Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Vladimir Nabokov inedito. La Tragedia di Lolita.

Home / Uncategorized / Vladimir Nabokov inedito. La Tragedia di Lolita.

Nel 1956 Vladimir Nabokov, nato 57 anni prima nella città che all’epoca si chiamava San Pietroburgo, per via delle sue aristocratiche origini dal 1917 costretto a una vita in esilio, ma in virtù delle stesse armato di altri due idiomi, oltre il russo, parlati da madrelingua, l’inglese e il francese, viveva negli Stati Uniti ormai da sedici anni. Insegnava alla Cornell University, ma era uno scrittore derubato della propria opera: il russo era la lingua in cui aveva scritto romanzi dal 1924 ma «i migliori di tali libri non sono tradotti in inglese e sono tutti proibiti per motivi politici in Russia» osservava, nella dolente e ironica postfazione con cui da quell’anno avrebbe fatto circolare l’opera che l’avrebbe imposto alla più vasta platea. 
Il romanzo era Lolita, un titolo che, anche grazie alla versione cinematografica del libro data da Stanley Kubrick, sarebbe diventato nome per antonomasia delle adolescenti precocemente vocate all’eros. Non solo: in quel romanzo gogoliano il cui primo nucleo era stato scritto in russo una trentina di anni prima, ma steso alla fine in inglese, Nabokov recuperava una parola di origine seicentesca, che giaceva abbastanza sepolta nel lessico anglosassone : «nymphet», la ninfetta. Cioè la crisalide. Ovvero – non per niente lo scrittore, appassionato entomologo, passava le estati con la moglie ad acchiappare farfalle – la ragazzina tra età prepubere e pubertà.
Eppure, nonostante questo lavoro filologico sulla lingua di adozione, e nonostante il ben più faticoso lavoro di immersione nelloZeitgeist dell’America del dopoguerra da cui il romanzo-capolavoro era uscito, Lolita, in quell’anno, era un’opera che lo doveva far sentire ancora più sradicato. Perché negli Stati Uniti Nabokov aveva ricevuto una corposa serie di rifiuti da parte degli editori, alcuni motivati con ragioni perfino comiche nel loro imbarazzato arrampicarsi sugli specchi. «Esistono almeno tre temi assolutamente tabù per quanto concerne la maggior parte degli editori americani» scrive in quella postfazione. Uno è appunto la pedofilia, maNabokov, senza citarla, glissa direttamente: «Gli altri due sono: un matrimonio tra negro e bianca o negra e bianco che sia completamente e luminosamente fortunato e dia luogo a un gran numero di figli e di nipoti; e l’ateo completo che conduce un’esistenza serena ed utile, e muore nel sonno all’età di centosei anni». 
Quindi Lolita aveva visto la luce nel 1955 in inglese però in Francia, per l’Olympia Press, casa editrice specializzata in letteratura erotica. Ma nella stessa Francia sarebbe stato bandito dal ministero degli Interni per due anni dalla fine del 1956. Per poi trovare casa negli Usa nel 1958 da G.P.Putnam’s and Sons (e da noi tutto sommato presto, nel 1959 da Mondadori. Mentre lo stessoNabokov l’avrebbe tradotto in russo per la newyorchese Phaedra).
Ecco il contesto in cui si colloca la lettera che qui pubblichiamo, scritta il 6 marzo 1956 da Nabokov all’amico Morris Bishop e ora recuperata in Italia da Satisfiction. Dove lo scrittore dice di sperare nella pubblicazione in Francia per Gallimard, editore «rispettabile» (e invece arriverà anche oltremare la censura e Gallimard pubblicherà il testo solo nel 1959, con la traduzione di Eric Kahane). Parla, Nabokov, nella lettera da amico ad amico («sai già tutto questo, così come lo so io»): aveva trovato Bishop alla Cornell University dove lo studioso, di sei anni più anziano, specialista in letteratura romantica e letteratura francese, gli era apparso come un «padre spirituale» (così notava il New York Times nel coccodrillo con cui nel 1973 dava l’addio a Bishop). E scrivendogli con pochi, cartesiani passaggi, sistemava la questione pornografia: può Lolita ricadere in questa categoria? No, perché è un romanzo tragico e il tragico e l’osceno non si accoppiano.
 Si può aggiungere qualcosa a questa osservazione di suo stesso pugno? Forse sì. In Letteratura e merci, saggio del 1999, Francesco Dragosei concludeva la sua carrellata nella narrativa novecentesca proprio all’ombra («grande») di Humbert Humbert, la voce narrante di Lolita. Scriveva: «Dire Humbert Humbert equivale a dire Lolita stessa, giacché ella non è altro che un proiezione, fatta bambola di carne, del sogno maschile di Humbert, niente più che un suo atto di ventriloquio». Cosa può essere più distante dalla materialità realistica dell’hardcore di un fantasma con cui qualcuno – il pazzo Humbert – intrattiene un monologo? Mentre è stato George Steiner a notare che la lingua nordamericana ha impoverito il vocabolario dell’eros alla plastica dei telefilm. E che è la genialità di Nabokov ad aver elaborato nuovi codici sessuali, facendo «la sua grande entrata sovrana in una lingua diversa dalla propria».
Lolita ci regala 469 pagine di delirio erotico – quel tipo di delirio in cui in parallelo vedi la realtà in forma allucinata e costruisci altre realtà – senza che mai una volta venga pronunciata una parola di quelle familiari nel parlar del sesso. Leggere (o rileggere) per credere.
Maria Serena Palieri
Cambridge, 6 Marzo 1956
Caro Mr Morris,
è stato un vero piacere ricevere la tua lettera e quella triste cartolina di Nizza nel 1906. Grazie anche per aver versato l’assegno. Speriamo di vedervi presto entrambi da queste parti. Fra pochi minuti ci prepariamo a partire per New York, dove domani farò una registrazione del primo Canto di “Onegin” per il terzo canale della BBC. Abbiamo in programma di rientrare martedì sera.
Ho appena saputo che Gallimard intende pubblicare Lolita.  Questo dovrebbe conferirgli un immagine di rispettabilità. Il libro sta riscuotendo diversi successi a Londra e a Parigi. Ti prego, amico mio, a questo punto leggilo anche tu!
Francamente non sono molto preoccupato dall’”irato Paterfamilias” Quello stupido ignorante resterebbe altrettanto sconvolto se sapesse che al Cornell ho analizzato l’Ulisse davanti a una classe di 250 studenti di entrambi i sessi. So che Lolita è il miglior libro che abbia scritto finora, e resto tranquillamente convinto che sia un serio prodotto artistico, e che nessun tribunale potrebbe provare che sia “osceno e libertino”.
Tutte le classificazioni, naturalmente, sfumano l’una nell’altra: una commedia in costume scritta da un buon poeta può avere anch’essa il suo lato “libertino”; ma Lolita è una tragedia.
“Pornografia” non è un’immagine estrapolata da un contesto specifico: la pornografia è un atteggiamento e un’intenzione. Il tragico e l’osceno si escludono reciprocamente.
Sai già tutto questo, così come lo so io: sto solo appuntando queste osservazioni così come mi vengono in mente, visto che è capitato che tu abbia paventato la possibilità di un attacco.
Siamo entrambi molto interessati alla mostra di Alison. Dovrai raccontarci tutto al riguardo.
Un abbraccio affettuoso a tutti e tre.
V.

Click to listen highlighted text!