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Stefano Mariantoni. Qualcosa rimane

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La mano di Alberto trema e a malapena riesce a stringere una penna, vorrebbe mettere su carta qualcosa, cogliere anche solo un frammento di quel maelstrom di ricordi che spingono e sgomitano per guadagnarsi un porto sicuro nella sua testa. Vorrebbe riuscirci, prima del buio, quel cielo plumbeo che lo attende là, nell’ultima pagina di un viaggio che dura ventiquattr’ore ed è lungo quanto una vita intera.

Alberto Durante è un cognome che sembra uno scherzo del destino. “Durante”, una preposizione che sta a indicare qualcosa che si sta ancora svolgendo, mentre le sue giornate ora sono solo una sequenza di ricordi già stati, già vissuti, un malinconico riaffiorare da un pozzo di confusione.

Alberto è malato di Alzheimer. Una parola che non l’ha mai spaventato. All’inizio gli ricordava il verbo “alzare”, il tentativo di rimettere in piedi qualcuno che era caduto, dargli una bella pacca nel sedere e stare a guardare mentre si allontana di nuovo sulle proprie gambe.

Ad Alberto piace giocare con le parole, l’ha sempre fatto, fin da quando ha scoperto di essere balbuziente. Si impegnava nel ripetere certe sillabe, i muscoli delle labbra gli si indurivano tutti e dalla bocca uscivano solo frammenti eppure lui, dal dottore delle parole, non ci è mai voluto andare. Alberto è sempre stato così: un po’ nomade, un po’ testardo, sempre coraggioso. Oggi Alberto ripensa a quei giorni della sua infanzia e si rende conto che l’Alzheimer e la balbuzie non sono poi tanto diverse: a entrambe piace scombussolare le cose, ma la vita non è forse questo? Un continuo cercare di rimettere ordine, farsi due risate e andare avanti.

Quindi Alberto ripercorre, una pagina per volta, senza un ordine ferreo, le stazioni della sua esistenza. Stazioni metaforiche e reali, perché Alberto, nelle stazioni, c’ha lavorato davvero.

La cartolina rosa, il servizio militare e suo padre che lo accompagna alla fermata dello Scalo dove vent’anni prima s’era intrufolato di nascosto dai tedeschi, lui e i suoi compagni guastatori. Due pacchetti di Multifilter nel taschino e la raccomandazione di scendere a Tiburtina. La prima volta su un treno, il primo incontro con un ferroviere in carne ed ossa. Ricordi di guerra, le smanie di conquista del Duce, la divisa del controllore, il ritmo costante delle rotaie che scorrono sotto i suoi piedi mentre il mondo si accalca al finestrino e una prima certezza che fiorisce: di questo vuol vivere Alberto.

Qualcosa rimane è un romanzo intriso di nostalgia e la sensazione che si prova leggendolo, è proprio quella di essere noi stessi osservatori e ospiti di un viaggio che scorre lungo binari malinconici, lievi, mai patetici.

Le stazioni di Alberto sono luoghi metafisici in cui si affacciano comprimari importanti come Anna, amica e compagna di gioventù, una ragazza che per la prima volta lo fa sentire come quegli affari magnetici che invece di attaccarsi tra loro si respingono […] Con questa

voglia altalenante di andarla a cercare o di mandarla a quel paese che poi alla fine mi fa diventare come un riccio appallottolato che se l’è vista brutta. Uno di quegli animali che per continuare a vivere deve far finta di essere morto.

Ed è forse proprio in questo, nei legami immuni allo scorrere del tempo, delle distanze, che il romanzo di Stefano Mariantoni trae la sua maggior forza. Rinunciando a scadere nella facile autocommiserazione, Alberto Durante resta un personaggio di fiction estremamente credibile, la cui testardaggine è frutto di un percorso di vita in cui la parola si è costantemente fatta ostacolo ma la voglia di vivere ne ha sempre avuto la meglio.

Qualcosa rimane si può quindi considerare un rispettoso e riuscito tributo alla vita. Storia di gente semplice, raccontata da una penna altrettanto genuina che non rinuncia a momenti toccanti, affrescati con discrezione. Salire sul treno di Alberto e ripercorrere insieme le stazioni della sua vita è un’esperienza che lascia addosso un retrogusto nostalgico, la medesima sensazione che si può provare andando a trovare un amico di cui si erano perse le tracce o ripescando dalla biblioteca della memoria una fotografia scolorita.

Spiragli di luce che vanno colti per quello che sono, istanti preziosi di un passato che rievoca alla mente atmosfere alla Erri de Luca ne I pesci non chiudono gli occhi o la poetica leggerezza delle migliori tavole di Paco Roca.

Un modo di guardare al passato senza gli affanni del presente, senza regole cronologiche, lasciandosi semplicemente affascinare dalle molteplici cromie generate da quel “prima”, affascinante e incomprensibile, che è la nostra memoria.

Stefano Bonazzi

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Qualcosa rimane

Stefano Mariantoni

Funambolo edizioni

16 euro — 236 pagine

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