Ci sono libri, molti libri, che uno avrebbe voluto scrivere per la prosa raffinata o graffiante con cui sono stati scritti; altri, sempre molti altri, per l’importanza che hanno rivestito nella formazione degli individui, se non di una intera generazione, attraverso il loro messaggio. E poi ci sono quelli come questo “Senza vizi la vita è una merda” di Franco Schipani (Baldini&Castoldi, 2023, Collana: Le Formiche, pp. 350, € 20), all’interno dei quali c’è un resoconto di una vita vissuta in modo talmente avventuroso e contornata da decine e decine di incontri talmente importanti, da suscitare entusiasta ammirazione, se non bruciante invidia.
Partito da Roma poco più che ventenne alla volta degli Stati Uniti, l’autore può essere definito, senza troppi giri di parole, come uno di quelli che davvero ce l’hanno fatta. Nel suo caso, a coronare il sogno di approdare nel ribollente calderone della New York a cavallo tra i decenni ’70 e ’80 del Novecento e a ritagliarsi uno spazio lavorativo e sociale d’eccezione in un contesto artistico, umano e sociale probabilmente irripetibile. Conosciuto soprattutto come autore e coproduttore del bellissimo documentario Rai “Woodstock: dieci anni dopo”, nonché come cofondatore e corrispondente da New York di Rolling Stone Italia, Schipani è stato, come si suol dire, davvero tante cose: giornalista, critico musicale, autore televisivo, organizzatore di concerti, attore, imprenditore, gestore di locali e direttore artistico di importanti fondazioni. Ma soprattutto, sopra a tutto, è stato uomo che ha attraversato gli anni e le stagioni con una fame di esperienze e scoperte insaziabile, che lo ha portato a condurre un’esistenza spericolata non molto dissimile da quella di certe celebrate rockstar che, tra l’altro, lui ha conosciuto quasi tutte di persona. Leggendo il suo memoir, scritto in preda ad un’ansia comunicativa che ha il beat di una Lust for Life di Iggy Pop (provare per credere!), non si può non rimanere incantati e provare l’irrefrenabile desiderio di saltar giù dal divano o dal letto e andare incontro al destino in preda ad un’incontenibile, energica urgenza di vivere.
Domenico Paris
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Sei partito per New York con un biglietto di sola andata nel 1979. Pensi che perdendo quella coda di anni ’70 la tua esperienza negli Stati Uniti sarebbe stata diversa?
Partire prima non mi avrebbe permesso di fare in Italia tutte quelle esperienze che poi a New York mi sarebbero state utili. Sono arrivato nel posto giusto al momento giusto. Gli anni ’60 sono legati ai ’50, mentre i ’70 erano proiettati nel futuro. E poi, come dice Arthur Bloch: “Nessuna pianificazione, per quanto attenta, potrà mai sostituire una bella botta di culo.”
Nelle prime pagine del tuo racconto newyorchese colpisce la profonda umanità che sembra permeare, nonostante il luogo, i rapporti con le persone che hai incontrato (famose o non famose che fossero). Tenendo presente la svolta “feroce” che avrebbe assunto la quotidianità da quelle parti nei selvaggi anni ‘80, ci puoi parlare dello spirito dei tempi? Che “innocenza” o presunta tale c’era?
Alla fine degli anni ’70, in Italia avevo già fatto tutto il possibile: scritto su riviste musicali, lavorato in radio, organizzato concerti e prodotto dischi. Ma
avevo capito che il futuro era la televisione, ed io volevo imparare a farla. New York era il posto giusto. Da noi, inoltre, si respirava l’aria degli Anni di Piombo e non se ne vedeva la fine. Vedi, Manhattan è un’isola costruita da chi ci era andato a vivere perché non era felice del posto dove era nato o cresciuto, e ci si trasferiva per realizzare i suoi sogni. Agli inizi degli anni ’80 era una città sporca, violenta, sull’ orlo del fallimento economico, ma viveva anche il suo momento di massima follia creativa, con una musica da sballo a fargli da perfetta colonna sonora.
Man mano che le tue attività lavorative e la tua socialità a New York cominciano a decollare, il libro prende ad assomigliare a un romanzo di Breat Easton Ellis o di Jan McInerney di quel periodo, pieni di frenesia e cambiamenti della quotidianità. Ti sentivi parte di questa trasformazione in modo cosciente o ti sei semplicemente lasciato trascinare dalla corrente?
Se ti lasci trascinare e basta diventi un mero spettatore, io invece volevo essere un protagonista, non della mia vita ma del momento storico che stavo vivendo. La mia quotidianità, una volta che sono riuscito ad inserirmi in certi giri, è stata completamente stravolta, perché i ritmi erano infernali, in senso buono ovviamente. Concerti rock da sballo, arte, cultura, incontri magici e poi ovviamente alcol, droghe e tanta tanta figa.
A proposito di ispirazioni letterarie: questo libro è scritto in una lingua stradaiola e priva di artifici che è a dir poco adatta a quello che racconti. Che lavoro hai fatto per dare vita a una prosa di questo tipo? Tutto “flusso” o, per usare un termine musicale, hai dovuto comunque curare gli “arrangiamenti”? Ah, già che ci siamo: sei riuscito a ricordare da solo tutta la gigantesca mole di aneddoti che ci regali?
Sia ben chiaro che non sono uno scrittore, ma uno che racconta storie, innazitutto … Durante la pandemia da Covid, alla soglia dei settant’anni, prima di un eventuale attacco di Alzheimer, ho messo giù delle storie, credo divertenti, della mia vita a New York vissute tra gli anni ‘70 e gli anni ’90. Ne ho scritte un centinaio, così, come le ricordavo. Aiutato da foto e reperti trovati in una mia casa semi-abbandonata. Poi ho avuto le palle di inviarle a Elisabetta Sgarbi per capire se le potessero interessare. Dopo qualche settimana mi chiama e mi dice che si è molto divertita a leggerle, ma che per farne un libro ci sarebbe stato bisogno di sistemarle in un ordine di narrazione più “convenzionale”, meno slegato e meno estemporaneo, come avviene per qualsiasi biografia. All’inizio, le ho risposto che gente come Winston Churchill o Mick Jagger aveva il sacrosanto diritto a una biografia, io ero solo stato un “co-protagonista” della mia vita e che odiavo parlare di me. Il problema principale che mi si è posto è stato quello di rimettere in ordine cronologico episodi di una vita vissuta agli eccessi, tra sballi e sbronze continue, che mal si conciliavano con un’impostazione lineare come quella che mi si chiedeva. Per farlo, avevo bisogno di ricordare tante cose. Insomma, un casino vero! Dove trovare la tranquillità e la concentrazione necessarie? Me ne sono andato in montagna in pieno inverno, circondato dalla neve. E pian piano la nebbia dentro la mia testa si è diradata. Forse avrei dovuto scrivere sotto botta alcolica o con un LSD in corpo, chissà… Ma sono inesorabilmente sobrio e lontano dalle sostanze da oltre vent’anni. Ecco perché vi posso dire senza timore di essere smentito che SENZA VIZI È UNA VITA DI MERDA”!
Leggere delle decine e decine di incontri che hai avuto con personalità di spicco della musica e dello spettacolo a volte mette quasi i brividi. Se però dovessi scegliere quelli che umanamente e lavorativamente ti hanno segnato di più, quale sceglieresti? E quello che invece ti ha divertito di più?
Da un punto di vista lavorativo sicuramente Lou Reed, John Belushi, Frank Zappa, Johnny Rotten, i Clash ed il mio “padrino” Renzo Arbore. E poi tantissimi dell’underground newyorkese, da Willy De Ville ai Suicide. Ma anche artisti underground, spacciatori, baristi, bodyguards e personaggi vari a voi completamente sconosciuti, che erano il vero motore dei “giri della morte” notturni miei e degli amici e delle donne che ho frequentato
Senza inutili “passatismi”, pensi che oggi ci siano ancora i presupposti per un ventenne come eri tu di vivere l’American Dream che hai vissuto tu? New York e gli Stati Uniti, per come li conosci, possono essere ancora dei posti in grado di regalarti un’esistenza “in perenne corsia di sorpasso”?
New York è spiritualmente in crisi ed anche in modo piuttosto grave. Non vedo “dottori” all’orizzonte che la possano curare, se devo essere sincero. È diventata una città dove, sì, ci si può incontrare, ma in cui non si può più vivere. La New York di oggi è come i Led Zeppelin senza Bonzo.
Già che ci siamo: alla luce di tutto quello che sta succedendo, diciamo dal governo Bush senior fino a quello attuale di Trump, il tuo amore per l’America è cambiato? E, se sì, per trasformarsi in cosa?
In Italia siamo quotidianamente bombardati da TG e talk show che non hanno più niente a che vedere con l’informazione. Si dice sempre tutto ed il contrario di tutto. Non c’è più nulla che faccia notizia: l’opinione pubblica, quella vera, non conta più un cazzo. I social, poi, hanno dato il colpo di grazia: non sai mai se quello che vedi è vero o frutto di AI. In Italia nessuno paga per i suoi crimini: a meno che non ti becchino a rubare cibo in un supermarket. L’America va in una direzione autoritaria, come il resto del mondo del resto. La democrazia non è più di moda, perché dà fastidio al capitalismo. Ancora non riesco credere che Trump sia stato eletto due volte!
Nella New York degli anni ’80, quando entravi in un club dowtown, magari incontravi David Bowie che si stava facendo due risate con i Ramones insieme a Linda Stein e Wendy O. Williams. E nessuno gli rompeva le palle con richieste di autografi o di foto. Donald Trump non veniva mai da queste parti, dove una buona canna era molto più apprezzata dello champagne. Lui era più un tipo da Marchese del Grillo, “io so’ io e voi non siete un cazzo”, e lo infastidiva il fatto che nessuno, sia detto “in francese”, se lo cacasse di pezza. Frequentava party decisamente più adatti alla sua “natura”, anche se dubito fortemente che qualcuna gliela abbia mai data gratis….
“Senza vizi la vita è una merda”: ci chiarisci il senso di questo titolo che, ne sono sicuro, non vuole essere soltanto una (per me adorabile, soprattutto di questi tempi) provocazione o un mero slogan? Che cosa è per te un vizio?
Devo avere sempre almeno un vizio sul quale fare affidamento. Ho avuto le mie stagioni di sesso, alcol, droga, gioco e quant’ altro. Non mi sono fatto mancare nulla. Ma ho capito che io ho una personalità dipendente, e quindi sono sempre riuscito a risalire dal baratro. Una fatica immane, ogni volta! Poi ho realizzato che questi vizi diventano un lavoro a tempo pieno e ti impediscono di vivere bene: li ho mandati a fare in culo. Anche se … “Molte cose che ti rendono felice, o sono illegali o fanno male alla salute”. Aveva proprio ragione chi lo disse (parafrasando il celebre aforisma di George Bernard Shaw: “Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare”, ndr)!
Io credo che in questo libro si parli soprattutto di un’esplosione di vitalità che non riesce a trovare requie. Dentro di te, sinceramente, sei ancora quel ragazzo? E quante altri progetti hai da realizzare nel tuo presente e nel tuo immediato futuro?
Ho una età compresa tra l’ incoscienza giovanile e la demenza senile, e ti assicuro che è molto divertente. Progetti ? Ho un paio di libri in uscita il prossimo anno e la regia di un documentario musicale, che realizzerò insieme a Renato Marengo. Poi basta, voglio vivere il resto della mia vita con le persone che mi vogliono bene: gli altri se ne possono tranquillamente andare a fare in culo!