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Tove Ditlevsen anteprima. Infanzia

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Il libro “Infanzia” di Tove Ditlevsen (Fazi Editore 2022 pp. 150 € 15.00), nella traduzione di Alessandro Storti, è edito per la prima volta in Italia ed è il primo volume della trilogia di Copenaghen della scrittrice danese. La riscoperta culturale da parte di Fazi Editore rappresenta un risultato letterario di grande rilievo per l’importanza della partecipazione con cui viene rappresentata, come un’affermata occasione editoriale internazionale. La scrittrice costruisce pagine dense di struggente partecipazione alla vita, pone la sua gentile riflessione sulla famiglia, concentrando il contenuto essenziale dell’umile e modesto vissuto in un quartiere operaio di Copenaghen, accoglie la condizione frammentaria della povertà, confessa il disarmante disagio della ristrettezza morale nella difficile, distratta e ostile relazione con la madre, nell’impenetrabile contrasto con il padre. Intuisce l’energia creativa dell’interpretazione dei suoi stati d’animo, difende la dignità delle sue parole, cerca di seguire il tragitto delle sue speranze, di corrispondere all’inquietudine con la spontanea rivelazione della propria identità. La trama narrativa supera l’intimità dell’autobiografia, inciampa nella parabola del risentimento esistenziale, dichiara la spiacevole incapacità di abitare una vera adesione alla complicità del modo di vivere, dell’appartenenza a una stessa generazione che ha in comune l’insistente incomunicabilità. L’insicurezza rievocata dall’autrice si scontra con la stabilità emotiva della poesia, con il sentimento appassionato dell’osservazione del privilegio spirituale, confessa la verità della sua autentica individualità, l’istanza della sua coscienza pensante, rivela l’emancipazione di scrivere poesie. Il libro “Infanzia” diffonde l’incanto della poesia, l’ispirazione trova ospitalità tra i componimenti in versi, custoditi nel luogo profondo dell’anima, racchiusi con attenta scrupolosità nel contenuto inespresso delle emozioni, coinvolge il tempo saturo di un’infanzia non corrispondente alla propria personalità, l’intonazione del rimpianto, rammentato con la memoria tormentata e con l’amara nostalgia nella consapevolezza disillusa dell’abbandono. Tove Ditlevsen restituisce il respiro della propria umanità con strumenti espressivi chiari e spontanei, nella naturalezza istintiva delle proprie spiegazioni, guida la direzione introspettiva del castigo dell’infanzia come una condanna a cui “non si sfugge” perché “resta attaccata addosso come un odore”. La sua esperienza dimostra il consolidamento affettivo del carattere morale, il modo di distinguere la realtà e di entrare in empatia con gli altri. Nelle difficoltà della vita, nel disagio di comprendere il mondo degli adulti, nella profonda sofferenza, riesce a decifrare il segreto della coraggiosa libertà grazie all’amica Ruth, nell’intima esigenza di trovare accettazione e rispetto, per sconfiggere il timore e l’esitazione. La scelta di Tove Ditlevsen di affidarsi alla poesia è una viva percezione del senso estetico, un presentimento per sopravvivere al desiderio dell’amore e della fiducia, manifestando nella propria originaria radice l’essenza della sua esistenza, permettendo di stabilire la ragione della passione, oltre il dolore e il disincanto, nell’urgenza incessante della scrittura.

Rita Bompadre

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L’infanzia è lunga e stretta come una bara, e non si può uscirne da soli. È sempre presente, tutti la vedono con la stessaThe Faces by Tove Ditlevsen review – a tortured life turned into art | Fiction in translation | The Guardian chiarezza, allo stesso modo in cui è visibile il labbro leporino di Ludvig Bello. Anche lui è come Lili Bella: è talmente brutto che non si riesce a immaginare che abbia mai avuto una madre. Tutte le cose brutte o disgraziate, le chiamiamo belle, e nessuno sa perché. All’infanzia non si sfugge, resta attaccata addosso come un odore. La si sente sugli altri bambini, e ognuna ha un aroma tutto suo. Nessuno sente il proprio, perciò a volte si ha paura che sia peggiore di quello altrui. Siamo lì, intenti a parlare con una bambina la cui infanzia odora di cenere e carbone, e all’improvviso lei arretra di un passo perché ha sentito il fetore della nostra. Osserviamo di nascosto gli adulti, la cui infanzia è seppellita in loro, lacera e sforacchiata come un tappeto consunto e tarmato, al quale nessuno pensa, e che non serve più. A guardarli non si direbbe che ne abbiano avuta una, e non si osa chiedere come abbiano fatto a superarla senza riportarne profonde cicatrici in viso. Viene il sospetto che abbiano preso una scorciatoia segreta e indossato la loro forma adulta anni prima del tempo.”

Buia è l’infanzia, e sempre sofferente come un animaletto intrappolato in un sotterraneo e dimenticato. Esce dalla gola come fiato condensato dal gelo, e certe volte è troppo piccola, altre volte troppo grande. Non ha mai la misura che ci vorrebbe. Solo quando la si perde come una pelle di serpente la si può osservare con calma e parlarne come di una malattia lasciata alle spalle. Quasi tutti gli adulti sostengono di avere avuto un’infanzia felice, e magari ne sono davvero convinti, ma io non credo. Secondo me, sono semplicemente riusciti a dimenticarla.”

La strada dell’infanzia è Istedgade, il cui ritmo mi pulserà sempre nel sangue, e la cui voce mi giungerà sempre all’orecchio, identica a com’era nei tempi lontani in cui ci siamo giurate fedeltà. È sempre calda e luminosa, festosa ed entusiasmante, e mi racchiude completamente, come se fosse stata creata apposta per soddisfare le mie personali necessità di sviluppo vitale.”

…Mi tocca cercarla nei libri in prosa, dato che mio padre non gradisce che io porti a casa dalla biblioteca intere collane di poesia. «Chimere», dice con disprezzo, «che non hanno nulla a che fare con la realtà». A me la realtà non è mai piaciuta, e non ci scrivo mai poesie. Quando leggo Lungo la strada di Herman Bang, mio padre prende il libro fra due dita e dice, con tutte le manifestazioni del disgusto: «Di questo tizio qui non devi leggere niente. Non era normale!». Non essere normali è una cosa tremenda, lo so benissimo, io per prima ho il mio bel daffare a fingere di esserlo. Perciò è un conforto sapere che non lo era neppure Herman Bang, e dunque proseguo la lettura in biblioteca. Quando arrivo alla fine, piango: Sotto l’erba della tomba riposa/ la povera Marianna. / Accorrono le fanciulle e piangono/ la povera Marianna. Vorrei scrivere versi che somigliassero a questi, e che chiunque potesse capire.”

Pensavo spesso alla mia prima infanzia, che non sarebbe mai più tornata, e avevo l’impressione che a quell’epoca tutto fosse migliore. La sera mi sedevo sul davanzale interno della finestra e scrivevo nel quaderno di poesia:

Corda fragile spezzata

mai più si riallaccia.

Non senza perder la nota,

non senza che il tono si sfaccia.”

Passata è la nostra amicizia, così come l’infanzia, i cui ultimi residui mi cadono di dosso come scaglie di pelle ustionata dal sole, sotto la quale traspare un’adulta sbagliata e impossibile. Leggo dal mio quaderno di poesia, mentre la notte passa davanti alla finestra, e senza che io me ne renda conto, l’infanzia cade in silenzio sul fondale della memoria, che è la biblioteca della mente, dalla quale attingerò conoscenza ed esperienza per tutto il resto della vita.”

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