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Etica dei ritagli. Intervista a Giovanni Cianchini

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Giovanni Cianchini, Etica dei ritagli edito da Arcipelago Itaca nel 2023.

Etica dei ritagli è una silloge di Giovanni Cianchini edita da Arcipelago Itaca nel 2023, con l’introduzione di Laura Cingolani, che nasce dal desiderio di condividere vecchi appunti in cui «il linguaggio entrava nella realtà in modo imprevisto» e la cui raccolta non era destinata a una sistemazione in un libro. I ritagli evidenziano un piacere e un godimento nella scrittura, e di conseguenza della lettura, godimento che nasce dal buon funzionamento di un verso, ad esempio. Etica dei ritagli raccoglie, in una prosa che vira nella poesia e viceversa, vere e proprie stazioni in cui il corpo che scrive è esso stesso l’osservabile che osserva e decripta i ritagli del mondo, e scivola, lo scriveremodo, nell’apparente leggerezza che lega lingua e cose, anche quando, come nella sezione Regards «un inizio problematico con mattine in cui gli oggetti ti si rivoltano contro come una terra straniera» rendono difficoltosa l’adesione della scrittura al mondo. Etica dei ritagli è, a ben leggere, un libro che nasce dalla pratica di condivisione come «un pranzo di quattro portate, vegetariano dai gusti piccanti» in cui il corpopoetante aleggia libero e senza censura evidentemente opposto al soggetto reale che «invece è pieno di paranoie». Giovanni Cianchini ha scritto un libro in cui l’etica della scrittura offusca l’autocelebrazione egoica e il poeta «come un eterno apprendista» riesce a condurci dentro e oltre il velo delle apparenze del mondo, con umiltà e tenerezza…

Genesi e desiderio del libro

Qualche anno mi sono concentrato sul linguaggio che usavo quando prendevo appunti. È diventato molto più interessante il modo di dire che le cose stesse. Ho riletto vecchi appunti e ho salvato quelli in cui il linguaggio entrava nella realtà in modo imprevisto. Ho provato il desiderio di condividere, ma non desideravo un libro, pensavo a fare qualcosa insieme ad altri con cui ero in sintonia. Mi sarebbe piaciuta una rivista; ho trovato solo il Centro Scritture e poi il sito “il cucchiaio nell’orecchio” che mi ha pubblicato. Il libro è una messa in forma definitiva e rassicurante. Puoi offrirlo agli amici come una cena cucinata da te. Ma è anche frustrante perché ogni volta ti accorgi di qualcosa che vorresti cambiare, ma ormai è troppo tardi. È diventato un soggetto a sé. Quello che mi interessa veramente sono le relazioni nutritive, le amicizie letterarie diciamo. È una cosa molto rara e difficile.

Quando scrivi, godi?

È un godimento mentale, volatile, impalpabile. Ed è a tratti, spezzato da periodi di tensione e concentrazione. Si gode quando si sente che qualcosa, un verso, una frase funziona. L’insoddisfazione può essere utile perché rafforza l’impegno. Ma ci deve essere un finale di godimento; la sua assenza vuol dire che qualcosa non funziona.

Un estratto del libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché?

Il libro ha un velato risvolto evolutivo che segue i capitoli: i viaggi quotidiani, fatti di piccole prose; alcuni luoghi stanziali di arrivo, i ritagli di tempo come valore; i viaggioni più complessi, spaziali e temporali con un timido avvicinarsi al verso; momenti di vita quotidiana trasfigurata dove i pezzi in versi si fanno più audaci (dove tra versi e prosa c’è continuità e scambio); così nel “what is it”, esperienza spirituali senza atteggiarsi a santoni. Infine – e qui diventa difficile – Regards: un inizio problematico con mattine in cui gli oggetti ti si rivoltano contro come una terra straniera; poi più relax con i piccoli ritagli di vita trattati con riguardo, come un signore che bacia la mano a una donna. Gli aforismi e di nuovo la loro inconclusione interrogativa. Ma l’inizio di Regards, proprio per la sua totale mancanza di tenerezza, è il più difficile.

Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?

Un pranzo di quattro portate, vegetariano dai gusti piccanti, con un vino di annata, poi morbidi, con un tocco di spezie indiane, poi gusti mediterranei e vino sincero, un giro per le colline umbre, sensuale, impudico, francescano e infine un dolce dal sapore intenso, arabo quasi amaro, con un liquore di genziana.

Che rapporto hai con la censura?

L’io poetante, che odia la presenza ma non può farne a meno – come una dipendenza – non ha problemi di censura. È semplicemente sé stesso, quindi un altro, libero e ambiguo. Il soggetto storico invece è pieno di paranoie. Ma quando il libro è uscito, ha una vita propria, il soggetto storico – che lo voglia o no – è fuori gioco.

Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?

Non è un mestiere perché non porta guadagno; è un mestiere nel senso che si impara, come un eterno apprendista, sempre alle prime armi e che non ha mai visto il suo Maestro.

Gianluca Garrapa

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