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Paolo Cioni inedito. Sanremo il giorno dopo. Oppure due giorni dopo

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Editore, traduttore di Haldous Huxley, scrittore – il suo ultimo libro è  La verità a pagina 31, uscito da Elliot – Paolo Cioni si misura con il più grande evento nazional-popolare d’Italia.

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Ieri sera ho visto un bel film francese, che fra l’altro parlava di libri ed editoria, per cui nessuno meglio di me può commentare il Festival. La cosa meravigliosa del festival è che è totalizzante, niente accade fuori dall’Ariston, tutto si ferma. Non si può fare altro, se non nel silenzio delle nostre case, senza farsi notare, senza esporsi. Sì perché esporsi e dichiarare ‘preferisco, che ne so, un buon libro’ è in fondo tristissimo, e un po’ da secchioni. Tutto si compie all’Ariston.

Quindi il Festival va visto, magari a pezzi, di sicuro in compagnia di qualche amico, scherzando, ridendo, parlando d’altro. Funziona benissimo, perché arriva la Pavone e tu ti metti a raccontare che hai già prenotato le vacanze al mare, e anche la Pavone scivola via. Infatti a casa mia in mezzo ci siamo guardati un film di 96 minuti, e quando siamo tornati su Raiuno niente era cambiato, e di sicuro non ci siamo persi niente che oggi non sia su YouTube. A parte Zarrillo che, non so come, mi è sfuggito per cinque serate consecutive. Ha cantato davvero? Non lo so. È su Youtube? Non credo. Mi dispiace per lui, fra l’altro una sera anni fa l’ho incrociato all’Osteria di via Margutta, e lui cenava da solo. Una cosa tristissima. Qui, con partecipazione, mi soffermo su chi è solo, e si astiene dal Festival: la solitudine è durissima e questo offre di certo la dispensa dalla celebrazione del Festival. Chi è solo non ce la può fare, cinque ore di diretta non si possono imporre. Ecco comunque alcune riflessioni sparse sul Festival, che ho visto integralmente, anche se nel frattempo ho guardato un film francese.

Canzoni

Sono marginali, da anni, forse da sempre. È inutile girarci attorno, il Festival è un fenomeno di costume, che va ben oltre la musica, che se volete ve la potete ascoltare su Spotify. Qui sono importanti altre cose, le messe in scena di Achille Lauro, oppure lo smoking di Jannacci. Messaggi che verranno ricordati oltre le canzoni. Certo puoi inciampare in una bella canzone, ci mancherebbe, ma l’evento è del tutto casuale e non voluto. In tutto si salvano tre pezzi, diciamo la verità. Sorprende piuttosto come cantanti che puntano tutto sul Festival per un po’ di visibilità che ancora non hanno, o sperano in un possibile rilancio, arrivino al Festival con canzoni che zoppicano, che non funzionano, che non hanno un senso. Su tutto le parole, spesso buttate a caso, tanto che si potrebbero correggere con la matita rossa se ce ne fosse l’occasione. Ecco, questa potrebbe essere un’idea: dall’anno prossimo Satisfiction offre un servizio di correzione dei testi prima che le canzoni vengano cantate. Scrivete a Gian Paolo Serino. Una precisazione:

se dico ‘sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa’ – allora significa che ‘io ti faccio stare male quando tu stai bene’. E non è una bella cosa.

Braghette

Questo sì, ha la sua importanza, ma è del tutto inoffensivo. Il bello è che ancora oggi si stia a discutere su che tipo di braghetta si mette un cantante. Non lo so, ma vi guardate attorno quando siete in giro? Ecco, più provinciale e snob di chi dice ‘io il Festival non lo vedo’ c’è chi dice ‘in quel modo lì si è già vestito David Bowie.’ Anche perché Greta Garbo si vestiva come David Bowie molto prima di lui. Insomma lasciate perdere: uno in mondovisione è libero di mettersi i calzini che preferisce e se non se li mette va bene lo stesso. Su tutto comunque, se mi è permesso, sceglierei i sandali di Elodie.

Presentatori

Una cosa che non capisco è perché chi presenta debba per forza dirigere il Festival. Non si capisce perché non ci possa essere un direttore artistico e poi un presentatore, anche perché magari sei bravissimo a fare i quiz ma poi di musica non ne capisci un granché. Il mio certo è un dubbio marginale, perché come si diceva non è che le canzoni siano così importanti. In ogni caso la colpa – contrariamente a quello che dice Fiorello – non è di Amadeus. È proprio che per trovare venti canzoni discrete qui da noi ci vorrebbero quindici anni, e il Festival si fa ogni anno. Comunque Amadeus se la cava, ammettiamolo. È il bravo ragazzo della porta accanto, a parte qualche eccesso di enfasi va benissimo e viene premiato dagli ascolti. Credo che abbia detto ‘settantesimo’ più di settantamila volte, ma va bene, di fianco a lui in ogni momento difficile c’è Fiorello, e cosa si può dire del Fiorello nazionale? Trovate uno a cui non sia simpatico se ci riuscite. Fiorello è l’uomo più simpatico del mondo, non so perché, ma è così. Non ha nemmeno più importanza di cosa parla, che cosa s’inventa, se improvvisa oppure no. Tanto ti diverti in un modo o nell’altro, almeno quanto si diverte lui. È un dono prezioso. E lì, se sei onesto con te stesso, pensi: ma sì, potevo leggere un libro, ma lo posso leggere anche domani.

Ospiti

Tiziano Ferro Tiziano Ferro Tiziano Ferro Tiziano Ferro. Se vi piace è un trionfo, ma anche se vi sta sulle palle è un trionfo. Ecco, questa forse è la cappella più grossa di Amadeus, lui la propone come una cosa straordinaria, mentre invece è minestra riscaldata, un po’ come Baglioni che in un solo Festival canta trentadue canzoni di Baglioni, mandando in tilt l’ufficio diritti SIAE. Comunque gli italiani hanno le spalle larghe, possono resistere a cinque serate, a due governi Conte, possono resistere a Tiziano Ferro. Del resto si sono fatti le ossa con Pippo Baudo e le sue ‘standing ovation’, possono farcela, basta cambiare canale e poi tornare per vedere se ha finito. Quindi Tiziano Ferro Tiziano Ferro Tiziano Ferro Tiziano Ferro. Altri ospiti non me ne vengono in mente.

Web

La rivoluzione ragazzi: il fatto che il vincitore esca su Sky quaranta minuti prima della proclamazione, e poi tutti sui social ne parlino mentre in diretta dall’Ariston si fa finta di niente è la rivoluzione. E ancora una volta accade a Sanremo, con buona pace di chi lo snobba. Io per sbaglio finisco in una chat della RAI e c’è un tizio che scrive ‘Greetings from Buenos Aires’. Tutti scrivono. I miei contatti sui social che poi sono tutti scrittori-giornalisti-bloggers o almeno lettori compulsivi, scrivono anche loro e dicono che Tosca ha un sacco di classe. Boh. ‘come un pesce che non può più respirare’? Vado a memoria. Comunque sui social il Festival funziona come e meglio che sulla RAI. Te lo guardi a pezzi, ti rivedi la scena di Morgan che cerca Bugo, di sicuro uno dei momenti più belli. ‘Bugo? dove sei?’. Repubblica fa perfino un sondaggio: stai con Morgan o con Bugo? Anche il mio gruppo di ascolto si divide, perché peggio di Morgan c’è soltanto Bugo, e viceversa.

Età pensionabile

Io amo la voce di Ornella Vanoni. Mi chiedo però di chi sia la colpa, quando me la ritrovo sul palco sfinita, rovinata da un tentativo di fermare il tempo, sconfitta. Il tempo si è già fermato nei suoi dischi, qualcuno dovrebbe dirlo a lei e a tutti gli altri che non vogliono arrendersi, alle Rita Pavone, a Mina che canta lo spot della TIM, al codino di Tony Renis. L’arte, anche nella canzone popolare, ferma il tempo e trasforma tre minuti nell’eternità; poi quando l’incanto si è compiuto, ci vuole la forza di fare un passo indietro, di lasciare il capolavoro alla sua vita eterna, di non toccarlo più, di scomparire con orgoglio. Pensate a Leonardo Da Vinci che si fa largo fra i giapponesi e dà un’altra pennellata alla Gioconda, e rovina tutto.

Ok, con le dovute proporzioni.

Ricordi

Tutto si consegna alla memoria. La portata dell’evento si misura così: chi non ricorda Vasco che abbandona il playback, o il poveraccio che si voleva buttare dal loggione, oppure le tutine di Anna Oxa? Il meglio e il peggio restano, e nessuno può metterlo in dubbio. Io per esempio mi ricordo alcune cose belle, ospiti incredibili per esempio, che molti si sono dimenticati, e voglio mettere qui qualche nome: Luis Armstrong, gli Yardbirds nel 1966, Bruce Springsteen chitarra e voce, che fa spegnere le luci e i lustrini, e non vuole Baudo fra i piedi, i Dire Straits, gli Status Quo che cantano – in playback – ‘Whatever you want’ con talmente tanto fumo sul palco che per metà canzone nessuno li vede, Ray Charles che prova a buttare al vento quarant’anni di carriera cantando un pezzo di Toto Cutugno, Damien Rice ignorato da tutti, gli Smiths, i Placebo che litigano con un amplificatore. Mi ricordo questi, ma ce ne sono altri.

Quod erat demonstrandum

La tesi era che il Festival fosse imperdibile, e se siete arrivati fin qui è fatta. Infischiatevene di chi ironizza su tutti noi che lo abbiamo guardato. Non sentitevi in colpa, fate pace con voi stessi. Io vi assolvo. Oggi magari ascoltate tutto l’Album Bianco dei Beatles e recitate tre volte il testo di ‘(I can’t get no) Satisfaction’. La misericordia del Signore è infinita.

Paolo Cioni

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