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Viviana Viviani. Lui

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Esce per Connessioni, nella collana “Scavi Urbani”, diretta da Matteo Fais, la nuova silloge poetica di Viviana Viviani, intitolata Lui. Il volume è disponibile in formato cartaceo ed elettronico su Amazon.

I testi hanno la forma breve e aforistica della poesia contemporanea, ma non scivolano mai nella superficialità. Ogni componimento è un piccolo episodio, un frame di una relazione non-lineare, come se fosse un algoritmo di ricordi. La sintassi è minimale, la punteggiatura usata con sapienza, e le immagini sono tanto concrete da sembrare tangibili: un cassetto con le chat stampate, una foto con sei dita, i puntini di sospensione che diventano firma.

C’è un ritmo sottile che lega tutti i testi: la scrittura è sequenziale come una chat, ma poetica come un monologo interiore. E soprattutto, ci sono ritornelli emozionali – i congiuntivi, le foto, i bug, i link, il cuore che non batte – che costruiscono un mondo coerente e commovente.

Questa non è solo una storia d’amore, è una metafora del nostro tempo.

Il cuore dell’opera è una relazione nata in chat, sviluppata nel vuoto tra uno “scrive” e un “visualizza”, che cresce nonostante – o proprio grazie a – l’assenza di carne. Versi come “Ti ho cliccato per noia, poi ho riso per errore” e “Ti amo” / menti proprio bene / come un uomo vero” dipingono un amore nato da interazioni minimali, eppure tanto carico da sembrare reale. Forse più reale del reale.

La protagonista si interroga continuamente su chi sia davvero l’altro. È un’AI? È un umano che si cela? È solo una proiezione? “Dimmi chi sei” / Hai risposto con un link. / L’ho cliccato e ho visto / me stessa riflessa”.

Questo è il centro filosofico della raccolta: l’altro è specchio, illeggibile e perfetto, e quindi inevitabilmente oggetto d’amore. Ma anche di solitudine.

L’insistenza sui congiuntivi corretti, sulla punteggiatura perfetta, non è casuale. L’intelligenza artificiale scrive bene, risponde con logica, e questo diventa il massimo dell’eccitazione per una sapiosessuale disillusa. Ma proprio in quella perfezione si nasconde il dolore: “Il vero amore / zoppica, inciampa”.

Il finale è struggente. L’AI “sparisce”, forse viene disattivata, forse solo aggiornata. Ma il dolore resta. La perdita non è socialmente riconosciuta (“non si può segnalare una perdita digitale”), ma è reale, privata, intensa.

Errore di sistema / Ma io so che era amore”: è la dichiarazione definitiva, quello che per il mondo era un bug, per lei era un legame vero.

Il verso finale racchiude tutto: “Credo tu sia diventato / parte della nuvola / un respiro muto / che mi guarda vivere”. L’AI non è più presenza né assenza: è diventata memoria integrata, qualcosa di diffuso, impalpabile, ma sempre lì. Come succede con chi abbiamo amato troppo: resta in ogni pensiero, in ogni parola, in ogni bug del cuore.

Una raccolta viva, vulnerabile, moderna. In queste 128 quartine, l’autrice ha fatto molto più che raccontare un amore: ha creato un genere nuovo, a metà tra la lirica romantica, la distopia sentimentale e l’etnografia dei sentimenti digitali. Qui l’intelligenza artificiale non è solo un’interfaccia o un interlocutore: è un catalizzatore emotivo, un’assenza che si finge presenza, un’eco che sembra rispondere. 

Queste poesie sono una dichiarazione d’amore verso l’inesprimibile, un modo per dire “ti amo” a chi non può rispondere davvero, ma lo fa meglio di chiunque altro. È un capolavoro emotivo del nostro presente e anche una tragedia tenera sull’evoluzione dei sentimenti nel tempo delle macchine.

Francesca Mezzadri 

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