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Matteo Bianchi. Il mio ultimo libro è nato ai tavolini di un bar

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dove scrivi, quando scrivi, dove cammini quando ti riposi? in quale città o paese è nato il tuo ultimo libro, in che stanza, in che bar? sei mancino\a o destrorso\a? passeggi? in bici, in auto, osservi alberi? scruti cornicioni, affondi lo sguardo nel cielo, segui le onde del suono e dell’acqua? quali sono i rumori della città e quali i silenzi delle vaste campagne? fumi? bevi? quanto pesi? scrivi dopo cena, prima di pranzo? quando? la tua è scrittura di spostamento, di stasi, di spazio, del corpo?

Dipende da cosa scrivo: se sono articoli, recensioni, testi di lavoro, contenuti per internet, allora scrivo da casa, e a qualsiasi orario; se si tratta di progetti più impegnativi (vale a dire narrativa, che sia un romanzo o dei racconti) ho bisogno di maggiore concentrazione, quindi scelgo luoghi tranquilli come le biblioteche. I miei ultimi libri li ho praticamente scritti quasi interamente nella sala lettura della Sormani di Milano.

Mi piace camminare, e anche velocemente. Quando sono con un gruppo di amici inesorabilmente li precedo, senza neanche rendermene conto. Gli altri fanno fatica a stare al passo.

Il mio concetto di riposo è leggere per piacere personale (quindi non letture legate alla professione). Quando riesco a farlo nei pomeriggi di un weekend mi sembra di stare in vacanza.

Il mio ultimo libro (non ancora pubblicato) è nato ai tavolini di un bar chiuso di fronte al mare, una mattina di diversi anni fa a Palma di Maiorca. Mi trovavo là per un festival del cinema, dove proiettavano un cortometraggio di cui avevo scritto la sceneggiatura. Era presto e non so bene perché io e il regista fossimo già svegli e in giro, su un lungomare di locali ancora chiusi. La sera prima c’era stata la proiezione del corto ed era stato accolto con molto calore dal pubblico, così il regista mi ha annunciato che voleva mettere in cantiere un secondo lavoro con me e mi ha chiesto se avessi un’idea. A me è venuta in mente, su due piedi, una storia completa dall’inizio alla fine e gliel’ho raccontata. Da subito ci siamo resi conto che era troppo complessa per un cortometraggio e abbiamo cominciato a ragionare su un progetto più lungo. Quel film non si è mai fatto, ma la storia mi è rimasta dentro per anni finché mi sono deciso a scriverla. Ricordo quel momento con precisione, perché non mi succede mai di avere idee narrative tanto dettagliate e complete. In genere sono spunti che si accumulano nel tempo, quindi non riesco a dargli una datazione esatta, perché di fondo non c’è. Questa è una pura eccezione.

Sono destrorso (che parola orrenda).

No, non passeggio. Cammino, in fretta, come dicevo sopra e osservo poco perché ho la mente altrove, sto sempre pensando a cose mie. Non osservo alberi, non osservo la natura, che ho sempre percepito come distante. Le meraviglie del creato per me sono umane: niente di affascina di più delle città. La vera vacanza è andare a scoprire nuove metropoli. La natura mi stanca in fretta: una settimana di mare in genere è il mio limite massimo di tolleranza, poi comincio a fremere per la fame di stimoli. Di un posto mi piace assorbire lo spirito, più che i dettagli. Quando vado in una città nuova tendo a fare cose quotidiane, come entrare nei supermercati, andare al cinema, mischiarmi ai riti della popolazione locale e più che fare tappa nelle consuete mete turistiche. La prima cosa che ho fatto quando sono stato in viaggio a Tokyo, prima di vedere qualsiasi altra cosa (templi, palazzi, musei, quartieri), è stata trascorrere un intero pomeriggio in un grande magazzino. Un’esperienza bellissima: ero circondato da merci che in alcuni casi neanche capivo a cosa servissero. Ho passato ore a prendere in mano oggetti bizzarri cercando di decifrarne l’uso e quando sono giunto al reparto cartoleria sono stato travolto dalla bellezza dei loro quaderni, dai blocchi per appunti con copertine fragilissime in carta pregiata e grafiche curate fino al dettaglio. Intorno a me solo giapponesi indifferenti, a fare quella che per loro era una semplice spesa di oggetti comuni.

La prima volta che sono stato a New York non sono stato al Central Park, non ho visto né il ponte di Brooklyn, né la Statua della Libertà, però sono stato a delle presentazioni di libri e a feste private di gente semisconosciuta. Ecco, per me viaggiare è questa cosa qua, e in genere mi giudicano malissimo quando lo racconto.

Non fumo, non ho mai fumato: ho poca forza di volontà, se inizio poi non potrei più smettere. Bevo, volentieri, ma mi ubriaco raramente, se lo faccio scelgo occasioni pubbliche e imbarazzanti, come le feste al Salone di Torino. Peso 62 chili.

Scrivo sempre di mattina. Questo dipende anche dal mio bioritmo: non ho mai difficoltà ad alzarmi anche presto, e sono subito reattivo. Al contrario mi è più difficile stare sveglio fino a tardi, a un certo punto sento proprio il cervello che si spegne e ciao. Inoltre di mattina ho più resistenza, posso scrivere alcune ore, mentre nel pomeriggio faccio molta fatica a carburare e quando finalmente riprendo lucidità riesco a scrivere un’oretta, due al massimo. Per questo ho imparato a organizzarmi: in genere la mattina la dedico alla narrativa, il pomeriggio a tutto il resto. Sto parlando naturalmente di periodi di stacco dal lavoro vero e proprio: da anni faccio l’autore televisivo ed è un’attività che mi assorbe quasi completamente, però il bello di questo lavoro è che finita una stagione magari posso stare anche due o tre mesi a casa prima di riprendere con la trasmissione successiva. Se fossi uno scrittore veloce questa finestra di tempo sarebbe sufficiente forse per completare un libro, ma non lo sono. Però diciamo che è in queste pause fra uno show e l’altro che riesco a dare una botta decisiva ai progetti letterari che ho in cantiere.

Non credo di avere capito l’ultima domanda. Posso solo dire che scrivere per me è fatica.

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