C’è un luogo, una volta all’anno, che attrae come un magnete un esorbitante numero di lettori, un luogo che ha come fulcro la parola scritta e che la protegge dall’effimero dei tempi moderni: è il Salone Internazionale del Libro di Torino. Per cinque giorni, dal 15 al 19 maggio, il Lingotto ha pulsato di emozioni, esperienze vissute, incontri, passione. Lettrici e lettori, di ogni età, si sono sfamati con storie che hanno nutrito palati diversi; storie che hanno sfidato il silenzio di un’epoca rumorosa che dovrebbe prendersi del tempo per rallentare ed andare incontro alla lettura.
Cinque giorni con 231.000 persone, 977 spazi espositivi, 70 sale per un totale di 2.647 eventi, a cui si aggiungono 800 eventi del Salone Off. Non è una semplice fiera editoriale: è un evento culturale, un incontro collettivo e soprattutto la speranza che le nuove generazioni sappiano cogliere la sfida di avvicinarsi alla letteratura, abbandonando tutto ciò che rappresenta il vuoto che sempre più spesso li circonda. E di giovani in questo salone ce ne sono stati, e tanti. Oltre le scolaresche vi era un gran numero di adolescenti che si aggiravano in coppie o in gruppi più o meno numerosi che, seduti sui cuscini delle zone lettura o per terra lì dove trovavano spazio, leggevano libri appena acquistati. Catturati da parole che, mi auguro, abbiano il potere di salvarli da un triste momento, in cui la fragilità della loro età male si sposa con la società che li dovrebbe accogliere come una madre protettiva ma che li respinge senza dar loro la possibilità di crescere con la giusta tutela.
La parola scritta, antica e allo stesso tempo nuova nelle sue declinazioni, ha attratto a sé una folla enorme come un richiamo arcaico che ci attraversa e in cui ci riconosciamo. Le parole si fanno materia e il Salone si trasforma in una città temporanea, fondata sulla bellezza della scoperta di autori che danno voce all’inafferrabile. Il pubblico ha risposto con la voglia di scoprire, sfogliare le pagine, farsi catturare da titoli e copertine, ognuno alla ricerca della propria verità. E tra le file di chi attendeva di ascoltare autori, o farsi firmare copie di libri stretti tra le mani come tesori preziosi, ci si è riconosciuti negli sguardi di altri che godevano dello stesso momento. È stato un ritrovare la propria passione attraverso quella degli altri.
Vedere così tante persone radunate attorno ai libri – in un’epoca che ci vede chini sui cellulari e accecati dai dispositivi – è stato un atto di resistenza colmo di speranza. Ho guardato le facce di chi comprava, di chi era immerso nelle letture, di chi ascoltava le diverse presentazioni e mi sono sentita al riparo da tutto ciò che sempre più ci allontana dalla profondità e dallo specchiarsi in noi stessi, come solo la letteratura ci permette di fare.
La cosa più difficile durante i giorni della fiera è scegliere cosa fare. Selezionare gli eventi, passeggiare tra gli stand, fermarsi ad osservare e prendere un po’ di respiro, tutto diviene necessario. Ho dovuto scegliere con cura come impiegare il tempo, cosa seguire, dove fermarmi.
Ho iniziato con la presentazione di Valerio Aiolli, “Portofino Blues”, libro candidato al Premio Strega nella dozzina che si contenderà la vittoria. Un libro edito dalla Voland, una casa editrice molto attenta a intercettare letteratura e che pubblica opere interessanti come questo libro. Aiolli ci presenta un’altra indagine, lo aveva fatto anche in passato con Nero ananas: la scomparsa, nel 2001, della contessa Francesca Vacca Agusta, precipitata in mare dalla sua villa a Portofino. Una vicenda di cui tutti hanno parlato, per anni, ma che lui decide di trattare da un punto di vista diverso che si discosta dal gossip e dalla cronaca: cerca di cogliere l’aspetto umano che sottende il jet set. Lo sguardo si sposta dagli eventi mondani e il lusso, alle quattro mura della casa, che sarà comunque una villa, ma che contiene le vite di donne e uomini che nella sofferenza, nelle emozioni e nei dissidi della quotidianità sono uguali a molte altre vite della gente comune. Nelle parole di Aiolli vi è tutta la sensibilità di uno scrittore che usa la scrittura come uno spartito di una melodia Blues, da cui il titolo, in cui più parti che apparentemente sono distanti si ritrovano a vibrare insieme in un unico suono. Ho continuato con la Voland seguendo la presentazione di “Il giardiniere e la morte” di Georgi Gospodinov, poeta e prosatore bulgaro innovativo e raffinato, vincitore del Premio Strega Europeo 2021 e l’International Booker Prize 2023. Uscito il 16 maggio 2025, “Il giardiniere e la morte” è un dono delicato che sussurra una storia intima e universale, quella di un figlio che si trova ad assistere il proprio padre durante una lunga e dolorosa malattia che terminerà con la sua morte. Una dichiarazione d’amore commovente, un figlio che si lascia andare a ricordi e che ripercorre le tappe della sua infanzia con una struggente malinconia. La sala commossa e gremita ha ascoltato con trasporto le parole di un autore che ha saputo toccare l’anima.
L’anima l’ha toccata attraverso la psiche anche Vittorio Lingiardi che ha presentato un reading del suo libro “Corpo, mente” uscito per Einaudi. Le letture dei brani sono state accompagnate da immagini suggestive che hanno portato il pubblico ad entrare dentro al corpo e alla mente, protagonisti del libro, presentati come un unico elemento. Il pubblico è rimasto affascinato dall’aspetto scientifico e coinvolto emotivamente da quello artistico e letterario, che l’autore ha inserito nel libro perché l’argomento potesse essere raccontato da diversi punti di vista. Lingiardi, psichiatra e psicanalista, ha saputo parlare della mente con nuovi linguaggi e trattare argomenti specifici in una maniera accessibile a tutti.
Mi sono imbattuta nella la folla che acclamava Alessandro Barbero, che con Daria Bignardi conversava sul suo libro “Romanzo russo” scritto nel 1998 e ripubblicato recentemente da Sellerio; ho girato tra le diverse presentazioni organizzate negli stand delle regioni, ascoltando parti di esse con cui a fine giornata ho fatto un collage che mi ha restituito un’immagine piena di colori.
Sono grata al Salone, a chi continua a crederci, a chi non smette di tornarci, a chi lo visita per più giorni. In mezzo a quella moltitudine ho compreso con forza che leggere non è solo un momento solitario ma condiviso e che finché ci saranno lettori ci sarà qualcosa da salvare.
Nancy Citro