Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Najwan Darwish. Esausti in croce

Home / Recensioni / Najwan Darwish. Esausti in croce

Esausti in croce” di Najwan Darwish (Hopefulmonster editore, 2024 pp. 144 € 20.00), nella traduzione di Wasim Dahmash, è una raccolta di poesie, intrisa in una coltre di resistenza, nel lacerante scenario di macerie consegnate sul territorio di Palestina, oltre l’estrema e tortuosa frontiera dell’appartenenza. Najwan Darwish ripercorre i segni di un’umanità trafitta dalla disperazione e consumata dalla vita quotidiana, compone il passaggio doloroso e tormentato di un tragitto inghiottito nella sorgente desolata di una geografia interiore affranta e sgomenta. ”Stanchi gli appesi/facci alfine scendere/a riposare./Trasciniamo ricorrenze/non terra/né cielo./Oh dio/Fa’ riposare il tuo olocausto!”. I versi di Najwan Darwish affondano la corrosiva e struggente destinazione dell’influenza espressiva nella voragine di sentimenti, spezzati ed esiliati, inchiodano, con crudele ironia e impeccabile cinismo, la soffocata solitudine dello sguardo disincantato verso una realtà che confessa la lucida drammatizzazione della distruzione e della tensione esistenziale. “Destino, ci hai distrutto!/Continuiamo a rialzarci dalle macerie/con sui visi la soddisfazione.”.

Il libro celebra il messaggio universale della coscienza storica, congeda le sconfitte coraggiose degli uomini con l’elegia della pietà, traduce la speranza di oltrepassare la spietata condanna dei confini, in nome di una consapevolezza fondata sull’uguaglianza. Najwan Darwish accoglie l’urlo di una collettività disgregata e frantumata nella pena dello sradicamento, incalza la memoria di un destino che svuota brandelli di oscurità e immerge l’entità sacra della parola nel solco profondo di ogni esproprio emotivo. “Un aereo/sopra un grattacielo/il mare dietro/e la Signora canta/da dietro tre decadi./Un altro aereo/ma la voce della Signora non trema/ E non rabbrividisce/Un aereo, un grattacielo, un mare/dietro la sua voce.”. Ogni poesia racconta l’epitaffio di un universo che soffre angosciosamente la propria condizione di esclusione, è popolata da spaventose percezioni contrastanti. Najwan Darwish scaglia la sua straziante voce ascoltando la sentenza della diaspora, l’estromissione forzata dalla propria terra, presta attenzione all’argine della stretta d’assedio nei confronti dei perseguitati. Il libro concentra la sua finalità poetica e morale nell’accoglienza di chi ha perso tutto e smarrisce il cammino rivestito tra il sacrificio degli oppressi e il martirio dei persecutori, abbandonando l’immolazione della sopravvivenza tra indistinguibili fuggitivi. La poesia di Najwan Darwish è il canto di una accorata bellezza, lo sconfinato sentiero dell’affanno, immersa nel calvario delle croci, è incarnazione insistente che si innalza come simbolo nella dominazione del male. La poesia come tramite di liberazione, oltre l’attrito vertiginoso di odio e di guerra, si appella al soprassalto della vita che non si sottomette e reagisce consegnando l’impressionante e disarmante familiarità di una cronaca deplorevole, sempre attuale. Il poeta condivide il senso spettrale della salvezza, logora la provocazione di un linguaggio come strumento di conforto per le anime inquiete, consuma la voce, sensibile e responsabile, dell’inarrestabile verità. I componimenti di Najwan Darwish attraversano le tragiche tracce del passato, spiegano l’incessante fatica della fratellanza, trattengono le ceneri del pianto, trascinano la croce dello smarrimento, rappresentano l’eredità accorata dei diritti umani. La poesia sopravvive nel cuore di polvere, congiunge la fatale fenditura dell’espropriazione intellettuale nella testimonianza di un dovere morale, un monito culturale che si fa rivelazione al cospetto della storia. “Carrozze trainate da cavalli felici/o fisarmoniche./È tutto errante, mia cara/autobus imbronciati/e parenti che piangono sulle soglie./È tutto solo un viaggio/ed eccoci di ritorno./La chiamo Terra/e non mi vergogno del nome:/è tutta terra, /è tutta morte.”

Rita Bompadre

Click to listen highlighted text!