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Placido di Stefano. GAP. Grottesco Adolescenziale Periferico

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Ci sono dei libri che sono sveglie, libri che sono anche occasioni perché mostrano, ai genitori ignari, quello che i figli fanno quando gli adulti non li vedono.

È successo negli anni venti, quando Fitzgerald scrisse Di qua dal paradiso e poi Belli e dannati. Attraverso queste storie, i genitori scoprirono cosa facevano veramente i loro figli quando dicevano di andare alle feste, quando li credevano al sicuro a casa di amici. Scoprirono che esistevano labirinti fatti di sogni, di aspirazioni, di frustrazioni e di alcool, in cui i loro ragazzi si perdevano. Furono libri scandalosi, lo scandalo ne fece la fortuna. Benedetti sono i tempi in cui la società era ancora in grado di scandalizzarsi per un libro, perché significa che avevano ancora una qualche centralità, i libri, e un po’ d’ingenuità, le persone. Difficile pensarlo oggi. L’ultimo moto d’indignazione che io ricordi è legato ai Cento colpi di spazzola ed è stato uno scandalino, comunque, una cosa pruriginosetta, un lamento di vecchi tromboni.

Arrivò, molto dopo, Meno di zero, di Ellis. Siamo negli anni ottanta. Anche questo libro destò un certo scandalo, un interesse. Ellis era un ragazzo che raccontava i suoi coetanei disillusi, nichilisti, sempre fuori fuoco, che non vedevano nessun futuro. I giovani ritratti in Meno di zero sono ricchi, annoiati, pieni di cocaina, e di disprezzo. Anche qui, i genitori, furono costretti a guardare e a capire che, dietro gli occhiali scuri che i loro figli indossavano anche di sera, c’era un disagio profondo.

In questo solco, più profondo di quanto illustrato perché di esempi ce ne sono tanti, anche nel cinema, penso a Requiem for a dream, alle storie di Christiane F., si inserisce GAP, acronimo di Grottesco Adolescenziale Periferico, di Placido di Stefano.

Libro emerso dalle selezioni del Premio Neo, con il quale la casa editrice sceglie i libri pubblicare premiandoli tra centinaia di proposte.

Gap è la storia di Fedor, un adolescente orfano di madre che, insieme ai suoi amici, Leo e il Moro, comincia a girare dei video e così, attraverso una serie di Tracce, di provini didattici, di un monologhi rivolti alla videocamera, la storia di questi ragazzi si allarga come un’inquadratura.

Ci sono poi le parti inconfessabili. Fedor ha due vite: una che tiene nascosta alla famiglia che si è ritrovato, il padre e la sorella, e una seconda che, invece, nasconde alla famiglia che si è scelto, il Moro e Leo. Questa seconda lacerazione, forse persino più profonda perché, a differenza della prima che condivide con i suoi amici, questa seconda vita nascosta è una navigazione pericolosa e solitaria.

In questa vita ci sono incontri ambigui, c’è l’abuso di Fentanyl.

L’elemento di originalità, in questo libro, sta nella costruzione della storia, nella parabola frammentata della narrazione. Il montaggio, oserei dire, del romanzo, che procede per inquadrature, per tracce e brevi intervalli.

Da un punto di vista della lingua, dei contenuti, invece, si colloca in un particolare spettro del romanzo di formazione, un solco, diciamo così, profondo, attraversato e riconoscibile. Alcuni passaggi, la scelta dei nomi, Fedor, Frida… queste cose le avrei fatte in modo diverso ma sono note estremamente marginali relativamente a un libro che ha una sua vita che germoglia nella rilegatura e si allunga come edera infestando il nostro immaginario.

Pierangelo Consoli

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Placido Di Stefano, GAP, Neo edizioni 2025, Pp.225, Euro 17

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