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Palestina Nonostante. Viaggio in Cisgiordania. Intervista a Emanuela Crosetti

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Apriamo questa nuova stagione di incontri su Satisfiction e la rubrica de ‘Le Tre Domande del Libraio’ con Emanuela Crosetti, giornalista, viaggiatrice e fotoreporter, in libreria da pochi mesi con “Palestina Nonostante. Viaggio in Cisgiordania” edito da Exórma Editore, libro che arriva a otto anni di distanza da “Come ti racconto l’America” .

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Emanuela, in questo lungo viaggio in Cisgiordania tra città e villaggi sperduti, e seguendo le tappe di Jenin e Gerusalemme, Ramallah e Nablus, Jericho e Al-Khalil, racconti la vita dei palestinesi nei Territori occupati prima del 7 ottobre 2023, entrando nelle loro case e nella loro vita quotidiana. Ci spieghi cosa ti ha ispirato a intraprendere questo viaggio e se c’è stato un evento o un momento particolare che ha acceso la scintilla per riportare su carta questa storia?

Se intraprendo un viaggio, è perché ho un cerchio da chiudere, aperto chissà dove e per i più svariati motivi. Per quanto riguarda la Palestina, questo “cerchio” si chiamava Gerico. Gerico è un nome che ha esercitato su di me un notevole fascino fin da quando ero bambina. Gerico era l’odore antico degli abiti talari nella vecchia sacrestia dove frequentavo il catechismo, il profumo dei libri che raccontavano la storia delle sue fragili mura, la fantasia di un mondo che aveva il sapore del mito: come se non fosse mai esistito, ma che da sempre è. L’ho inseguita per una vita intera, Gerico, senza riuscire a raggiungerla mai. Mi colpì fin dal primo momento in cui da lontano la vidi, nel 2005, ammucchiata nel fondo di un’ampia valle tra le montagne polverose della Giudea che da Gerusalemme conducono al Mar Morto. Pareva un miraggio. Ricordo che la mia guida la definì “un luogo molto pericoloso” e, quindi, da evitare, definizione che subito fece nascere in me la voglia di sincerarmene. La sfiorai poi nel 2014, durante un viaggio diplomatico in Israele, in cui la Palestina mi venne però preclusa, e ci andai molto vicino nel 2019, quando mi trovavo in Giordania. Alloggiavo in un monastero ortodosso lungo il fiume. La sera, dopo cena, il custode mi invitò in veranda per un tè e, allungando il braccio al di là delle acque, mi indicò le luci di Gerico. Fu per me come la cometa per i Re Magi. Progettai quindi di andarci, ma la pandemia posticipò la mia partenza. Fino, appunto, al maggio 2023.
Per tutto il viaggio – come del resto faccio sempre – ho tenuto un diario, annotandomi, giorno per giorno, luoghi, incontri, racconti, dialoghi, dettagli, sensazioni. Un rito che, in questo caso, stavo inconsapevolmente trasformando in una preziosa testimonianza. Non c’era inizialmente alcun progetto per un eventuale libro, ma parlandone con il mio editore al Salone del libro di Torino, ne emerse l’opportunità. Il momento, dopo i tragici fatti del 7 ottobre, diventava così un’occasione per raccontare quei luoghi da una prospettiva diversa: umana, quotidiana, intima.

I luoghi e il contesto sociale in cui ti muovi nel viaggio sono molto vivi e ben descritti nella narrazione del libro. Quanto conta per te una buona descrizione del paesaggio urbano nella costruzione di un libro come questo, dove poi quello che conta veramente sono le storie delle persone? E a proposito di storie, quale è quella, che a distanza di tempo, ancora ti commuove?

Il dettaglio dei luoghi è una magia in grado di traghettarci altrove, con lo spirito e col cuore, e di ricreare nella nostra mente profumi, suoni, percezioni a volte anche tattili. Le storie delle persone hanno un legame a doppia mandata con l’ambiente in cui si sono inserite e senza lo scenario di fondo, i personaggi di queste narrazioni rischierebbero di fluttuare smarriti, apolidi e soli, e molti dei loro racconti e delle loro caratteristiche risulterebbero incompresi. Quello che cerco di mettere sul foglio è una sorta di teatro dell’umanità.
Non c’è storia che, nello scriverla, non mi abbia inumidito gli occhi. Ho rivissuto ogni singolo attimo in ogni singolo parola. Difficile dire quale, ancora oggi, mi emozioni di più. Ma se proprio voglio commuovermi davvero, devo rileggere la storia della breccia, quella piccola fessura nel muro di Betlemme attraverso la quale i palestinesi riescono a scorgere l’ingresso della tomba di Rachele, luogo sacro ai musulmani ma a loro vietato perché in territorio israeliano. Un piccolo foro introvabile – magra consolazione – se non fosse stato per Mariam, la padrona della casa dove alloggiavo, che me ne ha indicato l’esatta collocazione.

La tua scrittura sembra avere una vena molto personale proprio nel racconto di certe forme di Resistenza. A partire dalla spiegazione di un titolo così particolare ci vuoi anche dire come hai bilanciato il tuo stile narrativo con la necessità di coinvolgere emotivamente il lettore?

Il titolo è nato per caso. L’editore si è reso conto che la parola “nonostante” la ripetevo con una certa frequenza e spesso con un’inflessione della voce diversa. “Nonostante” è la parola chiave per capire lo spirito che tiene i palestinesi in vita e che loro chiamano “sumud”, un termine che si può tradurre come “resistere vivendo”. il mio stile narrativo… Che dire? Porto nel cuore le suggestioni che in me hanno creato le narrazioni di Edgar Allan Poe, Rafael Sabatini e Carlo Levi, tre autori radicalmente diversi, ma con uno spirito che non ho saputo dimenticare. Si raccolgono pietre durante il cammino e, una volta giunti a destinazione, si inizia a costruire. Cosa ne risulterà, lo deciderà solo il tempo.

Buona Lettura con Palestina Nonostante di Emanuela Crosetti

Antonello Saiz

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