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Paola Predicatori. Il volo della libellula

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Cosa sono i sentimenti? Bella domanda.

Se andiamo per dizionari, cartacei oppure on line, troviamo che vengono indicati come degli “stati d’animo”, però più forti e duraturi di quelle che sono le semplici emozioni. Sono comunque forme di affettività. Ma da qui in poi è terra straniera.

Possiamo infatti nominarli, i sentimenti, ma non possiamo con certezza affermare che all’atto pratico ognuno di noi provi, “senta” la stessa cosa di un altro.

Si naviga a vista e da soli; se ne fa esperienza, non riuscendo a capire se si sta reagendo a quanto si prova nella propria testa o nel proprio corpo, se lo si sta facendo al pari di un altro essere umano.

I sentimenti occupano uno spettro di grande ampiezza nella nostra pische.

Si va da quelli terribili a quelli che sembrerebbero essere un dono del cielo.

Anche l’amore fa parte dei sentimenti, di quelli positivi o che almeno tali dovrebbero essere. Eppure chi ne ha fatto esperienza, cioè un po’ tutti, sa quanto l’amore non sia facile da maneggiare.

Amore è infatti mancanza, non possesso, cosa che già mette in difficoltà nel farsi focalizzare. L’amore indica quindi uno stato di povertà. Siamo poveri perché ci manca. Se l’amore manca, se manca qualcosa che percepiamo come bello, come necessario, allora lo percepiamo come desiderabile. Il desiderio è, perciò, mancanza. L’amore quindi si presenta come l’affermazione di una mancanza.

Ci manca perciò qualcosa di cui siamo comunque sguarniti e che troviamo nell’altro da noi, anche se lo percepiamo simile a noi perché non codifichiamo la mancanza con la ragione, ma con la follia.

Umberto Galimberti lo sa dire meglio, quindi fermiamoci qui. Fermiamoci al sentimento d’amore, al come può cambiare ognuno di noi, anche attraverso sentieri impervi.

È quanto sperimenta Sandro Pardi, detto Sanpa, l’adolescente protagonista de Il volo della libellula, romanzo firmato da Paola Predicatori e pubblicato da Einaudi Ragazzi.

La storia, corposa e stratificata, di questo che è un romanzo young adult (fruibile però, si legge nella scheda libraria, a partire dai tredici anni), ha certamente a vedere con il sentimento amoroso e con alcune delle sue declinazioni oltre che con la sua fine, eppure necessita di una discreta sensibilità per essere apprezzata. Questo perché nella vicenda (meglio sarebbe dire “nelle vicende”) l’amore fa costantemente rima con perdita, e solo in seguito con accettazione della perdita e rinascita.

A muovere Il volo della libellula è una frattura nel tessuto della relazione sentimentale: Giorgia lascia Sandro dopo due anni.

La fine serve come innesco alla storia, annunciata oltretutto da una fitta serie di rimandi sul tema dell’abbandono, che Predicatori dissemina lungo i capitoli: i genitori di Sandro sono separati, la nonna ha perso il nonno da tempo, il padre del ragazzo non si è riuscito a riconciliare con il suo, di padre, i padri che muoiono ecc.

Molti dei personaggi che la scrittrice mette in scena, chi più chi meno, vestono quindi una idea di taglio profonda, che si intuisce capace di separarli dal sentimento di amore.

Nel perdere Giorgia, Sandro avverte che tutto questo si ripete. Sente su di sé il peso di una circolarità degli eventi, contro cui non può fare nulla.

Anche perché restare da soli per lui significa sperimentare uno stato di precarietà e di insicurezza da cui non si può fuggire, ma solo passarci attraverso. «Tutto mi sembra precario: le nostre vite, i luoghi, le cose» dice a un certo punto. «Forse bisogna solo non pensarci, forse bisogna solo provare a esistere, e basta».

Per arrivare a questo, ma anche per superarlo e ritrovare un equilibrio non solo interiore, Sandro attraverserà una serie di vicissitudini e di incontri che segnano le tappe del suo prendere coscienza di sé e di come vivere con gli altri.

Non solo i problemi legati alla sfera familiare, ma anche il dolore di persone a lui estranee.

Come Benedetta, una ragazza che incontra durante le vacanze estive e che ha perso il suo, di padre. Benedetta che non ha la bellezza appariscente di Giorgia, che non è “una che piace”, che trattiene la sua perdita come non avesse altro cui aggrapparsi, ma senza implorare o pregare. Si potrebbe definire come il personaggio-guida all’interno del romanzo, quello che porta in avanti il discorso e lo fa evolvere. Non per nulla le pagine in cui appare sono fra le più belle di tutto il libro.

Predicatori compone con scrittura nitida come poche, quasi a rischio di spezzarsi mentre racconta la fragilità delle vite dei suoi personaggi, un affresco che mostra la difficoltà di diventare adulti, non solo di sapere cosa vuol dire amare l’altro.

Difficoltà, quest’ultima, che ci portiamo dietro fino alla fine, assieme a un’altra. Quella di saper rispettare le scelte altrui, anche quando ci mettono in disequilibrio emotivo, anche quando ci mettono davanti ai nodi irrisolti della nostra esistenza.

È un libro prezioso anche per questo, capace di parlare e di emozionare attraverso un raffreddamento della parola che ricorda Parise, ma anche tutta una genia di narratori capaci di scavare attraverso situazioni e dialoghi nelle pieghe dell’animo dei personaggi messi in scena.

Predicatori sta vicina ai suoi personaggi, li scruta in un continuo pedinamento che ce li consegna in una umanità acerba eppure vivida. Per tutti loro, amare è una esperienza totalizzante, senza fine, assoluta.

A tutti loro, affinché il risveglio dal sogno non sia amaro, questo libro sussurra quello che diceva un cantautore parecchio tempo addietro: se ami qualcuno, allora lascialo libero.

Sergio Rotino

Recensione al libro Il volo della libellula, di Paola Predicatori, Einaudi Ragazzi 2025, pagg. 323 € 14,90

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