Diletta, protagonista del romanzo di Rosalia Alberghina, non ha girato il mondo eppure, in qualche modo, è stato il mondo ad andarle incontro. Lei lavora come addetta allo scalo aeroportuale, ovvero come hostess di terra e di persone, provenienti da ogni angolo del pianeta, ne ha incontrate e incrociate davvero tante.
Sin dall’antichità, spedizioni fantastiche verso un altrove reale o immaginario, discese agli inferi e voli estatici nell’ottavo cielo, viaggi al limite del mondo conosciuto, sulla luna o giù negli abissi, oltre i confini del cosmo e del tempo, hanno stimolato l’immaginazione poetica della letteratura mondiale. Sono itinerari di conoscenza attivati dalla curiositas e dal senso di meraviglia dell’eroe, oppure sono percorsi utopici che sondano le possibilità di miglioramento del vivere collettivo. Possono, a volte, assumere la forma di viaggi allegorici, di pellegrinaggi oltremondani o di tragitti mistici, arcani, sacri.1
Il viaggio, dunque, come struttura originaria di ogni opera narrativa è una nozione che evoca un ampio orizzonte antropologico, in grado di spiegarne la straordinaria molteplicità e longevità. Un tema di lunga durata, che attraversa la letteratura dal mondo antico a oggi, e si manifesta in sentieri immaginari come nelle frontiere più tangibili degli spazi geografici, a rappresentare la vocazione umana all’erranza.2
La conoscenza del mondo attraverso il passaggio di tutti i viaggiatori dall’aeroporto dove lavora, rappresenta, in un certo senso, il viaggio allegorico di Diletta. Questa infatti non solo riflette sulle informazioni apprese dalle persone conosciute ma le utilizza per immaginare anche la sua esistenza oltre il viaggio non-viaggio di tutti gli anni trascorsi in aeroporto.
Scrivere e viaggiare sono entrambe attività che hanno origine da un atto di straniamento e “defamiliarizzazione” che disorienta lettore ed esploratore insieme. Essere testimoni di realtà mai viste prima, meravigliose e sconosciute, favorisce anche una nuova e diversa consapevolezza e ridefinizione dei limiti del linguaggio. In tutte le sue varianti, il viaggio è un’esperienza che mette in discussione visione del mondo e identità abituali, grazie alle conseguenze trasformative dello spostamento in terre incognite e dell’incontro con l’altro. Può essere una ricerca con effetti negativi o positivi, risultare in un guadagno o in una perdita, portare a una nuova conoscenza di sé, e un’espansione della propria coscienza, oppure alla dissoluzione. Dall’idea convenzionale del viaggio come distacco motivato da necessità ed esigenze di vario tipo, si arriva a formulazioni postmoderne e postcoloniali che celebrano, invece, l’erranza nomadica e senza mete stabilite, l’opportunità, insomma, di girare il mondo abbandonandosi alla corrente di modalità dinamiche più relazionali e reciproche di dialogo e scambio, al di là di gerarchie statiche, categorie immutabili e ruoli prefissati.3
Nell’andirivieni di passeggeri viaggiatori si insinua e si incunea anche l’esistenza, un po’ reale e un po’ immaginata, di Diletta la quale prova a costruire, o solo immaginare, anche la sua vita sentimentale rimanendo ferma, a tratti immobile, mentre tutto il mondo sembra girarle vorticosamente intorno.
L’amore scritto è espressione di una necessità degli uomini (e delle donne), quella di raccontare la tensione verso la propria identità per coglierne il senso e il valore; attraverso il linguaggio si svela la narrazione del sé, si ricerca l’Io mediante la rappresentazione delle sue forme. Scrivere sull’amore sembra allora permettere/promettere un ricongiungimento del soggetto con la natura dialettica dell’identità che la vuole composta dall’alterità, nel momento in cui il sentimento amoroso spinge verso e oltre sé, indicando l’origine e la fine di una ricerca.4
E Diletta ha condotto quasi in maniera spasmodica la sua personale ricerca non tanto e non solo dell’amore in sé quanto, piuttosto, della persona che potesse rispondere a tutte le aspettative, prevalentemente non sue ma di sua madre e che rientrasse appieno nei canoni standard voluti da società e famiglia. Ovviamente queste aspettative hanno ingenerato non poche pressioni nella ragazza. Pressioni che hanno poi influito su scelte, decisioni e indecisioni, ribellioni, emozioni, sentimenti e comportamenti.
La storia di Diletta diventa così l’itinerario di un lungo viaggio con tanti scali e cambi di destinazione inaspettati, ritardi, cancellazioni, chiusure e riaperture. Un viaggio che la conduce e la fa impattare contro l’emoticon di un cuore rosso fasciato da una benda bianca e la sua mente subito lo raffronta con il kintsugi, l’antica arte giapponese di riparare le rotture e fare in modo che anche le sue cicatrici diventino qualcosa di prezioso.
Irma Loredana Galgano
#
Rosalia Alberghina, Diletta, Rossini Editore, Milano, 2024
1F. De Cristofaro, R. Antonangeli, Introduzione. Il viaggio immaginario: le terre incognite della scrittura tra epica, fantastico ed ecofemminismo, in StatusQuestions : Language Text Culture, n° 24, 2023.
2D. Capodarca, Viaggi e pellegrinaggi tra storia e letteratura, in Annali Online di Ferrara, Unife – Università di Ferrara, 2012.
3F. De Cristofaro, R. Antonangeli, op.cit.
4A. Taglioli, Fenomenologia dell’amore scritto, in SocietàMutamentoPolitica, vol. 2, n° 4, Firenze University Press, Firenze, 2011.