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Realismo Sovversivo. La figura di Daumier e la società moderna

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Quello che ha rappresentato il 1848 è studiato, analizzato ed esaminato in tutti i libri di storia contemporanea, eppure, siamo consapevoli che quest’epoca, segnata dalla rivoluzione sociale che a macchia d’olio si diffuse in tutta Europa, solo dopo pochi anni, era svanita, ripristinando i vecchi regimi europei. Ma come tutti sanno, gli uomini possono morire le idee no. Anche se i moti del’ 48 non cambiarono i regimi sociali, contribuirono a modificare i gusti e le mentalità. Gli artisti e i letterati furono colpiti da questi eventi e si adoperarono a scrivere e raffigurare gli effetti della rivoluzione. Se l’amore per la natura aveva alimentato un’ inclinazione “naturalistica”, durante l’ epopea rivoluzionaria risaltano i caratteri del “vero” sia nella descrizione degli eventi sia nella scelta dei soggetti che nel modo di rappresentarli, fino alla raffigurazione estremamente realista del brutto come categoria vivente e diffusa nella realtà. Il “brutto” senza abbellimenti e idealizzazioni. Quest’attitudine, che ci raffigura il clima sociale che si respirava, in Francia si colora di un particolare valore di denuncia e dissenso sociale, che darà origine al Realismo, il quale, proprio in virtù di tale etica, l’artista realista, si distinguerà dall’artista verista. Diversifichiamo, insomma, l’atteggiamento talvolta acritico del Verismo, caratteristico della nuova società borghese che ritrae la società così come appare, dall’atteggiamento espresso dal Realismo che rispecchia la volontà di cogliere il nocciolo della realtà, la sua anima più profonda. Si hanno varie poetiche del vero che si colorano di accenti diversi schierandosi, talvolta, su fronti opposti. Sul fronte francese due tendenze hanno risalto nella società e nella cultura, una legata agli ambienti letterari “parnassiani” che attraverso scrittori come Gautier, Mallarmè e Charles Baudelaire propugnano un “arte pura” con la riscoperta dello stile barocco e roccocò, l’altra legata all’affermazione di un impegno civico da parte dell’artista che avrà tra i suoi maggiori esponenti Coubert, Millet e Daumier. Formatosi nella dimensione urbana di Parigi, Daumier, figlio di un vetrario, da autodidatta, va incontro al suo destino attraverso l’arte della litografia. Daumier ci ha lasciato un corpo imponente di 4000 litografie, un migliaio di disegni, 300 dipinti ad olio e una sessantina di pezzi di scultura. Collaborò con i giornali satirici “La Silhouette”, “La Charivari” e “La Caricature”, di cui fu redattore il letterato Honoré de Balzac. Con la sua satira politica, Daumier, accompagnò la caduta di Carlo X, il regno di Luigi Filippo, i moti del’48, l’ascesa di Napoleone III e l’insurrezione del 1871. La sua interpretazione di Luigi Filippo in veste di “Gargantua” intento a divorare tutte le risorse dei sudditi, ricorda il personaggio del romanzo di Rabelais, e l’ indimenticabile caricatura del sovrano in forma di pera, gli costarono sei mesi di carcere. Negli anni successivi i periodici coi quali aveva collaborato furono tutti chiusi e decise di spostare la sua satira dalla politica alla società, rappresentando e bersagliando di volta in volta varie categorie sociali di tutti i livelli.  Dal fatidico 1848 iniziò a dedicarsi anche alla pittura, traendo spunto dai grandi maestri Goya e Gericault. Nell’opera di Daumier vi è una sostanziale continuità tra le arti da lui praticate, poiché il modo di utilizzare il colore è più vicino all’andamento del segno grafico che si carica di effetti luminosi e questi ultimi, a loro volta, sono centrali nel suo modo di intendere la scultura. La ricerca pittoricistica della luce attraverso la vibrazione della superficie ricorre anche in soggetti drammatici, come nei bassorilievi con il tema degli “Emigranti” o come nell’opera pittorica “Il vagone di terza classe”. In quest’ultima opera si rivela, eccezionalmente, un Daumier pittore dei tempi moderni, dedito per primo a fissare sulla tela quel “tempo silente” della vita metropolitana, passata fra le code, le attese, i viaggi nei nuovi mezzi di trasporto. L’artista ci comunica tutta la pesantezza delle moderna civiltà attraverso situazioni e movimenti quotidiani che esprimono la solitudine e la fatica di vivere. Si coglie la mediocrità della modernità, dell’ “uomo senza qualità” descritto dai romanzi di Musil oppure il “piccolo uomo” che sarà interpretato da Kafka. La descrizione dei cosiddetti “tempi morti” del Daumier e la pesantezza di tutta la civiltà moderna industriale, induce inevitabilmente a riflessioni. Oggi, che sia la metropoli di Milano o quella di Napoli, quante volte avvertiamo, cogliamo e sentiamo tale pesantezza?  

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