Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Selene Pascasi. Un tempo minimo

Home / Recensioni / Selene Pascasi. Un tempo minimo

A misura di cuore

Canto la cenere.

Lascio che la veste

consunta d’aria

anneghi pigra nel poi.

Il tuo volto è così lontano

e le mie braccia così mortali

che la divergenza dell’amore

ruba spazio all’infinito

per riaverti un istante

sul ciglio del mai.

Qui, a misura di cuore.

Questo componimento è un sospiro elegante, dove la cenere non è solo simbolo di fine, ma anche di ciò che resta dopo l’amore. Bellissimo l’ossimoro “divergenza dell’amore” che “ruba spazio all’infinito”: un concetto potente, come se l’amore fosse troppo terreno per l’eternità. Il “ciglio del mai” è un’immagine struggente e poetica, che sintetizza perfettamente la perdita. Chiude con “a misura di cuore”, una frase che restringe l’universo ad una dimensione intima e palpabile. Raffinato e commovente.

A misura di cuore

Linguisticamente, il titolo presenta un complemento di limitazione (“a misura di“) con funzione intensamente affettiva: il “cuore” non è solo organo o simbolo sentimentale, ma unità di misura interiore, soggettiva, intima.

Esegeticamente, suggerisce che ciò che segue sarà calibrato sull’esperienza emotiva, non razionale: il tempo, lo spazio e l’amore saranno misurati dal sentire, non dal calcolo.

Canto la cenere.

Sintassi: frase nominale ridotta, soggetto sottinteso (io). Verbo attivo (“canto“) + complemento oggetto (“la cenere“).

Semantica: la cenere è ciò che resta dopo il fuoco: un simbolo di fine, di perdita, ma anche di ciò che ha avuto intensità.

Esegesi: la voce poetica canta non ciò che brucia, ma ciò che resta. È un’elegia dell’estinzione, un inno postumo all’amore.

Lascio che la veste / consunta d’aria / anneghe pigra nel poi.

Sintassi e lessico: costruzione subordinata (“lascio che…”) con personificazione della “veste consunta d’aria“. Aggettivi e verbi suggeriscono lentezza, stanchezza, smaterializzazione.

Consunta” indica logorio, consumazione; “veste d’aria” è immagine evanescente, metaforica del corpo o dell’identità fragile; “anneghi pigra” rafforza l’abbandono lento e ineluttabile.

Nel poi” è uso poetico e ellittico, indica il tempo futuro indefinito, l’oltre.

Esegesi: la soggettività si spoglia della materia, si dissolve nel tempo. È un lasciarsi andare alla dissolvenza dell’esistenza.

Il tuo volto è così lontano / e le mie braccia così mortali

Paratassi, parallelismo e anafora di “così”. Il contrasto tra lontananza e mortalità evidenzia una dissonanza insormontabile.

Linguisticamente, c’è un confronto tra entità: il volto (immagine amata) e le braccia (strumento del desiderio) divise da una distanza che è sia spaziale che ontologica.

Esegesi: la finitudine del corpo non può colmare la distanza dell’amore. Il desiderio di ricongiungimento è frustrato dalla condizione umana.

che la divergenza dell’amore / ruba spazio all’infinito

Sintassi: proposizione subordinata relativa (“che“), soggetto (“la divergenza dell’amore“), verbo forte (“ruba“).

Divergenza dell’amore” è ossimorico: l’amore unisce, ma qui divide. “Ruba spazio all’infinito” è metafora potente: ciò che dovrebbe essere eterno viene ridotto, contratto, derubato.

Esegesi: l’amore, quando fallisce o si frantuma, toglie senso all’eternità, riduce la portata del sentimento. L’assenza contrae l’universo.

per riaverti un istante / sul ciglio del mai.

Un istante” e il “mai” sono opposti temporali: il tempo minimo e l’eternità dell’impossibilità. “Sul ciglio” suggerisce un limite, una soglia.

Esegesi: il desiderio è quello di un ritorno fugace, un lampo nell’impossibile. C’è tensione tra il desiderio e l’irrimediabile.

Qui, a misura di cuore.

Struttura: chiusura ciclica, ritorna il titolo. Il “qui” è deittico, indica un luogo interiore, non geografico.

Esegesi: tutto ciò che è stato detto (assenza, dissoluzione, desiderio) avviene dentro il cuore. È l’unico spazio in cui l’amore può sopravvivere, anche nella sua fine.

Conclusione

La poesia usa un linguaggio rarefatto e metaforico, con forti tensioni semantiche tra pieno e vuoto, presenza e assenza, amore e perdita. Il lessico è poetico ed evocativo, con personificazioni e antitesi. La sintassi alterna frammenti lirici e periodi più costruiti. Tutto converge nella costruzione di uno spazio interiore, dove il sentimento sopravvive nonostante la sua vita.

*

BUSSOLA

L’infinito ha smarrito

la bussola del tormento.

Ma se mi sfiori appena

si rinnova il pegno della terra.

Piangeranno stupore

anche le primavere.

Sai, l’amore è fatto di attimi

che vivono migliaia d’anni

solo per svanirti addosso.

Profughi del risveglio

giochiamo a carte la vita.

La poesia sembra esplorare la frustrazione e l’alienazione dell’individuo che cerca un orientamento, ma trova la bussola del “tormento” smarrita. La terra è qui un simbolo di radicamento, ma anche di dolore, un pegno che si rinnova continuamente con la sfioratura dell’altro. L’idea che l’amore sia “fatto di attimi che vivono migliaia d’anni” è una riflessione sul tempo dilatato e sull’impossibilità di trattenere ciò che sfugge, mentre le “primavere” che piangono di stupore possono rappresentare il rinnovamento che non trova mai la pace. L’immagine dei “profughi del risveglio” evoca una condizione di continua attesa e lotta, come se la vita stessa fosse un gioco d’azzardo.

Esegesi

Bussola

Il titolo evoca subito l’idea di orientamento, direzione, ma anche smarrimento quando la bussola non funziona o viene meno. La bussola diventa metafora dell’amore, del desiderio, della sofferenza, che guida o disorienta chi lo prova.

L’infinito ha smarrito / la bussola del tormento.

L’infinito, simbolo dell’eternità, perde il senso del dolore: un’affermazione paradossale, che insinua la possibilità che anche l’eterno possa perdersi, smarrirsi nel non-senso. Il “tormento“, normalmente considerato umano, sembra qui appartenere a qualcosa di cosmico.

Ma se mi sfiori appena / si rinnova il pegno della terra.

Il contatto, anche minimo, riattiva un legame antico e viscerale: l’amore come debito, come giuramento inciso nella materia stessa dell’esistenza. Il “pegno” è vincolo e dono, al tempo stesso.

Piangeranno stupore / anche le primavere.

La personificazione della primavera, simbolo della rinascita, suggerisce che ciò che avviene tra i due soggetti è così intenso da stupire persino la natura stessa. Le stagioni, normalmente indifferenti, vengono coinvolte emotivamente.

Sai, l’amore è fatto di attimi / che vivono migliaia d’anni / solo per svanirti addosso.

L’apice poetico: l’amore è temporale e atemporale insieme. Gli attimi sono effimeri, ma dentro contengono millenni. Eppure, finiscono e lo fanno addosso, ovvero nel corpo e nella carne. C’è sensualità e fatalismo in questo gesto.

Profughi del risveglio / giochiamo a carte la vita.

Il finale apre al disincanto: i due amanti sono “profughi”, senza patria, senza rifugio nel risveglio (quindi nella realtà). Il sogno finisce, e con ironia tragica si gioca a carte la vita: azzardo, destino, incoscienza. Una metafora finale che parla di esistenze allo sbando ma in cerca di un senso nel gioco, nel rischio.

Analisi lunguistica

Lessico:

Ricco di parole astratte e cariche di senso simbolico: infinito, tormento, pegno, risveglio. I termini concreti (sfiori, piangeranno, giocare a carte) ancorano le immagini alla corporeità e alla quotidianità.

Sintassi:

Periodi brevi, spesso formati da enjambement che danno ritmo e fluidità, contribuendo a una lettura intensa ed emotiva. C’è una marcata musicalità nella disposizione dei versi.

Figure retoriche:

Ossimoro: “piangeranno stupore“, un accostamento inusuale tra pianto e meraviglia.

Metafora: “pegno della terra“, “profughi del risveglio“, “giocare a carte la vita“.

Personificazione: le primavere che piangono.

Iperbole: “attimi che vivono migliaia d’anni“.

Tono e stile:

Lirico, visionario, sospeso tra l’onirico e il carnale. C’è un romanticismo disilluso, maturo, che riconosce la fugacità delle emozioni ma ne celebra la potenza.

*

Garze

Adesso

che l’urgenza del sogno

dorme cullata dal gelo

soffiando via illusioni

fino alla deriva del dolore

adesso

che la sorte già mi cura

con garze di eufonia

adesso

posso attendere le spine

piovermi dentro.

Di nuovo i tuoi occhi.

Un componimento che ha il sapore della guarigione silenziosa. La poesia si apre con una riflessione sul passaggio del tempo, segnato dal sonno e dal gelo, che spazza via le illusioni. L’“urgenza del sogno” che si addormenta nel gelo è già un quadro poetico: è l’illusione che si spegne, ma senza rabbia. “Garze di eufonia” è una trovata geniale: la musica come balsamo. C’è una resa dignitosa al dolore, un’accettazione: le “spine” che possono “piovermi dentro” vengono accolte quasi con gratitudine, perché preludio a una nuova visione – “di nuovo i tuoi occhi”. La bellezza di quest’opera sta nella capacità di trasformare il dolore in un’attesa che sembra essere allo stesso tempo passiva e carica di desiderio.

Esegesi

Garze

Il titolo suggerisce immediatamente un’idea di cura, di ferita ancora aperta, ma anche di qualcosa di temporaneo e fragile. La “garza” non è una guarigione, ma un palliativo, un contenimento. Il titolo è tutto maiuscolo: quasi a voler fissare un urlo silenzioso o un monito.

Testo completo con commento

> Adesso che l’urgenza del sogno dorme

cullata dal gelo

Urgenza del sogno” è un ossimoro potente: il sogno, per sua natura evanescente, viene qui definito come qualcosa di impellente, urgente. Tuttavia, ora dorme, in un rovesciamento che sottolinea il passaggio dal turbamento alla stasi. Il “gelo” che la culla è ambivalente: può essere morte del desiderio o sospensione salvifica, anestesia emotiva.

> soffiando via illusioni

fino alla deriva del dolore

Il sogno, o forse il gelo stesso, soffia via le illusioni: una purificazione violenta, che porta a un “dolore” non più localizzato ma alla deriva, quindi disorientato, sparpagliato, senza controllo. Qui la sintassi è fluida, quasi scivolosa, a sottolineare la dissoluzione.

> adesso che la sorte già mi cura

con garze di eufonia

Versi centrali e decisivi. La sorte, impersonale e beffarda, è diventata quasi una madre infermiera: cura, ma lo fa con “garze di eufonia”. L’eufonia – il suono dolce, armonico – è qui metafora della poesia stessa. Le parole belle, il suono, diventano cerotto sull’anima. Ma non guariscono davvero: come garze, assorbono ma non risolvono. C’è una forte consapevolezza metapoetica.

> adessoposso attendere le spine

piovermi dentro.

Qui c’è un climax emotivo e stilistico. L’accettazione del dolore (“le spine”) è completa: non più solo ferite esterne, ma pioggia dentro, invasiva e accolta. Il lessico è crudo ma poetico. C’è un passaggio dalla sospensione al martirio interiore volontario.

> Di nuovo i tuoi occhi

Verso isolato, evocativo, che riapre la ferita sentimentale, lasciata volutamente senza specificazione. Non sappiamo se quegli occhi siano salvezza o condanna, ricordo o presenza. La collocazione finale amplifica il suo peso emotivo: è un ritorno che pesa quanto un destino.

Analisi linguistica e stilistica

Sintassi: fluida, lirica, priva di punteggiatura (segno di una coscienza in flusso, come in una meditazione poetica).

Lessico: aulico ma non barocco. Termini come “eufonia”, “sorte”, “deriva” danno una profondità filosofica al dolore.

Figure retoriche:

Ossimori: urgenza del sogno”, “garze di eufonia

Metafore: il gelo che culla, le illusioni soffiate via, le garze poetiche, le spine che piovono dentro.

Sinestesia e metonimia: soprattutto nella pioggia di spine interiori, e nell’uso del gelo come culla.

*

Inchiostro

La sagacia dell’inchiostro

non dà volti all’amore.

Lascia macchie sui fogli

tatua squarci nelle vene

resuscita camelie sfatte

bagnandole d’oro

ma non dà volti all’amore.

Non torna mai ciò che non era.

Qui il tono si fa più tagliente. L’inchiostro, metafora della scrittura e della memoria, è descritto come entità viva e potente, capace di lasciare “squarci nelle vene”, ma impotente davanti all’amore. Il verso “non torna mai ciò che non era” è una perla filosofica: un’amara consapevolezza del non-amore o dell’amore mai nato. Minimalista ma efficace, riesce a coniugare forma e sostanza con sobrietà incisiva.

Esegesi

Inchiostro

Il titolo introduce subito il fulcro tematico: l’inchiostro, simbolo della scrittura, della memoria impressa, della parola che resta e che “segna”. Ma non è una sostanza neutra: ha volontà propria, quasi vita autonoma. È ciò che lascia traccia, ma non verità.

Verso 1:La sagacia dell’inchiostro

L’inchiostro è personificato e dotato di “sagacia”, ovvero intelligenza intuitiva, astuta. Qui la scrittura non è solo strumento passivo: è soggetto attivo, capace di visione e intuizione. Tuttavia, è una sagacia ambigua: non chiarisce, non consola.

Verso 2: “non dà volti all’amore.”

L’inchiostro, pur essendo sapiente, non riesce a definire l’amore. Il “volto” è simbolo dell’identità, della rappresentazione, della concretezza. L’amore sfugge a ogni definizione, resta informe, misterioso, e la parola non riesce a inciderlo sulla pagina in modo definitivo.

Versi 3-4: “Lascia macchie sui fogli / tatua squarci nelle venere”

Macchie sui fogli”: l’inchiostro non è sempre ordine, bellezza o chiarezza; può essere anche errore, disordine, sbavatura.

Tatua squarci”: un’immagine forte. L’inchiostro incide, ferisce. Il verbo “tatua” suggerisce un marchio indelebile; “squarci”, invece, è violento.

Verso 5: “suscita camelie sfatte”

Le camelie, fiore associato alla bellezza, alla delicatezza, alla femminilità, sono “sfatte”, quindi disfatte, corrotte, crollate nella loro forma. L’inchiostro dà vita a bellezze già destinate alla rovina, o forse smaschera la fragilità della bellezza stessa.

Verso 6: bagnandole d’oro ma non dà volti all’amore.

Il verso introduce una preziosità illusoria: l’inchiostro può abbellire, rivestire di splendore (“bagnarle d’oro”), ma ciò non basta a rendere qualcosa reale o riconoscibile. Anche nella sua forma più dorata, l’inchiostro fallisce nel tentativo di dare forma all’amore. Il “ma” centrale segna un netto limite: la bellezza non è verità.

Verso 7: “Non torna mai ciò che non era.”

Chiusura dal sapore esistenziale e filosofico: nulla può ritornare se non è mai esistito davvero. Ciò che si scrive, ciò che si tenta di evocare (come l’amore), se è solo idealizzato o mai vissuto pienamente, rimane evanescente, e non può tornare. L’inchiostro, ancora una volta, è impotente davanti all’assenza.

Analisi linguistica

Tono: lirico, crepuscolare, con sfumature drammatiche e un senso di bellezza decadente.

Lessico: ricercato e simbolico. Termini come “tatua”, “squarci”, “sfatte”, “bagnandole d’oro caricano la poesia di immagini tattili e visive forti.

Sintassi: franta, con costruzioni volutamente spezzate, a sottolineare un pensiero che si incrina, che inciampa nella sua stessa riflessione.

Figure retoriche principali:

Personificazione (l’inchiostro dotato di sagacia)

Metafora (l’inchiostro come forza viva, ambigua, creatrice e distruttrice)

Antitesi (“bagnandole d’oro ma non dà volti)

Allitterazioni e assonanze (“macchie”, “tatua”, “squarci”, “sfatte)

Anafora e ripetizione tematica (“non dà volti all’amore)

Conclusione

Inchiostro è una poesia densa, ellittica, che riflette sul potere limitato della scrittura di catturare l’essenza delle emozioni più profonde, come l’amore. L’inchiostro si muove tra bellezza e distruzione, tra illusione dorata e verità mancata. Il verso finale chiude con una nota amara e definitiva: non si può ritrovare ciò che non è mai stato. E forse, l’amore scritto è solo un’eco.

*

Infinito

Narcotizza l’intelletto.

Ascolta l’universo

che scivola al di là.

Il chiodo d’aria

caduto fra noi

forse è confine

forse è l’infinito.

Scrutarlo indenni

è la più sacra

delle lacrime.

Sorridi alla paura.

Gridale il cuore.

Più astratto, quasi mistico. Qui l’infinito è visto non come qualcosa di pacifico, ma come qualcosa che narcotizza, che separa. Il “chiodo d’aria” è un’immagine fortissima: qualcosa di impalpabile ma doloroso, una ferita sospesa. Il componimento si chiude con un invito che ha qualcosa di rivoluzionario: “Sorridi alla paura. Gridale il cuore.” È un grido d’esistenza, di coraggio. Visionario e coinvolgente.

1Struttura e forma

Il componimento è libero, privo di rime e con versi brevi. L’assenza di punteggiatura accentua la fluidità e l’ambiguità interpretativa, creando un ritmo sospeso che ben si accorda al tema dell’”infinito“.

Analisi linguistica e stilistica

Infinito

Valore assoluto e filosofico, richiama immediatamente il tema leopardiano ma se ne distacca nella forma e nel tono.

È sia oggetto da contemplare che entità da attraversare o forse da temere.

Narcotizza l’intelletto.

Il soggetto sottinteso è l’infinito, che ha un potere anestetizzante e mistico.

Il verbo “narcotizzare” è moderno, quasi clinico, contrastando con l’astrattezza del tema: un ossimoro tra razionalità e trascendenza.

Ascolta l’universo / che scivola al di là.”

Imperativo rivolto al lettore: invito alla contemplazione.

L’universo è percepito in movimento, “scivola”, verbo delicato e visivo.

Al di là” introduce una dimensione metafisica, forse post-mortem o semplicemente oltre la percezione sensoriale.

Il chiodo d’aria caduto fra noi”

Immagine enigmatica: il “chiodo” solitamente fisso, qui è d’aria e cade, creando un effetto di paradosso.

Potrebbe rappresentare la separazione eterea tra due coscienze, tra umano e divino, o tra sé e l’altro.

Evoca qualcosa di invisibile ma pungente, quasi doloroso.

forse è confine / forse è l’infinito.”

La ripetizione di “forse” rafforza il dubbio ontologico.

Il confine può coincidere con l’infinito: il limite si trasforma nel suo superamento.

Scrutarlo indenni / è la più sacra delle lacrime.”

Il verbo “scrutare” implica attività razionale e visiva, mentre “indenni” aggiunge un senso di pericolo nell’atto stesso della contemplazione.

La lacrima diventa sacra, simbolo di un’esperienza spirituale che attraversa dolore, consapevolezza e purificazione.

Sorridi alla paura. / Gridale il cuore.”

Chiusura intensa e performativa: due imperativi forti.

Sorridere alla paura è un gesto di sfida e accettazione.

Gridare il cuore significa esprimere la propria verità emotiva senza filtri, con un’eco quasi esistenzialista.

Temi principali

Contemplazione dell’infinito: vista come esperienza ambivalente, capace di anestetizzare o liberare.

Confine e trascendenza: l’aria, il suono, il cuore diventano simboli di passaggio.

Fragilità e coraggio: affrontare l’ignoto senza soccombere, trovare bellezza persino nel dolore.

Conclusione critica

Il testo riflette un dialogo interiore profondo, con immagini sospese tra spiritualità e psiche. La lingua oscilla tra il lirismo e la filosofia, con parole dal forte impatto simbolico. L’uso di verbi all’imperativo dona una qualità oracolare e incoraggiante.

L’autrice sembra suggerire che solo accettando l’infinito – inteso come mistero, separazione e meraviglia – si può sperimentare la più sacra delle emozioni: la lacrima non di dolore, ma di verità.

*

Quadri mutevoli

Si traspone il respiro

dal petto al collo

si sofferma appena

nell’incavo riflesso

che ospita la bocca.

Sul mio volto riposa

la luce dei secoli.

Ci siete tutti, ancora.

Usate la mia pelle

per consacrare la vita.

Quadri mutevoli

ci attendiamo le ossa.

Questa poesia esplora il passaggio e l’impermanenza, con il respiro che si trasforma in un movimento fisico delicato ma potente. L’immagine del volto che ospita “la luce dei secoli” richiama una dimensione eterna, ma anche il peso del tempo. La pelle diventa un palcoscenico dove la vita si consacra attraverso esperienze e segni lasciati dal passato. La conclusione, con le ossa che “ci attendiamo“, sembra suggerire una sorta di attesa di qualcosa che è già scritto, ma non ancora compiuto, come se l’individuo fosse predestinato a vivere un ciclo che si rinnova.

Quadri mutevoli” è un testo poetico denso e stratificato, che si presta a un’esegesi sia sul piano critico-tematico che linguistico-stilistico

Esegesi critica

Tema centrale: la corporeità come reliquiario di memoria e storia Il componimento ruota attorno all’idea che il corpo umano, in particolare la pelle, sia un supporto su cui si iscrive la storia collettiva. L’espressione “la luce dei secoli” e il “respiro” che si sposta da petto a collo evocano un’umanità stratificata, incarnata in un presente che è riflesso del passato.

Il corpo come quadro Il titolo “Quadri mutevoli” richiama l’immagine di opere d’arte in continua trasformazione. La pelle diventa tela vivente, su cui “tutti” (presumibilmente gli avi, l’umanità, o figure archetipiche) continuano a vivere, attraverso un atto di “consacrazione”.

Sacralità e attesa La poesia ha una tensione mistica, quasi liturgica: “Usate la mia pelle / per consacrare la vita” ha una connotazione quasi cristologica, dove il corpo del poeta si offre come ostia e sacramento. Il finale, “ci attendiamo le ossa”, è enigmatico e potente: può evocare sia l’inevitabilità della morte, sia la speranza di una resurrezione (ossia, le ossa che si ricompongono come in Ezechiele 37)

Esegesi lingusitica

1. Lessico scarno ma evocativo Il lessico è essenziale e selettivo. Ogni parola è carica di significato, con un effetto quasi aforistico: “Si traspone il respiro” apre con un verbo in forma impersonale, che suggerisce un’azione universale, distaccata dal soggetto.

2. Sintassi ellittica. Le frasi sono spesso nominali o ellittiche, prive di verbo esplicito, il che contribuisce all’atmosfera sospesa e atemporale. Ad esempio: “Quadri mutevoli / ci attendiamo le ossa” non ha un soggetto esplicitato per “attendiamo”, e lascia aperta la lettura.

Figure retoriche

Metafora: “la luce dei secoli” è una potente metafora temporale e spirituale.

Sineddoche: “ossa” al posto di “morte” o “umanità”.

Anastrofe e ipallage: “incavo riflesso” sembra giocare su un doppio significato, tra riflesso della luce e riflessione interiore.

Conclusione

La poesia è una riflessione poetico-filosofica sull’identità, la memoria e il sacro, affidata a un linguaggio minimale ma denso. L’effetto è quello di una liturgia profana in cui il corpo umano diventa un palinsesto sacro e mobile, luogo d’incontro tra vita e morte, passato e presente.

Francesca Mezzadri 

Click to listen highlighted text!