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Comandante Phoenix inedito. Cohorte decima 9219 – L’estate del ricatto

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Pubblichiamo un estratto inedito tratto da Cohorte decima 9219 – L’estate del ricatto opera di fantasia realizzata dallo scrittore Comandante Phoenix.

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A cinquecento metri. In alto. Esclusa l’Unità di collegamento, in totale si era in venti. Tutta l’onnipotenza in una sintesi di numeri, variabili e circostanze. Al mattino presto, ma con lo stesso sole rovente di mezzogiorno. A sovrintendere era il reparto K. Noi, in stazionamento. E nella remota ipotesi del fallimento, a pochi passi dall’obiettivo, l’unità di pronto impiego “Azalea”. Al comando delle operazioni a terra, “Phoenix”.

L’Unità Propaganda, già all’opera nel confezionamento della notizia, pianificava la disinformazione attraverso i consueti “datori del climax”.

Da pochi giorni, era trascorso il mio trentesimo compleanno. Dall’Unità Laghi, a venticinque anni, direttamente al COS, Comando Operazioni Speciali.

Ero lì. Tutto avrebbe dovuto compiersi nel giro di poche ore. In una giornata, se l’operazione avesse richiesto il nostro impiego. E semmai ve ne fosse stata l’eventualità, avrei impiegato il mio terra aria spalleggiabile.

C’era fermento. Più di quanto fosse immaginabile. Ma ogni genere di reazione emotiva galleggiava ai confini estremi. L’addestramento prevedeva “l’oltre limite”. I motivi per cui eravamo in “assetto”, da un paio d’ore segnalavano quel confine. “L’oltre limite”. In quel tratto di strada, da lì a poco, avrebbe dovuto registrarsi, oltre i confini della storia, qualcos’altro dalla storia.

Ancora una volta controllai lo Stinger. I 3 kg del penetratore hit to kill erano pronti al flusso di gas argon.

Ore sei, al mattino. Il sole all’orizzonte era quello del 19 luglio.

La ferocia con cui si andava alla vita era pari soltanto alla raffinatezza di chi, a quel tempo, provvedeva con scienza a mescolare il colera con il torbido dell’oscuro.

Si era in possesso di chimica ed arti. Con l’una risolvevamo in vantaggio il terrore; con le altre si retribuiva quel malessere che i “Fernando” o gli “Svizzeri”, senza sapere, prodigavano a diffondere.

E questi piccoli potenti in surroga esercitavano la banalità del male più di quegli idioti che ancora oggi, e più di ieri, ne interpretano il fascino.

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