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Valérie Manteau. Il solco

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Siamo intrappolati in una frase buia / intrappolati in una frase / in cui tutti ma proprio tutti errano / in cui tutte le lettere, tutti i telegrammi / sono trasmessi male.

Vincitore del prestigioso Premio Renaudot, “Il solco” di Valérie Manteau possiede uno stile finissimo, quasi delicato che accarezza la mente del lettore; questo per contrastare una trama durissima che ci parla delle condizioni oppressive a Istanbul sotto il regime di Erdoğan, inserendo molti elementi di non-fiction, basti dire che il titolo del romanzo deriva dalla rivista “Agos” (Il solco), fondata dall’intellettuale turco di origine armene, Hrant Dink, assassinato da un nazionalista di destra con tre colpi di pistola alla gola nel 2007. E così dopo poco, l’autrice fa ruotare il suo romanzo-reportage sulla figura di Dink, non dimenticando ciò che rappresenta anche dopo più di dieci anni dalla scomparsa (“Agos” è un giornale bilingue in turco e armeno e Hrant era un armeno, mentre il suo assassino è musulmano e sta scontando vent’anni di carcere; presto sarà un uomo libero perché all’epoca dell’omicidio era minorenne). Siamo lentamente immersi in un panorama dove esplodono o sono esplose bombe, e la lingua si fa fragile, resistendo però alle burrasche all’orizzonte. Valérie è coinvolta in una storia d’amore con un turco, anche qui contrasti e frizioni; gli amici cercano di resistere al Muz, uno degli ultimi spazi liberi della città ostile.

Tristezza e voglia di un tenero abbraccio. Poesie e lettere mai spedite. Si consuma un altro giorno a Istanbul. Uno dei tanti. Perduti nel passato e che socchiude un occhio impaurito sul futuro.

Anche volendo, la luce non riuscirebbe a posarsi su questa città senza farsi notare, c’è qualcosa nello skyline, nei grattacieli, nei minareti che la fa vibrare; e sempre, proprio mentre il giorno sembra spegnersi senza clamori, tutto avvampa.

Il romanzo prosegue tra aggressioni di nazionalisti ai danni di chi non è ligio alle prescrizioni del Ramadan – che cade in giugno quando le giornate sono lunghe e troppo calde. Ascoltare musica a volume alto provoca proteste, bere alcolici disastri. La narratrice intesse sempre più la storia tra il giornalista armeno assassinato, Hrant Dink, e gli amici del Muz, dove si fanno strani incontri e possono accadere le cose più improbabili, e si vede come la democrazia turca sia pura finzione. Un romanzo attualissimo e geniale, pur pubblicato da una casa editrice indipendente riesce a vincere il Renaudot, e in Francia diventa un caso editoriale. Manteau apre la mente del lettore verso nuovi orizzonti, verso quella porta tra Europa e Medio Oriente che è la Turchia. Nelle carceri sono ormai imprigionati più di centottanta giornalisti: “probabilmente è nelle prigioni turche che si animano i salotti letterari più stimolanti di Istanbul.” E anche diversi parlamentari sono finiti dietro le sbarre per aver violato il terribile articolo 301 del codice penale turco: “vilipendio alla nazione”. La libertà d’espressione non esiste più in Turchia, sebbene viene concessa clemenza a giornalisti che sfiorano l’articolo 301 e scrivono per testate che hanno pochi abbonamenti.

Valérie Manteau ci fornisce nuove prospettive, ma soprattutto un’immersione totale nel mondo di Istanbul anche con sbornie e serate con amici, perché non è mai tutto oscuro. Nel libro c’è una luce potente che illumina il futuro di tutti gli esseri umani, di ogni nazione; in questo dono giace la creatività, la sapienza del narrare, un’indifesa speranza e la magia pura della grande letteratura.

Valérie Manteau, “Il solco, (traduzione dal francese di Sabina Terziani), pp. 217, 16 €, L’Orma Editore, 2019.

Enzo Baranelli

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