La Storia, quella con la maiuscola (in realtà, anche quella con la minuscola), è impastata con le tradizioni. Anzi, spesso sono le tradizioni che permettono di tramandare la storia.
Alcune volte però, la tradizione si va a perdere.
La causa sta negli eventi esterni che intervengono a stravolgere quanto potremmo definire uno status quo.
È accaduto anche a Bologna, patria della più antica università del mondo come di tortellini e mortadella (quest’ultima citata non a caso). È accaduto a una tradizione che ha tenuto banco letteralmente per secoli, in cui era coinvolto il popolo tutto: svanita praticamente nel nulla.
Stiamo parlando del “lancio della porchetta o della porcellina”, momento culmine di una festa che dal Medioevo alla fine del Settecento aveva sempre inizio il 15 agosto per trovare la sua apoteosi il 24 dello stesso mese, durante la commemorazione di San Bartolomeo.
In quest’ultima data, dal balcone del palazzo comunale (lo Scalco degli Anziani) si effettuava il lancio di una porcellina. Era un momento che, , riscuoteva la piena adesione popolare.
Tiziana Roversi ha deciso di riportare alla luce la storia di questa tradizione oramai dimenticata per “Fatterelli bolognesi”, collana editoriale centrata su Bologna e indirizzata in special modo verso i ragazzi.
Ne è uscito fuori Festa pazza (pagg. 86, € 12.00), un libretto agile in cui il testo viaggia parallelo alle puntuali quanto evocative illustrazioni di Luca Longi “Lufo”.
Usando una lingua che molto si approssima all’oralità per ritmo e scelte stilistiche, Roversi raccoglie in una manciata di pagine la ricostruzione quasi carnascialesca dell’evento festoso, della sua “pazzia”, poggiandosi sia sugli scritti dell’epoca opera di Giulio Cesare Croce, sia sui lavori saggistici di Lorena Bianconi e di Loris Rabiti per andare alla ricerca delle possibili radici della medesima.
Radici che affondano nel Medioevo indubbiamente, però con possibili risalite ancora più indietro nel tempo: all’Impero Romano, a Cerere e ai riti pagani che salutavano il passare delle stagioni. Insomma, un evento senza dubbio ben “radicato” nella cittadinanza.
Leggendo Festa pazza ci si rende infatti conto di quanto fosse folle, catartico, in special modo come fosse capace di rinverdire l’unione momentanea fra le diverse classi sociali. Proprio grazie a essa Bologna aveva sconfitto l’imperatore Federico II nel maggio del 1249, nella battaglia della Fossalta. («Salvo eccezioni non siamo uguali e ognuno resta al proprio posto, chi in alto e chi in basso, però siamo insieme, e l’unione fa la forza. Uniti celebriamo la pazza festa della porcellina così come uniti abbiamo difeso la libertà comunale e sconfitto l’imperatore»).
Ma in cosa consisteva la festa?
Nel letterale lancio di una maialina dallo Scalco a beneficio di chi si era sotto.
La maialina precedentemente rosolata, veniva trinciata e poi gettata giù a ondate. Non prima che il cuoco di Palazzo avesse giocato a fare il riottoso: mi affaccio, la butto, non la butto ecc.
Ogni “rilascio” di carne era poi preceduto da uno squillo di tromba, con la folla subito pronta ad accalcarsi e spintonarsi nella calura pesante del fine estate che contraddistingue la città emiliana.
E non è tutto qui. Finita la carne della maialina, ecco arrivare un paiolo pieno di brodo grasso e tiepido.
Su ordine del cuoco, veniva riversato sul popolo, “per suo maggiore spasso”, come annota Giulio Cesare Croce nel 1599 ne La vera historia della piacevolissima festa della porchetta che si fa ogn’anno in Bologna il giorno di S.Bartolomeo. Una specie di doccia al contrario, a ben vedere.
Il racconto costruito in modo sobrio da Roversi, ci fa comprendere come quella festa fosse veramente pazza, ma anche capace di riunire in sé varie istanze, oltre che indicare una idealità del cittadino bolognese: riuscire a fare fronte comune davanti a problemi di grave entità. E capire quando viene il momento di cambiare strada.
Diciamo questo perché il lancio della porcellina viene bandito nel 1796 da Napoleone. Si estingue una tradizione che aveva tenuto per secoli, nel momento in cui «su Bologna soffia l’aria della Rivoluzione francese e i bolognesi sono impegnati a fare la Repubblica Cispadana». Qui il “nuovo” sopravanza la tradizione, offrendoci probabilmente un altro lato caratteriale di quelli che sono/erano gli abitanti di Bologna.
Sergio Rotino
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Se la vostra famiglia è di alto rango, avete il diritto di sedervi sulle terrazze o nei balconi, come a teatro. Se invece siete popolani vi spetta l’acciottolato di piazza Maggiore. La piazza è il cuore grande della città, sta proprio davanti al palazzo del Comune, quello che oggi chiamiamo d’Accursio, dove lavora il sindaco; appena più in là, vicino al Nettuno, c’è palazzo Re Enzo. I popolani vorrebbero trovare posto lì vicino, dove ne arriva di più; anzi, cercano di mettersi proprio sotto al balcone di palazzo d’Accursio, dove ne arriva ancora di più.
Eh? Ne arriva di più, ne arriva di più… ma di che cosa? Della porcellina!!!
Sembra assurdissimo eppure è così: ogni anno dal balcone del palazzo Comunale viene lanciato un maiale, più precisamente un maiale femmina, una porcellina, e ognuno spera che gli cada vicino. Avreste ragione di pensare: “Booom, una porcellina se la svignerebbe grugnendo, altro che lanciarsi giù dal balcone, non ha mica le ali per volare!”. Il fatto è che, prima del lancio, la porcellina viene infilata nel girarrosto del palazzo Comunale e cotta a puntino, così diventa una porchetta. Il suo profumo esce dalle finestre e si infila nelle narici delle migliaia di persone assiepate in piazza, a cui naturalmente comincia a salire una deliziosa acquolina collettiva. Finché verso le sette di sera la bella porchetta, perfettamente rosolata e decorata di fiori, verrà lanciata dal balcone del palazzo del Governo, quello del sindaco, per intenderci. Se fosse una porcellina con le ali planerebbe dolcemente sulle teste, ma siccome è una porchetta arrostita, grassa e unta, in virtù della legge di gravità non può che cadere di peso sulla folla, bambini compresi. Ci sono feriti? Nooo, nessuno si fa male. Ci si fanno solo delle grandi risate.
Ogni 24 agosto porcellina arrosto, fa anche rima! È un rito antico che si chiama per l’appunto il lancio della porcellina.
[…]
La porchetta avanza distesa su un grande tagliere. Ora il cuoco deve mostrarla alla piazza come se fosse la regina della festa.
Molto lentamente il cuoco si affaccia al balcone, quello dove c’è la statua di Gregorio XIII; dopo, con gesto solenne, affaccia la porchetta. Ma non tutta. Fa appena appena un cucù, e la ritira. Poi la riaffaccia un po’ di più… e la ritira. Un’altra volta ancora… e la ritira. Ogni affaccio è scherzoso, è una burla a cui la piazza risponde in coro con una grande risata.
La lancio giù, no la tiro su, adesso la lancio, marameo, ancora no… e giocando, tra scimitoni e baie, per un buon quarto d’ora vanno avanti queste finte che sembrano senza fine, solo prove di lancio.
Sempre la stessa scenetta, tutti gli anni lo stesso scherzo “ridicoloso”, scrive Giulio Cesare.
Ma quando arriva il lancio? Ora! Eccolo! Il tira-e-molla è finito, vai, porcellina, vai laggiù, la folla ti aspetta. Di nuovo frastuono e scompiglio supremo. Tira qui, a me! A me!
Il cuoco di Palazzo, esperto e velocissimo, con un coltello affilato e due zac-zac, trincia la carne in pezzi. A questo punto lancia, con lentezza, e ogni lancio viene annunciato da uno squillo di tromba: peepperepe e vola una coscia di prosciutto, peepperepe e vola un po’ di spalla, peepperepe uno zampetto, peepperepe peepperepe peepperepe e per ultima viene lanciata la testa.
Il rito si fa lungo, praticamente ogni lancio è una cerimonia, ma è stupefacente la velocità con cui la porchetta scompare. Tutti cercano di acchiapparla, con le braccia alzate, con i bambini in spalla, con i fazzoletti da testa, coi mantelli e coi cappelli. Chi la ruba a qualcun altro, chi la infila nel vestito. La porchetta non fa in tempo a cadere che è già dissolta, sbranata, disintegrata. “Il trionfo del porco”, dice Giulio Cesare.
Ma se credete che sia finita vi sbagliate. Al balcone compare un paiolo di brodo grasso e tiepido che scroscia sul parapiglia «per maggior spasso del popolo», scrive ancora il nostro Giulio Cesare. E infatti, con quella doccia unta, le risate raddoppiano.