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Stephen King inedito. Gordon Lish ha rubato l’anima di Raymond Carver

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Stephen King

La cosa più bella di Stephen King è sentirlo parlare di scrittori, della sua professione, del suo lavoro. Ho sempre pensato che fra le sue pagine migliori, oltre ai racconti e a romanzi splendidi come Mucchio d’ossa, ci siano i brevi paragrafi che spesso scrive per introdurre un suo libro. Impressione confortata dalla lettura del suo bellissimo On Writing. Come molti altri grandi autori King ama parlare della scrittura e della vita di altri scrittori. Sembra quasi che questo sia un procedimento necessario, un atto di umiltà che è nello stesso tempo ricerca dei segreti del processo creativo. È la stessa molla che spinge Bob Dylan ad andare a visitare la casa d’infanzia di Neil Young e Philip Roth la Praga di Kafka. I grandi autori vivono spesso di ‘miti letterari’ o musicali. Non sono sicuro che Raymond Carver rientri fra i miti letterari di King (come invece Philip Roth o Bernard Malamud) ma è interessante sentirlo parlare della biografia di Carver scritta da Carol Sklenicka e pubblicata negli Stati Uniti alla fine del 2009. E’ interessante soprattutto vedere cosa ne pensa di quelle che lui definisce “crudeltà letterarie”: le correzioni apportate dall’editor Gordon Lish ai manoscritti di Raymond Carver. King è totalmente contro Lish e dalla parte di Carver. Diversa, invece, la sua interpretazione del Carver uomo. Ma in questo articolo King si sofferma anche su un’autrice: Carol Sklenicka. Ho conosciuto Carol quando ho iniziato a lavorare allo Stanford Book grazie a Chuck Kinder. A quel tempo lei stava ancora completando la sua monumentale biografia di Carver, per la quale ha sentito e intervistato centinaia di autori, amici, colleghi. Il suo lavoro ha seguito lo stesso percorso di quello di Scott Donaldson, che iniziando a studiare il rapporto HemingwayFitzgerald da amante dell’opera di Hemingway, ha scoperto molti lati oscuri dell’autore di Addio alle armi, finendo per elaborarne un ritratto non proprio elogiativo. Anche la Sklenicka parte come appassionata dell’opera di Carver, ma finisce per presentarci un personaggio spesso contraddittorio e fallimentare.

(Introduzione e traduzione di Nicola Manuppelli)

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Raymond Carver, sicuramente lo scrittore di racconti più influente in America nella seconda metà del 20° secolo, fa la sua prima apparizione, nella biografia estesa e talvolta estenuante di Carol Sklenicka, nei panni di un bambino di 3 o 4 anni, da tenere al guinzaglio. “Beh, certo, ero costretta a tenerlo al guinzaglio”, dichiarò sua madre, Ella Carver, molto tempo più tardi – e apparentemente senza ironia. La signora Carver potrebbe avere avuto l’idea giusta. Come gli ubriaconi, pieni di incertezze, dei ceti medio-bassi che popolano i suoi racconti, Carver non è mai sembrato sapere dove fosse e perché si trovasse lì. La sua figura mi fa sempre venire in mente un passo del romanzo Ghost Story di Peter Straub: “L’uomo si limitava a guidare, turbato dalla telenovela infinita delle vite dei miserabili americani.” Nato in Oregon nel 1938, Carver ben presto si trasferì con la famiglia a Yakima,a Washington Nel 1956, i Carver si spostarono a Chester, in California. Un anno più tardi, Carver e un paio di amici si ubriacavano in Messico. In seguito gli spostamenti si fecero sempre più frequenti: Paradise in California, Chico in California; Iowa City, Sacramento, Palo Alto, Tel Aviv, San Jose, Santa Cruz, Cupertino, la contea di Humboldt. . . e così arriviamo fino al 1977, anno in cui Carver bevette il suo ultimo drink. Nella maggior parte di questi primi anni di vagabondaggio senza sosta, trascinò con sé i due figli e la più che paziente moglie Maryann – l’eroina più celebrata del racconto della Sklenicka – come se fossero barattoli di latta legati al paraurti di una vecchia carcassa che nessun concessionario di auto sano di mente avrebbe mai trattato. Non c’è da meravigliarsi che i suoi amici lo soprannominassero Cane che Corre. O che, quando sua madre lo portava in giro per il centro di Yakima, lo tenesse al guinzaglio. Brillante e pieno di talento com’era, Ray Carver fu anche distruttivo, il classico bevitore incallito che quando tocca il fondo, comincia a scavare. Un assiduo frequentatore della Anonima Alcolisti sa bene come gli ubriachi del genere di Carver siano maestri nel praticare questa sorta di cura geografica, rifiutandosi di ammettere che se tu metti un alcolizzato privo di autocontrollo su un aereo in California, sarà sempre un alcolizzato privo di autocontrollo a scendere a Chicago. O nello Iowa. O in Messico. E fino alla metà del 1977, Raymond Carver era fuori controllo. Mentre insegnava allo Iowa Writers’ Workshop, lui e John Cheever divennero compagni di bevute. “Io e lui non facevamo altro che bere,” disse Carver a proposito di quel semestre autunnale del 1973. “Non credo che nessuno di noi abbia mai tirato fuori dalla custodia la propria macchina da scrivere.” Siccome Cheever non aveva l’auto, era Carver a fornire il mezzo di trasporto nelle loro scorribande alcoliche, due volte a settimana. Gli piaceva arrivare al negozio di liquori proprio mentre l’impiegato stava aprendo per iniziare la giornata. Cheever annotò nel suo diario che Carver era “un uomo molto gentile.” Era anche un alcolizzato irresponsabile, che spesso usciva dai ristoranti senza pagare il conto, sebbene molto probabilmente sapesse che poi toccava sempre alla cameriera di turno rimborsare il proprietario per questi clienti che avevano il vizio di mangiare e volatilizzarsi. Dopo tutto, anche sua moglie lavorava ai tavoli per poterlo mantenere.

Fu Maryann Burk Carver che portò il pane a casa in quei primi anni, mentre Ray beveva, pescava, andava a scuola e cominciava a scrivere quelle storie che una generazione di critici e di insegnanti avrebbero erroneamente catalogato sotto il nome di “minimalismo” o “realismo sporco.” Il talento per la scrittura spesso corre lungo un proprio sentiero ben delineato (come le “Raymond Carver: Collected Stories” nel catalogo della Library of America attestano); ma quegli stessi scrittori le cui opere brillano di acume e mistero spesso sono mostri ben più prosaici a casa. Maryann Burk incontrò l’amore della sua vita – o la sua nemesi, Carver sembra essere stato entrambi – nel 1955, mentre lavorava al bancone di una caffetteria a Union Gap, Washington. Aveva quattordici anni. Quando lei e Carver si sposarono, nel 1957, le mancavano due mesi al suo diciassettesimo compleanno ed era incinta. Prima di compiere 18 anni, scoprì di essere incinta di nuovo. Per i successivi venticinque anni, mantenne Ray facendo la cameriera, la direttrice di sala in un ristorante, la venditrice di enciclopedie porta a porta e l’insegnante. All’inizio del matrimonio, impacchettò frutta per due settimane per permettere a lui di acquistare la sua prima macchina da scrivere. Era bella; lui era grosso, possessivo e talvolta violento. Secondo il punto di vista di Carver, le proprie infedeltà non scusavano quelle di lei. Quando Maryann si concesse un “flirt alcolico” a una cena nel 1975 – al termine della quale l’alcolismo di Carver aveva raggiunto i suoi massimi livelli – lui la colpì sopra la testa con una bottiglia di vino, rompendole un’arteria vicino all’orecchio e quasi uccidendola. “Aveva bisogno di ‘una illusione di libertà’ ” scrive la Sklenicka, “ma non poteva sopportare l’idea di lei con un altro uomo.” E’ uno dei pochi punti nella sua ammirevole biografia dove la Sklenicka mostra vera simpatia per la donna che sostenne Carver e che sembra che avere mai smesso di amarlo. Sebbene la Sklenicka mostri qualcosa di simile a timore reverenziale per Carver scrittore, e capisca chiaramente l’influenza deformante che l’alcol ha avuto sulla sua vita, sembra quasi non voler emettere giudizi quando si tratta di parlare di Carver ubriaco molesto e ingrato (se non, a volte, addirittura pericoloso) marito. Cita la scrittrice Diane Smith ( “Letters From Yellowstone”), quando dice: “C’è stata una generazione di uomini cattivi”, e si limita quasi solo a questo. Quando cita Maryann che parla di se stessa come di una “Cenerentola letteraria, che vive in esilio per il bene della carriera di Carver”, la prima signora Carver viene presentata come l’ennesima ex-moglie piagnucolante, piuttosto che come la sostenitrice forte e fedele che senza dubbio era. Ray e Maryann rimasero sposati per 25 anni, e fu in quegli anni che Carver scrisse la maggior parte della sua opera. Il tempo passato con la poetessa Tess Gallagher, la sola altra donna significativa della sua vita, fu meno della metà. Tuttavia, fu Tess Gallagher a sfruttare i vantaggi personali della recuperata sobrietà di Carver (lui bevette il suo ultimo bicchiere un anno prima della loro relazione) e quelli finanziari. Nel corso del procedimento di divorzio, l’avvocato di Maryann le disse – questa cosa mi ossessiona e in qualche modo macchia il mio godimento nel leggere i racconti di Carver – che senza un accordo dignitoso, la vita di Maryann Burk Carver dopo il divorzio sarebbe stata “come una borsa piena di maniglie che non aprono nessuna porta. “

La risposta di Maryann fu, “Ray dice che mi invierà dei soldi ogni mese, e io gli credo”. Carver mantenne quella promessa, anche se non senza una buona dose di lamentele. Ma quando morì nel 1988, la donna che si era occupata di farlo tirare avanti scoprì che era stata tagliata fuori dalla ripartizione dei successivi diritti delle sempre più popolari raccolte di racconti di Carver. Solo i risparmi di Carver ammontavano quasi a 215.000 $ al momento della sua morte; Maryann ottenne circa 10.000 dollari. La madre di Carver ancora meno: all’età di 78 anni, viveva negli alloggi pubblici a Sacramento e si guadagnava da vivere come aiutante “nonna” in una scuola elementare. La Sklenicka non chiama tutto questo un trattamento meschino, ma sono felice di farlo io per lei. È in quanto cronaca della crescita di Carver come scrittore che il libro di Carol Sklenicka ha un’inestimabile valore, in particolare dopo che la carriera di Ray si incrociò con quella dell’editore Gordon Lish, il sedicente “capitan Fiction.” Tutti i lettori che mettono in dubbio l’influenza nefasta di Lish sui racconti di “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” potrebbero pensarla in modo diverso dopo aver letto il racconto rivelatore della Sklenicka su questo rapporto difficile e, in ultima analisi, velenoso. Coloro che ancora non ne fossero convinti, potrebbero leggere le storie corrispondenti in “Principianti”, ora disponibile nella sublime e da tanto tempo attesa edizione tascabile delle “Raymond Carver: Collected Stories.” Nel 1972, Lish cambiò il titolo del secondo racconto pubblicato da Carver su Esquire secondo – sul quale eseguì un editing pesantissimo – da “I chilometri sono effettivi?” (interessante e misterioso) a “Che cosa vuole?” (noioso). Quando Carver, ansioso di vedere le sue opere pubblicate per un pubblico più vasto, decise di accettare le modifiche, Maryann lo accusò “di essere una puttana, di vendersi all’estabilishment.” John Gardner una volta aveva detto a Carver che l’editing non era negoziabile. Carver avrebbe potuto accettarlo – la maggior parte degli scrittori che è disposta a sottoporsi al processo di editing, lo fa – ma i cambiamenti di Lish erano ampi e profondi. Carver intuì che “la pubblicazione su una rivista così importante valeva la pena di un compromesso”. Lish, che aveva cercato invano di modificare Leonard Gardner (che avrebbe continuato a scrivere “Fat City”) in modo egualmente pesante, ebbe la meglio su Carver. Fu solo l’anticipo. Gordon Lish è stato un buon editor? Senza dubbio. Curtis Johnson, l’editor che presentò Lish a Carver, sostiene che Lish aveva un “gusto infallibile per la fiction.” Ma, come Maryann temeva, fu – nel caso di Ray Carver, perlomeno – molto più bravo nella scoperta piuttosto che nei suoi sviluppi. E con Carver, ottenne ciò che voleva. Forse sentiva una debolezza fondamentale alla base di Carver ( “persone alla mano” le si chiama nei centri di recupero alcolisti). Forse fu la visione stranamente elitaria che sembra aver avuto della scrittura di Carver, che generava personaggi “grossolanamente inetti” e parlava delle “loro palesi ignoranze, di cui Carver stesso non si rendeva conto.” Questo non gli impedì di prendersi il merito per il successo di Carver; si dice che Lish si vantasse del fatto che Carver fosse una sua “creatura”, e sul retro della sovracopertina di “Vuoi star zitta, per favore?” (1976), il primo libro di racconti di Carver, non troviamo la foto di Raymond Carver, ma il nome di Gordon Lish. Il racconto che la Sklenicka fa dei cambiamenti che furono apportati al terzo libro di racconti di Carver, “Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore” (1981), è meticoloso e straziante. C’erano, dice lei, tre versioni: A, B e C. La versione A era il manoscritto che Carver aveva presentate. Era intitolato “Con tanta di quell’acqua a due passi da casa.” Il B era il manoscritto che Lish inizialmente aveva rispedito a Carver. Aveva cambiato il nome della storia “Principianti” in “Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore”, e questo era diventato il nuovo titolo del libro. Sebbene Carver fosse turbato da questo, comunque sottoscrisse un contratto vincolante (e senza il supporto di un agente) nel 1980. Poco dopo, la versione C – la versione che la maggior parte dei lettori conosce – giunse sulla scrivania di Carver. Le differenze tra B e C lo lasciarono “senza parole”. “Aveva esortato Lish a correggere a matita i suoi racconti,” scrive la Sklenicka. “Non aveva previsto. . . una mannaia da macellaio. Insicuro di se stesso, Carver aveva smesso di bere solo da tre anni, dopo due decenni di sbronze; la sua corrispondenza con Lish, riguardo alle imponenti modifiche fatte al proprio lavoro, oscillava fra l’adulazione strisciante (“ sei fantastico, sei un genio “) e il pregarlo apertamente di tornare alla versione B. Ma non servì a nulla. Secondo Tess Gallagher, Lish disse per telefono a Carver che si rifiutava di ripristinare la versione precedente, e se Carver non capì tutto il resto, perlomeno capì che Lish deteneva il potere di “accesso alla pubblicazione.” Questa scelta obbligata è il cuore pulsante di “Raymond Carver: vita di uno scrittore.” Ogni scrittore potrebbe chiedersi che cosa avrebbe fatto in un caso del genere. Certamente io me lo sono chiesto; nel 1973, quando il mio primo romanzo venne accettato per la pubblicazione, mi trovai in una situazione simile: giovane, ubriaco cronico, mi sforzavo di mantenere una moglie e due figli, scrivendo di notte, sperando in una opportunità. L’opportunità arrivò, ma fino a quando non ho letto il libro della Sklenicka, ho pensato che fosse l’anticipo di 2.500 dollari che Doubleday pagò per “Carrie.” Ora mi rendo conto che forse fu non imbattermi in un editor come Gordon Lish. Basta dare uno sguardo ai racconti contenuti in “Principianti”, confrontandoli con quelli in “Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore” per vedere il più ovvio dei cambiamenti: la prosa in “Principianti” è costituita da blocchi densi di narrazione interrotta da scoppi di dialogo; in “Di che cosa parliamo” c’è così tanto spazio bianco che alcuni racconti (“Dopo i jeans” per esempio), sembrano quasi capitoli di un romanzo di James Patterson. In molti casi, l’uomo che non permise agli editor di cambiare il proprio lavoro sventrò quello di Carver Su questo argomento la Sklenicka si fa portavoce di un’indignazione che invece non ha mostrato o non è stata in grado di mostrare a favore di Maryann, definendo l’editing di Lish una “usurpazione” di Carver. Lish ha imposto il proprio stile sui racconti di Carver, e il cosiddetto minimalismo di cui Carver è accreditato fu in realtà opera della mano di Lish. “Gordon. . . giunse al punto di pensare di sapere tutto,” dice Curtis Johnson. “E la cosa divenne dannosa.” La Sklenicka analizza molti dei cambiamenti, ma un lettore avveduto può benissimo prendere la raccolta “Collected Stories” e vederli da solo, o da sola. Due degli esempi più sconcertanti sono “Se così ti piace” ( “Dopo i jeans” in “Di che cosa parliamo”) e “Una cosa piccola ma buona” ( “Il bagno” in “Di che cosa parliamo”). In “Se così ti piace,” James e Edith Packer, una coppia avanti negli anni, arrivano nella sala bingo locale e scoprono che i loro posti abituali sono stati occupati da una giovane coppia di hippy. Peggio ancora, James vede che il giovane sta imbrogliando (sebbene non sia lui a vincere ma la sua ragazza). Ad un certo punto della serata, Edith sussurra al marito che sta “perdendo sangue”. Più tardi, tornati a casa, lei gli dice che l’emorragia è grave, e dovrà andare dal medico il giorno seguente. A letto, James si sforza di pregare (un modo per sopravvivere che sia James che il suo inventore hanno appreso negli riunioni giornaliere della Anonima Alcolisti), prima esitante, poi “inizia a borbottare parole ad alta voce e a pregare sul serio. . . . Pregò per Edith, affinché Tutto andasse bene.” Le preghiere non portano sollievo fino a che non comincia a pensare alla coppia di hippy, mettendo da parte i suoi precedenti sentimenti amari. La storia si conclude con una nota di speranza conquistata a fatica: “ ‘Se così ti piace ‘, disse nella sua nuova preghiera per tutti loro, i vivi e i morti”. Nella versione modificata di Lish, non ci sono preghiere e quindi non c’è nessuna epifania – solo un marito preoccupato e risentito che vuole raccontare a quegli irritanti hippy quello che accade “dopo i jeans,” dopo il tempo dei giochi. È una riscrittura totale, ed è un imbroglio. Il contrasto tra “Il bagno” (nell’edizione di Lish) e “Una cosa piccola ma buona” (nella versione di Carver spogliata di editing) è ancora meno gradevole. Per il compleanno di suo figlio, la madre di Scotty ordina una torta di compleanno che non sarà mai mangiata. Il ragazzo viene investito da un’auto mentre torna a casa da scuola e finisce in coma. In entrambe le storie, il pasticciere fa telefonate di sollecito alla madre e a suo marito, mentre il figlio è sul punto di morire in ospedale. Il pasticciere di Lish è una figura sinistra, simbolo della inevitabilità della morte. L’ultima volta che lo sentiamo è al telefono, che ancora pretende di essere pagato. Nella versione di Carver, la coppia – che qui sono davvero personaggi e non ombre – va a trovare il pasticciere, che si scusa per la sua crudeltà involontaria quando capisce la situazione. Offre ai genitori in lutto caffé e panini caldi. I tre personaggi fanno questa sorta di comunione insieme e parlano fino al mattino. “Mangiare è una piccola ma buona cosa in un momento come questo”, dice il pasticciere. Questa versione ha una simmetria soddisfacente che manca alla versione ridotta di Lish manca, ma ha qualcosa di più importante: ha un cuore. “Lish fu in grado. . . di creare un pupazzo di neve da un cumulo di neve” dice la Sklenicka riguardo alla sua versione dei racconti di Carver, ma non è una grande metafora. Fa di meglio quando, parlando dei cambiamenti di Lish in un passo di “Loro non sono tuo marito” (in “Vuoi star zitta, per favore?”), sottolinea che la versione di Lish è “più cattiva, più grossolana e in qualche modo sminuente per entrambi i personaggi.” Carver stesso esprime questo concetto in modo migliore. Quando il narratore di “L’avventura” affronta finalmente il fatto di non avere alcun amore o conforto da dare al padre, dice di sé: “Ero una semplice superficie levigata con niente dentro, tranne il vuoto.” In definitiva, è questo l’errore delle storie di Ray Carver nella forma in cui Lish le ha presentate al mondo; ed è questo che rende sia la biografia della Sklenicka che l’edizione di “Principianti” una correzione in corsa necessaria e benvenuta.

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