Nel 1955 Arno Schmidt era nei guai. Non che non ci fosse aduso (5 anni al fronte, 1 di prigionia, 4 da profugo e il resto da reinsediato), ma ora la novità: il tribunale di Treviri vuole trascinarlo alla sbarra per blasfemia e pornografia causa romanzo breve appena uscito (“Paesaggio lacustre con Pocahontas”). La cosa più opportuna è telare, almeno da Land a Land, sicché Arno & consorte lasciano in furgone la cattolica Renania per la protestante (e più tollerante) Assia: i pochi mobili e i molti libri finiscono stipati in un monolocale a Darmstadt. Pagamento dell’affitto fortunatamente elastico, perché il locatario è un pittore anarchico che apprezza l’opera di Schmidt e, se non naviga nell’oro, non è nemmeno al gas. Diventano col tempo amici, Arno rompe l’isolamento proverbiale solo per stare nello studio di Eberhard, muto, a osservarlo dipingere: trittici giganti, chissà perché. Uno soprattutto lo colpisce, più espressionista degli altri, più grosziano: nella pala a sinistra il pubblico, in quella centrale gli attori, in quella a destra i tecnici di scena. A polarizzare l’attenzione, al centro del centro, l’Uomo Forte (così forte da avere due ombre come il diavolo): ha i tratti inconfondibili di Konrad Adenauer, ultraottuagenario. Da ciò, a cascata, si chiarisce il trittico ancora in fieri: a sinistra il popolo, a destra gli intellettuali, in mezzo la classe politica. E Schmidt, più unico che raro, dall’angolo in cui siede sghignazza, commenta, interloquisce. Insieme scovano anche il titolo: “Das Zweite Programm” (Il Secondo Canale), perché Adenauer, in barba ai Länder socialdemocratici stava installando una nuova rete televisiva federale mediante cui la propaganda a favore di Nato e riarmo avrebbe potuto dilagare. E infine miracolo: mentre Schlotter porta gli ultimi ritocchi, l’altro gli porta in studio una piccola pièce bell’e scritta, con tanto di battute e personaggi, e addirittura indicazioni di tempo (“quello di chi sta leggendo”) e luogo (“a casa dello spettatore”). La novità più grossa, rispetto al quadro, è la comparsa tra i tecnici di un personaggio strano, Sorellina Pandemos, producentesi in un unico assolo. Strano anche perché lì una donna c’era già, strategica: la Musa Novedimensionale, una sintesi caricaturale delle mitiche ispiratrici. Sta di fatto che il pittore coglie al volo (essere Sorellina la caricatura di una caricatura) e la inserisce in extremis accanto alla musa. Quanto a noi, spettatori-lettori, è aperto il gioco delle interpretazioni. Perciò, gettando la maschera del plurale maiestatis: sto in Christburgerstr. 39 Berlin, il tempo è quello dello scrutinio alle europee, Pandemos è il pandemonio. Di Sorellina so quello che dice, anzi come lo dice: parla in tongues, un’aberrante pentecoste non corrotta a babele solo perché nell’ispirata confusione avverto la dizione di più lingue note: inglese, francese, italiano, spagnolo, tedesco, greco, latino – in una parola: Europa, c. d. d.
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P.S. Altro dato desumibile: Sorellina Pandemos (≠ Ourania) non è vergine. E una domanda peregrina: come avrà votato Eberhard Schlotter, se ha votato? Perché questo è certissimo: classe di ferro 1921, vive e lotta insieme a noi.