“Non so perché ci ho messo tanto a considerare finito un libretto scritto ormai da qualche anno. Mi ero decisa a cominciarlo nell’estate del 2016, per tanti motivi insieme. Mi aspettava una lunga estate in una Milano sospesa fra afa e monsoni, quasi sempre, per la prima volta, senza i miei figli.”
Una lunga gestazione, un tempo scandito da numerosi ripensamenti e correzioni, alla ricerca di un poetico equilibrio tra narrazioni personali, confessioni introspettive, analisi bibliografiche e filologiche, mettendo a tema, e avendo a cuore, “il Leopardi che ci inquieta ancora con i suoi cortocircuiti mentali”, facendo proprio quello “sguardo inafferrabile che può muoversi contemporaneamente tra i fili d’erba di uno spaventoso giardino-ospedale e alzarsi alla vastità del nulla infinito”.
L’autrice Silvia De Laude, con il suo saggio-zibaldone intitolato Jack. Un’estate a Milano (Ronzani Editore), racconta e vive in prima persona il suo sodalizio esistenziale con il poeta de L’Infinito, segnato da una frequentazione profonda e radicata in anni di studi “folli e disperatissimi”. Un’opera preziosa che si offre a letture differenti, strutturata in modo rigoroso in cinque capitoli organici e indipendenti, da abbracciare con lo sguardo separatamente o integralmente, divorandola tutta d’un fiato o dilazionandola oziosamente nel tempo. Uno scritto sfidante per tematiche e lessico, ricchissimo di citazioni primarie e secondarie, scavato nei fatti e innalzato nei sogni, proteso a costruire un’immagine del Giovane Favoloso tanto estranea quanto vicina, un ossimoro vivente in carne e versi: “Potremmo cavarcela così. Lasciando alla modernità mille maschere, spostando i pezzi sulla scacchiera secondo traiettorie imprevedibili per chiunque e procurando circuiti fra grappoli o costellazioni di pensieri, Leopardi suscita, per spiegare ciò di cui ci ha lasciato la traccia nei suoi scritti, altre maschere e altre mosse, o altri pensieri […]”.
Perdersi nella produzione letteraria e umana del Poeta, lasciandosi guidare dai contributi di dotti e appassionati, fini conoscitori della materia (“Manganelli e soprattutto Michele Mari, Walter Siti, Cesare Garboli e Alessandro Zaccuri entrano nel suo mondo di pensiero e di colori, con una grazia che viene deversata anche in ciò che scrive”), confessando al lettore ammaliato e tramortito il desio di “rivedere le stelle”, di non procrastinare oltre il momento, nonché la necessità.
Jack. Un’estate a Milano introduce il viandante lungo il sentiero delle parole, delle epistole, delle opere, dei canti, delle prose, documentando con solidità scientifica le dinamiche di famiglia (la sorda rivalità con il padre, la freddezza della madre, la tenerezza per i fratelli), l’odio e l’amore per Recanati (luogo di sofferenza, ma anche di ispirazione, sogno e incubo, ingredienti necessari per creare e divinare), il frenetico vagabondare tra città alla ricerca di un senso e di una serenità ultimamente inaccessibili per l’animo tormentato del Nostro, l’invidia per il successo del Manzoni (“Del romanzo di Manzoni, del quale ho solamente sentito leggere alcune pagine, le dirò in confidenza che qui le persone di gusto lo trovano molto inferiore all’aspettazione. Gli altri generalmente lo lodano”).
La scrittrice confeziona un singolare esperimento di “personale intreccio con autori e testi”, prendendo a prestito la felice definizione di Hans Tuzzi, donandoci “strada facendo” se stessa, attraverso gli occhi e gli strumenti della filologia narrativa.
Luca Bugada