Silenzio attorno. Solo la neve ad attutire i colpi dell’anima che si disperdono in un vuoto echeggiante di rabbia e angoscia violenta, segreti e verità mai guardate. Una vita fatta di parole scomode, soffocate, che si ripercuotono nella mente di Bergljot con la dirompenza di un flusso di pensieri vorticosi dai contorni non sempre ben definibili.
Dopo aver tagliato i ponti con la propria famiglia, a farla ripiombare, ormai madre e moglie, in un passato insanabile è la morte del padre e un’eredità da spartire con i suoi tre fratelli. Le questioni familiari, legate alla divisione dei beni, faranno emergere antiche ferite ancora sanguinanti. Il testamento stabilisce che le due case al mare siano destinate alle sorelle minori Åsa e Astrid, mentre i fratelli maggiori Bergljot e Bård vengono tagliati fuori. L’origine di questa esclusione affonda in un’infanzia, per Bergljot e Bård, molto diversa da quella delle loro sorelle.
Quel lascito diventerà ben altro che un patrimonio economico, tramutandosi in un fardello enorme e scomodo da spartire. Il confronto sull’eredità offrirà a Bergljot l’occasione per infrangere il silenzio e dare voce a quelle parole alle quali nessuno dei suoi familiari aveva mai voluto credere, in un atto di verità mancato. Solo così, tra gli interstizi del dolore, il perdono potrà forse trovare posto, perché non si può perdonare ciò che non è stato ammesso, ciò che non è stato confessato.
Vigdis Hjorth, una delle autrici più rappresentative della narrativa norvegese, ci catapulta tra le correnti imprevedibili del flusso di coscienza della protagonista. In un tempo liquido, diluito tra un passato e un presente che si mescolano di continuo, riaffiorano frammenti di memoria, attraverso i quali conosciamo la storia di Bergljot. Una disperazione taciuta troppo a lungo irrompe con violenza e fragore nei suoi pensieri, in contrasto con il silenzio della natura circostante, l’unica tregua dal suo tormento interiore. Ed ecco che anche lo stile narrativo e la punteggiatura, minimale, vengono plasmati dall’urgenza di un grido che non conosce suono: perché come si può dire l’indicibile? Tutta la comunicazione tra Bergljot e la sua famiglia è indiretta, filtrata da lettere, messaggi e telefonate. Una cortina omertosa è stata costruita negli anni, per non guardare in faccia un reale inaccettabile quanto impronunciabile, al di là della razionalità del linguaggio: insesto, dicono i suoi genitori. Nemmeno riescono a dare il nome a ciò che non si può sentire, rigettato a tal punto da non riuscire nemmeno a pronunciarlo.
Vigdis Hjorth ci conduce attraverso i cocci di quella che era una famiglia, facendoci inciampare su frammenti di vergogna, sensi di colpa, rabbia, gelosie e distanze. Eredità è un romanzo spietato, labirintico, claustrofobico. È una storia mostrata, non descritta, dove il non detto emerge in superficie con la dirompenza che solo la verità conosce.
Mariangela Cofone