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ONCE A DAY GIVE YOURSELF A PRESENT

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A L’OMBRA DELLA MADONNINA

Come un filo interdentale sporco di sangue, gettato via con la vergogna dell’intimità non condivisibile: allo stesso modo, voglio rimanere sconosciuto anche a me stesso.

Ho cambiato mille lavori… e mai nessun datore mi ha conosciuto per quel che sono, ma solo per quel che facevo. Una regia occulta mi ha spostato di continuo, di qua e di là: a scuola, in palestra, sul ring, tra calce e cemento, dietro ai fuochi di una cucina, allo sportello di una banca, seduto a una scrivania, in un laboratorio, davanti a una tela. Ho accettato ogni lavoro sulla strada del mio destino come un cazzo di prete pedofilo, da una parrocchia all’altra.

Perché la sorte abbia scelto proprio me come protagonista della mia vita mi è ignoto. Qualunque pezzo di merda avrebbe recitato meglio quel ruolo: io sono un finto cattivo, un sovversivo fasullo e un rivoluzionario da libro rosa.

Ho un destino infantile, un destino che mi punisce, e il castigo è per i bambini, non per gli adulti.

Nessuna fuga psicotica mi è stata concessa, ho sempre mantenuto fede al copione, battuta dopo battuta, invecchiando senza vivere realmente, svendendo falsità come una vecchia puttana che ci mette l’anima perché il corpo non ha più niente da dare.

Ho creato illusioni, sperando che la gente confondesse il bello con il buono, i peli pubici di un adolescente con i coglioni, e la puzza di paura e piscio con la vecchiaia.

Mi chiedi perché ti ho rapita: sequestrata, catturata e legata come una preda.

Credo che ogni donna sia abituata a vedere più sangue di qualsiasi uomo. Avevo bisogno della tua sensibilità in materia. Ma questa volta, il sangue… dovrai immaginarlo. Resterai bendata.

Non giudicarmi male, noi due ci assomigliamo: siamo entrambi irrilevanti. Inoltre, abbiamo la stessa debolezza: ci siamo fidati l’uno dell’altra, reciprocamente.

Vorrei dirti di non avere paura, ma io sono terrorizzato quanto te, come se dovessi mangiare lamette da barba e aspettare anche l’esperienza del cesso. Non l’ho mai fatto prima.

Forse ti aspettavi un invito a cena. Mi pensavi immedesimato in uno spasmodico corteggiatore, con un abito in viscosa lucido, molto lucido: come uno che suona ai matrimoni o che sfila per Cavalli. Frenetico, pieno di energia e speranza come quelli che dicono il meteo.

Ma qual è il compito di un uomo: agire o farsi giudicare?

Hai mai notato che ci sono solo due modi per mangiare un cono gelato? Alcuni lo mangiano con le labbra al posto dei denti, altri lo leccano tutto il tempo.

Non perdiamo il momento, dobbiamo iniziare.

Giuro, preferirei tagliarmi un pollice piuttosto che mettermi alla prova. Amputarlo via e bere il sangue della mutilazione. Ma non ho scelta! Non abbiamo scelta.

La cosa più pericolosa che feci da bambino fu ingoiare il funghetto del Monopoli. E ora, eccomi qui, ancora in preda alle allucinazioni di quel fungo rosso a pois bianchi.

Trattieni il respiro.

Inizio a dipingerti.

Quando sei te stesso, basta e avanza. In questo siamo sinceri.

Non posso perdonarmi. E non dovresti farlo nemmeno tu: l’arte è un delitto. È un crimine che condanna i poeti, dalla nascita sino alla pena di morte.

Lo fanno anche i cani: si rotolano nella merda delle loro prede per non farsi fiutare. Noi artisti, ugualmente, ci laviamo nelle fonti della morte per ingannare la vita.

Odio le chiacchiere impersonali. Parlami di te? Ma non muovere troppo la bocca.

Angelo Orazio Pregoni

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