Roma, 1951
(Scena immaginaria. Ma possibile.)
> La casa profuma ancora di fumo e caffè.
Anna esce in vestaglia, con una sciarpa buttata alla buona sul collo e le ciabatte che fanno ciac ciac sui sampietrini del cortile. Tiene in mano un piattino sbeccato, pieno di rigaglie e croste di formaggio. Sta andando, come ogni mattina, a dar da mangiare ai gatti.
“Ahò, venite, che stamattina c’ho pure la mortadella… ma senza fa’ ’a rissa, che me fate scappà i più piccoli.”
Li conosce tutti. Ce sta quello pezzato che dorme sotto l’ape, la nera che nun si fa toccà, e poi c’è il sorcetto magro che pare nuovo, ma la segue da tre giorni.
Parla, brontola, ogni tanto si ferma e ripete a voce alta:
> “No signora, sua figlia non è un’attrice. È una bambina, e deve restà bambina. Sennò finisce come noi…”
Ripassa le battute di Bellissima. Le gira in testa da giorni. Le ha dette mille volte, ma le prova ancora. Con la voce piena, con la rabbia, con l’occhio lucido. Perché Visconti non vuole solo un’attrice: vuole verità. E lei, la verità, ce l’ha in tasca.
Si ferma davanti al muretto del cortile. Apre le mani, sparge il pane secco ammollato. I gatti no, quello no. È per gli uccellini. Pure loro hanno fame.
Fuma. Guarda il cielo.
> “Me danno più soddisfazione sti animali che certi uomini.”
— borbotta.
“I gatti almeno nun chiedono spiegazioni. Se ne vanno. Se gli piaci, te tornano vicino. Sennò, pace. Ma nun fingono.”
Una vicina, con la testa avvolta nel foulard, le fa un cenno.
“Anna, ma sempre co’ ste bestie stai?”
“Eh. Ao’, almeno loro nun me giudicano.”
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Intervallo – Le parole vere di Anna
> “I gatti mi piacciono perché sono come me: liberi, indipendenti e selvatici.”
— Intervista ad Anna Magnani, Epoca, 1958
> “Non ho mai potuto sopportare le persone che non sanno riconoscere l’anima di un animale.”
— da Io sono Anna Magnani di Giuliano de’ Negri
> “Io so’ fatta a modo mio. Come i gatti. Nun me piego.”
— Frase attribuita in un’intervista radiofonica del 1961
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Roma, 2025
Da quanno nun c’ho più li cani… è cambiato tutto, fratello mio.
Prima, manco un gatto. Giuro. Silenzio. Una pace che pareva ’na chiesa. Ce stavano loro, i miei due cagnoni — buoni, eh, ma guardiani veri. Solo a passacce davanti li gatti cambiaven strada. E io stavo tranquillo. Giardino in ordine, piante rispettate. ’Na piccola oasi.
Poi… eh, che te devo dì. L’età arriva pure pe’ loro. Uno se n’è annato, poi l’altro. E io me so’ trovato solo co’ ’sto giardino che m’è parso subito più vuoto. Pure li vasi, me parevano più tristi. Fino a quanno, una mattina…
Esco a dà ’n’occhiata alle piante — che l’acqua gliela devi dà sempre, pure d’inverno — e me la trovo là. ’Na gatta. Dentro un vaso! Ma mica un vaso normale, no no. Quelli lunghi, tipo fioriera. Bella stesa, comoda, co’ li cuccioli appresso. Aveva partorito là dentro come se fosse casa sua. E io zitto.
Da lì… è stato un crescendo. Gatti bianchi, bianchi e marroni, neri, tigrati… un corteo. Ormai pare che m’aspettano. Se so’ presi il giardino. Io, che te devo dì? Je do da magnà. Eh, che faccio, je chiudo la porta in faccia? Me guardano, me seguono co’ li occhi. ’Na scatolette, ’na cucchiaiata de pasta avanzata, qualcosa ce scappa sempre.
E nun so’ solo, eh. Ce stanno pure li uccelletti. I peppini, li colombotti. Io er pane secco nun lo butto più. Lo bagno, lo metto su ’n muretto, e loro vanno là, beccano tranquilli. Me fanno compagnia. Se semo capiti, io e loro.
Solo che… mo’ so’ arrivate le gazze ladre. Ahò, ’na piaga. Belle, niente da dì, ma arroganti. Se presentano, fanno scappà tutti. Pure li colombotti — che so’ grossi, che se difendono — niente, spariti. Le gazze so’ prepotenti. E io, che posso fa?
Rimango là, seduto a guardà. E penso. Penso che, a sentì certe cose su internet, pare che la vita vera sia tutta dentro a ’n telefono. Influencer, stories, filtri… Tutta scena. E invece io, co’ li gatti nei vasi e li peppini sul muretto, me sento più vivo io, capito?
Questa è casa mia. ’Na telenovela? Forse. Ma vera. Co’ le unghie, le piume, le zampe, e ’n sacco de silenzii.
E a me, sinceramente… me basta.
Nota di Malacodafiction
> Roma non cambia. Solo si sposta: dai set de Cinecittà ai vasi de plastica sul balcone d’un pensionato col cellulare. Ma il tono è sempre quello: una risata, e ’na verità che nun chiede applausi.
Francesca Mezzadri