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Scenario. Intervista a Riccardo Benzina

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Scenario è l’esordio in poesia di Riccardo Benzina. Una poesia che si dilata in tre sezioni e fa del verso un medium di apprensione del reale. Scenario evoca il mondo in tre momenti e spazi differenti: Madre di nessuno, La fame, Nero. Luoghi differenti che collocano il libro in una indefinita zona dove il poeta più che progettare, è progettato. Gettato nel desiderio, il poeta sperimenta il suono delle parole fino alla conclusione, la parola finale, ‘scenario’, appunto, che diventa il titolo stesso del libro. Après coup, un viaggio che parte dalla fine e arriva all’inizio di ogni materia. Si fa comprendere dopo, proprio come un fiammifero la cui funzione è consumarsi, sfinirsi, Fiammiferi è il titolo della copertina, opera digitale dello stesso autore, quasi a testimoniare la vocazione a mostrare della parola e della poesia di Benzina. La scrittura di Benzina non si mantiene nella categoria della poesia e spesso oltrepassa il genere e vi ritorna in un indefinito viaggio che non calcola e non costruisce. Silenzi, buchi, ondeggiamenti di senso intorno alla Cosa della scrittura. Silenzi come spazi tra fine e inizio. Transizione perpetua del linguaggio che rende Scenario un’opera in progress. Un territorio che si scrive mentre lo si attraversa. Strati e stati di passaggio. Come se i diversi generi letterari fossero appunto solo differenti gradazioni fisiche e chimiche di una stessa sostanza, la Cosa, appunto, della scrittura desiderante. Scenario è, nel gergo teatrale, il canovaccio dell’intreccio sul quale gli attori della commedia dell’arte improvvisano il dialogo. Il dialogo che Riccardo Benzina improvvisa con chi legge sa cogliere lo specifico del viaggio, l’imprevisto, il guizzo, con «ingegnoso humour nero» e mostra uno sguardo diverso del mondo cosmico e interiore.

Gianluca Garrapa

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«Ma lo spettacolo è finito, e deve continuare» è un verso della prima sezione Madre di nessuno, sezione che hai composto a Manchester. La tua scrittura punta sulla finitudine come transizione, sul viaggio come metamorfosi. Ma anche è attitudine teatrale a girovagare i generi e trans-gredirli. Che rapporto hai con i generi extraletterari?

Forse l’infinito non è altro che un sottofondo nel quale si agitano una molteplicità di finitudini. E l’uno e le altre comunicano in qualche modo. O forse no. Comunque l’io di questo libro, più o meno consapevolmente, gioca a confondersi: il suo destino è una genesi pressoché compulsiva, il suo vezzo una sbadata metamorfosi. È un io dissoluto e ha molti margini d’errore. Questo è quanto. Non mi interessano i generi, non mi interessa trasgredire. Con l’extraletterario ho un rapporto molto stretto, come tutti. E a pensarci bene c’è una vocazione, un’attitudine teatrale nella scrittura di Scenario – ma è spesso abbandonata, poi ripresa… discontinua, insomma. Io sulla pagina deposito questo: un qualche tipo di oralità fossile che chiede al lettore soltanto di essere risvegliata, come una bella addormentata nel bosco.

«(E quel che era opera prima, dopo torna

desiderio)»: il tuo viaggio poetico colloca il caos dell’esistere in un divenire senza meta, che però, nello sprogettarsi dalla costruzione a tavolino dell’opera scritta, confonde in una sinestesia di ordine altro le se(nsa)zioni che vengono dal territorio, dalla terra, dalle ossa sepolte. Il desiderio è lì, sempre, a vagare e vangare i buchi che attraggono i desideri della scrittura: come nasce la tua poesia, da quali letture, da quali visioni o ascolti di suoni e rumori è guidata?

Ci sono mete provvisorie: stancarsi è una di queste. Il richiamo a proseguire, poi, è sempre dietro l’angolo, finché a uno funzionano le orecchie. Ma serve anche una certa risoluzione. I testi che scrivo nascono da quelli che ho letto, ma tutto è testo (“perciò hai disteso come una pelle il firmamento del tuo libro”) quindi mi riuscirebbe molto difficile fare una lista. Credo sia fondamentale perdersi, in generale: non avere necessariamente la misura di un riferimento.

«Solo aria e sole, buchi nel paesaggio –

cinerarie

lacci lunghi esantemi

ulteriormente sole

in via Adelfia alle sette meno un quarto di mattina lunedì.» È un estratto dalla seconda sezione, La fame. Come in altri luoghi del tuo testo, il suono si dilata e si fa meno poesia, ma non meno poietico, cioè costruttore di significato ulteriore. La seconda sezione nasce in Puglia: come il territorio e il contrasto tra diverse lingue influenza la tua scrittura?

Al di là delle etichette e delle categorie, da lettore mi interessa tutto ciò che innesca processi, offre suggestioni, crea mondi. Quindi, anche da scrittore. Costruire senso, più che significato. E così credo, in virtù di quanto accennavo prima (l’extraletterario, l’idea di testo), che i luoghi e le lingue siano componenti essenziali della scrittura. Nel mio caso hanno agito per contrasto: sovrapponendosi prima e sfondandosi poi, finché la loro frizione non è giunta a fioritura.

«Io svoltavo, per cancerose entropie. Andavo

a lei ricoverata in una siccitosa valle coi cardi a perimetro.» L’ultima sezione, Nero, ci fa vagare nell’indefinito scenario di una morte che non conclude nulla e che anzi si fa varco per ulteriori altrove, ritorni altri. Quanto la tua esperienza biografica ha ospitato questa poesia e come l’ha resa, per così dire, extracorporea, mai autoreferenziale?

In effetti si tratta di una chiusura che è un varco: per quanto possa sembrare paradossale, non lo è. Infatti questo libro non finisce. Ad ogni modo, per rispondere alla tua domanda, non sono del tutto sicuro di sfuggire così bene all’autoreferenzialità. Neanche mi interessa farlo per il gusto di farlo, ecco. Esiste un certo rapporto di simbiosi… ciò che posso affermare con certezza è di aver ospitato a lungo il testo – e di continuare a ospitarlo, in qualche modo. È un figlio non del tutto partorito.

«Quando tutto è stato fatto, lo spazio non c’è più» e da qui la vocazione drammaturgica della tua scrittura che ha bisogno di molto spazio per iniziare a dire, e la dilatazione del verso sulla pagina testimonia la teatralità cui aspira questa sorta di poema. Scenario è il tuo esordio da poeta: cosa c’era prima di questa poesia, di questa scrittura?

Sto cominciando a dimenticarlo.

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