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Sergio Sinesi. Il colore delle foglie d’autunno

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Non è facile parlare del silenzio.

Ancor più ostico parlare di un silenzio per cui tutto appare già discusso, studiato, celebrato e proprio per questo è difficile, a volte, per quanto la storia cerchi di ripeterlo, fermarsi a riflettere un altro istante sull’errore più grave che rischiamo di commettere: zittire la memoria.

Sinesi prende dunque la parola e ne fa tizzone per smuovere ancora e ancora una volta le ceneri di quella brace, ahimè, mai sopita che è il ventennio fascista (non sarà certo un caso che sulla serie televisiva più seguita mentre scrivo queste parole campeggi nuovamente la profetica “M”).

Monolite, minaccia, morte. Tutto può traslare in una foto che ci riporta al 1938, durante una spensierata gita al mare a Sestri Levante, dentro una cornice che ritrae quattro giovani sorridenti, in abiti vivaci e avanguardisti, inconsapevoli di ciò che presto sarà la storia al cospetto di uno dei suoi malanni più ostici: le leggi razziali.

Vittoria regge la foto, gli occhi di sua madre si colmano di lacrime: sulla stampa sbiadiscono le sagome di suo padre Samuele, suo zio Vittorio, sua madre stessa e zia Miriam. La voce rotta della donna tradisce un abisso che non è solo nostalgia o rimpianto. C’è dell’altro. Uno scempio taciuto per troppo tempo, sotterrato negli strati di una memoria frammentata e violata. Vittoria lo capisce, realizza che una realtà “altra” esiste oltre i suoi sensi, il pretesto per il viaggio è tratto.

Un percorso topografico e interiore tra Italia e Svizzera che si sviluppa alternando due linee temporali destinate a confluire in una rivelazione condivisa: la gioventù della madre, partendo da quel maledetto ‘38 che li ha coinvolti, il presente di Vittoria: un 1989 che odora di rivoluzione, muri abbattuti e voglia di riprendersi un’umanità preclusa da troppo tempo.

Vittoria ha trent’anni, è ambiziosa e condivide con Marco la passione per Schubert. Suonano entrambi nel quartetto Alma, affiancati da due amici con cui spesso amano dibattere di musica e politica. Sono anni di riscoperte artistiche e culturali in cui la giovane si sente calata appieno, padrona di un futuro radioso, ignara che proprio suo nonno Orio, un attivista convinto, appoggiava il nazionalismo proibendo qualsiasi relazione con gli ebrei. Quel passato della sua famiglia che le sembrava una cosa lontana, una macchiolina fuligginosa rimasta a intaccare un lenzuolo dimenticato in qualche cassetto, diventa improvvisamente un imperativo: Vittoria vuol sapere cos’è successo e soprattutto capire cosa ha diviso le strade della propria famiglia.

Per maneggiare tematiche così delicate si può scegliere la via del melodramma o mantenere una postura più algida, contenuta. In questo, Il colore delle foglie d’autunno è un libro che trasuda inverno da ogni parola. Una freddezza compositiva e strutturale che appare quanto mai funzionale seppur, in certi passaggi (soprattutto la trance dedicata a Vittoria), renda più ostico empatizzare con le vicende dei personaggi. Siamo ben lontani dunque dai territori della facile lacrima, del dramma servito perché sì.

Sergio Senesi predilige un approccio oggettivo, posato, un punto di vista dedito alla ricostruzione storica meticolosa di location e passaggi cardine e in questo il romanzo acquista un basamento di credibilità che trova il suo culmine in una scrittura sempre lucida, precisa, padrona di una prosa che riesce a colorarsi di metafore eleganti, per nulla scontate, ancor meno invasive.

Il colore delle foglie d’autunno è un romanzo che si eleva nella liricità un componimento stratificato, venato quanto quelle stesse foglie cadute al passar di stagione.

Componimenti fragili ma capaci di innalzarsi con fierezza al primo soffio di vento e oltrepassare ogni barriera perché «i confini non devono esistere, perché il pensiero vola sopra i muri. “Perché il muro non può resistere alla libertà”».

Stefano Bonazzi

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Il colore delle foglie d’autunno

Sergio Sinesi

Il ramo e la foglia Edizioni

16,00 euro — 216 pagine

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