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Valentina Tanni anteprima. Conversazioni con la macchina. Il dialogo dell’arte con le intelligenze artificiali

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Nel dibattito contemporaneo sulle intelligenze artificiali, spesso prevale una narrazione dicotomica: le macchine sono viste come semplici strumenti da controllare o come minacce pronte a sostituirci. Conversazioni con la macchina di Valentina Tanni ribalta questa prospettiva, esplorando il rapporto tra umano e IA attraverso il prisma dell’arte. In queste pagine, l’intelligenza artificiale non è un nemico né un servo, ma un possibile interlocutore, un compagno di creazione e riflessione.

Attraverso un percorso che intreccia esperienze artistiche visionarie e analisi critiche, il libro invita a ripensare il nostro modo di interagire con le macchine, immaginando nuove forme di collaborazione e coabitazione. L’arte diventa così un laboratorio di possibilità, capace di dischiudere scenari inediti e di aiutarci a ridefinire il nostro rapporto con la tecnologia, oltre il paradigma del dominio.

Stefano Bonazzi

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Introduzione

Metafore della relazIone

Siamo sicuri, quindi, che la logica padrone-schiavo sia la più adatta a modellare il nostro rapporto con le macchine nel xxI secolo? Lo scenario che si sta delineando con chiarezza, tanto da essere ormai evidente anche agli occhi degli osservatori più distratti, ci racconta di un ambiente tecnologico sempre più pervasivo, organico e complesso. Siamo circondati da sistemi adattivi, ramificati, sensibili; sistemi progettati per sviluppare comportamenti autonomi che diventano ogni giorno meno prevedibili e conoscibili. Lo spiega bene Sofian Audry, autore di un prezioso saggio sull’utilizzo del machine learning in ambito artistico:

‘‘Stiamo entrando in una nuova era, in cui algoritmi pervasivi e quasi-organici che operano statisticamente stanno sostituendo i precedenti sistemi basati su regole, accoppiandosi [coupling] in modo adattivo all’umanità tramite processi di controllo e ottimizzazione complessi e distribuiti. Per comprendere questa nuova era, dobbiamo abbandonare la visione obsoleta dei sistemi computazionali come costrutti logici, formali e basati su regole, e iniziare a considerarli per quello che sono diventati: entità reticolari, ispirate alla biologia, guidate dalla statistica e da modelli basati sull’agente1.’’

Nello stesso testo, Audry sottolinea l’importanza della sperimentazione artistica nello studio e nella comprensione dei sistemi di intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda i comportamenti adattivi. L’approccio degli artisti, infatti, che spesso si concentra sull’esplorazione dei processi piuttosto che sul raggiungimento di determinati risultati, è una risorsa preziosa per comprendere le proprietà emergenti delle nuove applicazioni, i bias che inevitabilmente incorporano e, non ultimo, per studiarne le implicazioni estetiche in senso ampio. Si tratta di prassi, lo vedremo più volte all’interno di questo saggio, che si discostano – spesso anche in maniera radicale – dal metodo scientifico tradizionalmente inteso, ed è proprio la loro natura eretica a renderle interessanti. Scrive Audry:

‘‘Nel campo dell’intelligenza artificiale, il fine di solito giustifica i mezzi, risolvere problemi, come riconoscere pattern o prendere decisioni, è la vera raison d’être dell’apprendimento automatico, e il fatto che l’obiettivo venga raggiunto attraverso un processo adattivo e iterativo è una questione in qualche modo accessoria. Nelle mani degli artisti, invece, questo processo di apprendimento può diventare una fonte di potenziale estetico.2’’

Per costruire un’alternativa al vetusto mito della macchina come soggetto antagonista è necessario recuperare la prospettiva della relazione, esplorare il dialogo, immaginare e testare possibili forme di coabitazione. Gli artisti di cui tratterò nelle prossime pagine sono più interessati al concetto di vita artificiale che a quello di intelligenza artificiale; le domande che si pongono non sono relative alla capacità che questi sistemi hanno di performare, eseguendo in maniera impeccabile i compiti loro assegnati, quanto alla loro capacità di agire, rispondere, dialogare, creare, esistere nel mondo. Se il computer è il nostro “doppio”, come scriveva Antonio Caronia, forse può diventare anche uno specchio attraverso cui comprendere più a fondo i nostri stessi comportamenti. Instaurando conversazioni con le macchine, come insegnava Gordon Pask, possiamo far emergere forme di conoscenza. È soltanto attraverso la pratica della conversazione, accompagnata da uno studio approfondito delle dinamiche politiche ed economiche all’interno delle quali le macchine vedono la luce, che possiamo recuperare una qualche forma di agency all’interno della frenesia tecnodeterminista. Non solo: opponendoci alla retorica della sostituzione, smontiamo alla base una delle narrazioni più dannose che le grandi aziende tecnologiche stanno costruendo attorno al mercato dei software di intelligen16 Ivi, p. 55.18za artificiale. Puntando i riflettori sulla presunta pericolosità dell’Ia – il cosiddetto “rischio esistenziale” –, i ceo di aziende come OpenaI e DeepMind non fanno altro che stendere una coltre di fumo sui problemi reali che l’utilizzo di alcune di queste applicazioni sta generando.

Come ha ben spiegato la ricercatrice Molly White,

se riesci a convincere le persone che l’Ia un giorno potrebbe trasformare tutti in graffette17 3o, al contrario, che potrebbe curare tutte le malattie del pianeta, è facile distrarle dai problemi che già esistono, come il lavoro fantasma, i pregiudizi degli algoritmi e l’erosione dei diritti degli artisti e di altri soggetti. Questo è incredibilmente vantaggioso per gli individui e le potenti aziende che vogliono trarre profitto dall’Ia.4

La logica padrone-schiavo, infarcita di slogan e avvolta in narrazioni catastrofiche, è il più potente strumento di marketing al servizio delle corporation digitali, che la usano per raccogliere fondi (l’Ia è pericolosa e dunque potentissima) e sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da questioni etiche urgenti e reali, che riguardano i diritti dei lavoratori, il rispetto della privacy e la La teoria delle graffette (o paperclip maximizer) è un esperimento mentale proposto dal filosofo Nick Bostrom nel 2023 per illustrare i pericoli dell’intelligenza artificiale mal allineata con gli obiettivi umani.

Bostrom immagina un’Ia programmata per massimizzare la produzione di graffette. Nel momento in cui il sistema diventa superintelligente, e sfugge dunque al controllo umano, utilizza tutte le risorse disponibili sul pianeta, comprese le persone, per raggiungere il suo obiettivo. La teoria vuole dimostrare come anche un’Ia con un obiettivo banale potrebbe distruggere l’umanità se mal progettata. M. White, “Effective Obfuscation”, www.citationneeded.news, 23 novembre 2023.19 tutela dell’ambiente. «Dovremmo sviluppare menti non umane che alla fine potrebbero diventare più numerose di noi e più intelligenti di noi, rendendoci obsoleti e sostituendoci? Dovremmo rischiare di perdere il controllo della nostra civiltà?», si legge nella lettera pubblicata dal Future of Life Institute nel maggio 2023, firmata da businessman e intellettuali come Elon Musk, Steve Wozniak e Yuval Noah Harari.5

L’obiettivo che mi pongo nella stesura di questo bre ve saggio è quello di recuperare e valorizzare questa attitudine esplorativa e dialogante nei confronti delle cosiddette “macchine intelligenti”. Un’attitudine che tanti artisti hanno abbracciato in passato e che continua a persistere ancora oggi, anche se messa in ombra da approcci più spettacolari e orientati dal marketing. È attraverso questo genere di esperimenti che diventa possibile formulare le domande più urgenti: quali sono le forme di intelligenza che vogliamo incorporare nelle nostre vite? Chi le governa? Che tipo di relazione ha senso costruire con loro? Che genere di arte e di cultura può nascere dal dialogo con entità tecnologiche che sono ormai chiaramente ben oltre la nozione di “strumento”, e che somigliano assai di più a delle forme di vita? Se davvero possiamo intravedere nelle macchine dei possibili soggetti, che genere di rapporto vogliamo costruire con essi?

Per raccontare il proprio rapporto con la macchina – un rapporto spesso intimo nel vero senso della parola – gli artisti usano una strategia antica e sem pre efficace quando si tratta di navigare il mare del cambiamento: la metafora. Nelle pagine che seguono, infatti, troverete un catalogo di metafore della relazione: la macchina diventa, di volta in volta, un alter ego, un collaboratore, una figlia, un amante, un animale sel vaggio. L’artista diventa una maestra, una genitrice, un giardiniere, un domatore e uno sciamano. Sono questi i modelli che ci aiuteranno a orientarci all’in terno di un territorio estetico ancora parzialmente oscuro, come provvisorie mappe sperimentali.

Lungi dall’essere una storia dell’utilizzo artistico dell’intelligenza artificiale – compito che sarebbe im possibile portare a termine in un saggio di questa lun ghezza –, questo libro indaga la possibilità di usare l’arte per testare forme di coabitazione con le macchine che siano in grado di arricchire la nostra esperienza del mondo, mettendo in discussione, quando necessario, la struttura, la logica e la politica delle macchine stes se. Da contrapporre, come strategia di resistenza, a un modello di società tecnologica in cui il computer è una scatola nera che racchiude poteri sovrumani e pericolo si. Un’entità che non soltanto minaccia la nostra anima e le nostre professioni, ma è ormai pronta a prendere definitivamente il sopravvento, cancellando dal mondo ogni traccia di umanità.

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1 S. Audry, Art in the Age of Machine Learning, MIt Press, Cambridge (Ma) 2021, p. 4.

2 Ivi, p. 55.

3 La teoria delle graffette (o paperclip maximizer) è un esperimento men tale proposto dal filosofo Nick Bostrom nel 2023 per illustrare i peri coli dell’intelligenza artificiale mal allineata con gli obiettivi umani. Bostrom immagina un’Ia programmata per massimizzare la produzione di graffette. Nel momento in cui il sistema diventa superintelligente, e sfugge dunque al controllo umano, utilizza tutte le risorse disponibili sul pianeta, comprese le persone, per raggiungere il suo obiettivo. La teoria vuole dimostrare come anche un’Ia con un obiettivo banale potrebbe distruggere l’umanità se mal progettata.

4 M. White, “Effective Obfuscation”, www.citationneeded.news, 23 novembre 2023.

5 Future of Life Institute, “Pause Giant aI Experiments: An Open Letter”, www.futureoflife.org, 22 marzo 2023

 

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