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Stefano Adami. Viva voce

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Stefano Adami è un uomo di cultura, un uomo che ha vissuto e vive immerso nelle parole, nell’arte, nella rappresentazione più variegata della bellezza. Un uomo che ha usato la mente senza sosta, oltre al cuore, l’anima e tutto il resto. Un uomo dalla vita piena, stimolante, fatta di traguardi raggiunti e nuove sfide. Ecco perché leggendo il suo libro Viva Voce, (Effigi, 2025, 160 pagine, 14,25 euro) sono stata raggiunta dalla domanda: ma che beffa è questa? Com’è possibile che il cervello di un individuo che ha passato tutta la vita ad usarlo, riempirlo, interrogarlo, abbellirlo possa fargli uno scherzo del genere? Com’è possibile che un ictus abbia deciso di colpire proprio qualcuno a cui quel cervello serviva così tanto? Non fraintendetemi. Il cervello serve. Serve a tutti. E un ictus è una malattia terribile che non augurerei a nessuno. Dovete però lasciarmi dire che a Stefano Adami il cervello serviva veramente tanto, ma non solo a lui. Ciò che Stefano riusciva a fare con la mente era un dono per le persone che avevano la fortuna di stargli vicino ma anche per quelli che indirettamente ne usufruivano, come me in questo momento. Il verbo al passato però non è corretto: quel cervello, che ha fatto un bello scacco matto ad un ictus inopportuno e fuori luogo, per fortuna riesce ancora a creare, la dimostrazione è questo libro meraviglioso.

Ma torniamo a Stefano e torniamo a me che lo incontro casualmente sulla mia strada una sera di neanche un mese fa. Ricevo una mail: “Gentilissima, scusi il disturbo, mi chiamo Stefano Adami. Il pomeriggio del 23 maggio del 2019, sono morto, poi, per varie strade, sono tornato indietro.” Mi dice che ha scritto un libro che è stato candidato al premio Campiello, e che vorrebbe che lo leggessi. Non conoscevo Stefano, mia grande mancanza; sbirciando qua e là scopro che sono di fronte ad un grande uomo di arte e cultura. Ovviamente mi immergo subito nella lettura e lo faccio con un sentimento di profonda tristezza. Come posso approcciarmi a questo viaggio diversamente? È la storia di un uomo colpito da un ictus. Capisco sin da subito però che quello che mi aspetta è di gran lunga lontano dalla mia immaginazione. Innanzitutto, l’autore mi confonde lasciando appositamente disseminati nel testo degli errori per far vivere al lettore in prima persona il trauma dell’ictus. All’inizio la cosa mi disturba, abituati come siamo alla perfezione, al rincorrere l’assenza di errore. Presto comprenderò che niente è perfetto in questo libro, come potrebbe? È la storia di un errore, di Dio, della scienza, di qualcos’altro che non ci è dato sapere, che ha portato un uomo a trovarsi riverso per terra, con il corpo che non rispondeva più ad alcun comando. E allora abbandono il mio sguardo e decido di entrare nel mondo di Stefano. Mi apro completamente per accogliere le sue sensazioni, i suoi pensieri, tutte le emozioni che lo hanno attraversato. Ne vengo travolta. In brevissimo tempo mi affeziono all’autore, aprire il libro è come andarlo a trovare in ospedale, sedermi accanto al suo letto, ma non per confortarlo ma per ascoltarlo. Stefano Adami è un fiume in piena. Mi sorprende il suo modo di raccontare una tragedia così impattante. Mi ritrovo a ridere, a divertirmi, leggendo una storia che rappresenta il momento più brutto dell’esistenza di un uomo. Da lì intuisco la grandezza dell’autore. Nietzsche diceva che “non con l’ira ma col sorriso s’uccide”. Adami non sembra arrabbiato, non si lascia andare ad un’ira più che legittima sul perché quella tragedia sia capitata proprio a lui. Si chiede se se lo sia meritato e se il genere umano intero meriti il male. Non mancheranno momenti di scoramento, di profondo sconforto in cui penserà anche alla morte come liberazione. Il libro però non è questo, non è il racconto di una sofferenza. Il libro è una testimonianza incredibile su come i rapporti umani, la bellezza, le passioni possano salvare.

Stefano ha vinto, ha vinto la sua battaglia contro l’ictus quando ha deciso di riprendere in mano la sua vita, di andare in profondità e di vedere cosa non funzionasse più. Quando il suo amico Gianmarco gli dice che era diventato “brutto dentro” e lui riflettendo su quelle parole scorge una possibile verità.

“Nella corsa della filosofia vince chi corre più lentamente”, l’autore cita Wittgenstein e sembra cogliere l’importanza della lentezza anche in quel suo viaggio inaspettato. Sembra approfittare di quel tempo rallentato per comprendere ciò che gli è successo e cambiare dal profondo la sua esistenza. Decide di guardare in faccia lo Stefano con cui non era più possibile parlare per restituire al mondo una nuova versione di sé.

Leggendo la storia di Stefano ho imparato molte cose. Ho imparato i nomi dei suoi amici, apostrofati come gli uomini e le donne che hanno condotto l’impresa di riportarlo al mondo, andandolo a trovare quotidianamente. Ho sentito il calore dei loro abbracci, l’affetto che li univa e la sofferenza di saperlo in quello stato. Ho pensato che i rapporti umani possano compiere miracoli e che un uomo e una donna dovrebbero tenersi stretto l’amore, in ogni sua forma. Ho imparato molte cose sulla letteratura, la musica e il cinema, ho interrotto la lettura per andare a guardare ciò che l’autore citava, ciò che la sua mente aveva usato per distrarre il pensiero dalla sua condizione. L’arte e la bellezza diventano bussole, zattere per attraversare un mare che non gli ha risparmiato alcuna tempesta, neanche quando sfinito avrebbe voluto affogare. Ringrazio Stefano per questo libro, per la luce che sprigiona, per aver dato una grande prova di forza, per non essersi risparmiato, nella vita e nella scrittura, per averci donato la bellezza con cui egli stesso si è salvato e per aver avuto la voglia di raccontarcelo.

La vita è una cosa che bisogna far finta di crederci” e l’autore ha finto, lo ha fatto bene.

Nancy Citro

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Stefano Adami, Viva voce, Effigi ,160 pagine, 14,25 euro

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