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Sandro Bonvissuto. La gioia fa parecchio rumore

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Ci sono infinite forme d’amore ed è proprio d’amore che parla questo romanzo.

«Cominciare ad amare è come rompere qualcosa che prima funzionava, è disobbedire all’ordine precedente, smettere di subire l’amore per esercitarlo. È disobbedienza, sì. La vita si trasforma per il sopraggiungere dell’amore, e non è solo un passare da un senza a un con, ma da un prima a un dopo al punto che poi, a ripensarci, forse non è più nemmeno corretto continuare a chiamare l’esistenza con lo stesso nome di un tempo».

Inizia così per il protagonista un amore viscerale, profondo, unico e condiviso. L’amore per la propria squadra di calcio, in questo caso la Roma, che si propaga congiungendosi all’amore per la città stessa, la città eterna e per quel numero – il 5 – su cui il meraviglioso personaggio di Barabba ci illumina sotto ogni aspetto possibile.

Un amore completo, pieno, che ha al suo interno una sofferenza incredibilmente reale e dolorosa accompagnata da una serie di riti imprescindibili che iniziano sin dalla più tenera età per proseguire durante tutto l’arco della vita. Dalla logica comunitaria di famiglia, che è una logica non scritta e rigorosa, ci si ritrova in una logica comunitaria universale che unisce attraverso l’amore. L’amore per la bandiera, per la sciarpa, per la Città, per il pane con la frittata. L’amore della logica vincente secondo la quale per resistere bisogna guardare a quello che ci accomuna e non solo a quello che ci divide.

Leggendo viene voglia di far parte di quei noantri, di quel «noi che siamo altro da voi».

Un romanzo decisamente di formazione che dovrebbe entrare nelle scuole a pieno titolo al posto, magari, di certi noiosissimi volumi. Un romanzo che insegna la passione, la correttezza passionale con le sue regole ferree e imprescindibili. Il tutto visto con gli occhi di un bambino che guarda e agisce con una serietà impareggiabile, un bambino il cui rigore gerarchico e solenne si ravvisa in ogni gesto e in ogni pensiero tanto nello smercio, austero e puntuale, delle figurine Panini quanto nell’analisi degli adulti e delle vicende della vita. Un bambino che il noantri lo trova a casa, allo stadio, ma anche al bar dove nessuno è come sembra ma nessuno è solo:

«Comunque al bar non ti sentivi mai solo. Era l’unico luogo al chiuso dove trovi una ragione forte per rimanere dentro, oltre a casa tua. Era una seconda casa, che custodiva una seconda famiglia. E ti faceva sentire diverso da te stesso».

Un affresco degli anni 80 dipinto con una scrittura meravigliosa. È decisamente di letteratura che parliamo, non vi è alcun dubbio in merito. La letteratura che ci insegna la lealtà, l’amore, la vita e la morte.

Flora Fusarelli

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