non tragga in inganno il titolo di chiara matrice “giallista”, infatti la storia che viene raccontata in queste pagine ha ben poco di convenzionale rispetto a quelli che, abitualmente, siamo abituati a considerare i paradigmi classici del genere, né si piega a nessuna logica del whodunit come d’istinto uno sarebbe portato a pensare. Non ci sono cadaveri, perlomeno non ce ne sono di visibili, e i morti (e/o gli scomparsi) di cui si parla sono sempre frutto di un’evocazione da parte di uno dei personaggi, spesso fugace e volutamente misteriosa. Siamo invece di fronte a quello che, senza troppi imbarazzi classificatori, potrebbe essere definito una sorta di thriller psicologico corale nel quale l’autore, fin dalle prime battute, si concentra su un serrato lavoro di analisi interiore dei singoli protagonisti, innescando spesso un intrigante “gioco degli specchi”, nella misura in cui le particolari caratteristiche di ognuno degli attori in campo si riflette sull’altro concorrendo ad alimentare lo stato di perenne tensione e incertezza che caratterizza il racconto. E questa evidente peculiarità “prismatica” ben si sposa con lo svolgimento della fabula dell’opera, il cui intreccio è giocato su continui riavvolgimenti che gli conferiscono una natura piacevolmente disorientante perché, come si potrà apprezzare leggendo, i fatti, seppur intrecciati in una trama cronologica non immediatamente lineare, nondimeno riescono a proiettarsi sempre in avanti avvincendo e spingendoci a fare varie supposizioni sulle origini e sulle reali sorti degli uomini e delle donne che ci si presentano, in un gioco narrativo nel quale, chi scrive, ha ravvisato un che di austeriano, soprattutto quello della Trilogia di New York.
Da sottolineare poi la non banale capacità da parte di Pietrantoni di adottare uno stile in cui a certe volute descrittive dal chiaro sapore lirico ed evocativo fa da contrappeso una studiata asciuttezza della maggior parte dei dialoghi, che in alcuni casi danno quasi l’idea di una sticomitia applicata al romanzo e che ben si allineano alla “matrice” misteriosa di questo “Un caso irrisolto”, in cui i temi della colpa, della responsabilità e del disagio dell’individuo (e dell’individuo nella società) trasudano, a volte quasi grondano dalle riflessioni e dalle incomprensioni dei personaggi, che sembrano quasi chiederci di “annaspare” con loro nel gorgo della più serrata delle introspezioni.