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Mateo García Elizondo. Appuntamento con la Lady

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Quando vivevo a Napoli e facevo il cameriere in una vineria, conobbi un tizio che non era capace di morire. Sebbene suoni letteraria, questa storia è assolutamente vera. Questo tizio si era suicidato tre volte, e una quarta era finito in coma in seguito ad un incidente sul lavoro. Non se ne vantava – era una persona seria – e piuttosto masticava amaro. Alla fine si era rassegnato e aspettava.

Allo stesso modo, il protagonista di questo Appuntamento con la Lady di Elizondo, edito da Feltrinelli e tradotto da Michele Sacchi, ha un problema ad incrociare la Falce. In città, pare ci fosse sempre qualcuno che lo tirasse fuori da un’overdose senza il suo consenso. Per questo motivo si dirige in un piccolo paesino di frontiera nato alle pendici di un’enorme foresta chiamato El Zapotal. Ha in tasca abbastanza oppio e eroina per uccidersi, e prende in affitto una squallida stanza per portare a termine il suo progetto.

Dalla prima boccata d’oppio, cominciano ad arrivare anime in pena in cerca di aiuto, uno strano poliziotto di quartiere, il padrone di casa e una muta di cani. Tutte le esperienze sono filtrate da un’aura onirica, tossica. El Zapotal, o se vogliamo il Messico, diventano non solo parte della narrazione, ma presenza tangibile, specchio dell’interiorità del protagonista. Egli si trascina stanco nell’evocazione di ricordi dolorosi, nel tentativo di espiare colpe, esorcizzare fantasmi. E questa è la parte migliore del racconto, in cui si intravede un vissuto, una traiettoria.

Mio papà (scrive Elizondo, in questo che pare un suo diario, oltre che il diario del protagonista) ha provato a tirarmi fuori, ma non è mai riuscito ad abbracciarmi, non come mi abbracciava la lady. Fuggivo da lui e sparivo per settimane intere, e se mi trovava o io tornavo a casa molto tempo dopo, quando ormai tutti mi credevano morto, quella cosa che tornava ero sempre meno “io”.

In momenti come questo, la mano si rilassa e le dita schiacciano i tasti con maggiore armonia, costruendo trame coinvolgenti. Altri sono i racconti delle prime dosi con gli amici d’infanzia, e dell’amata Valerie. Questo è un libro che ti dice qualcosa sull’essere un tossico, senza cercare di spettacolarizzare un’esperienza altrimenti avvilente come un dépliant della Costa Crociere. Inoltre, si avverte una certa dose di sincerità che in libri come questo è essenziale perché funzioni. Peccato che le parti migliori non vengano approfondite con la necessaria perizia, e rimangano un po’ soffocate da ricorrenti allucinazioni che non godono del tocco paranoico, geniale e spassoso di un Burroughs; o dello stile così davvero letterario di Malcolm Lowry. Si sente, inoltre, la mancanza di qualche bel dialogo, o di uno di quei personaggi alla Bolano che magari spuntano fuori dal nulla e che dicono qualcosa che poi non ti abbandona. Molto resta in superficie, come se si trattasse di uno studio preparatorio. Il racconto è breve eppure, a tratti, sembra non finire mai. Alcune scene si ripetono, così come le considerazioni del protagonista che ritornano con sfumature differenti, ma la sensazione di averle già sentite ti rimane appiccicata addosso.

A certi autori, si chiede che scendano all’Inferno al posto nostro e ci raccontino il panorama, questo Elizondo lo fa e gliene va dato merito. Per tutto il resto è un libro d’esordio, e i primi vagiti necessitano di prospettiva e godono di tutte attenuanti. Per le grandi imprese, ci sarà il tempo.

Pierangelo Consoli

Recensione di Appuntamento con la Lady di Mateo García Elizondo. Traduzione di Michele Sacchi. Feltrinelli, 2019, pagg. 160, euro 15.

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