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Comandante Phoenix inedito. Cohorte decima 9219 – Repair bang

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Pubblichiamo un nuovo racconto inedito tratto da Cohorte decima 9219 – Repair bang opera di fantasia realizzata dallo scrittore Comandante Phoenix.

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Tier 1 – Operazione Speciale “Repair bang”

Quel giorno, era caldo in città. Con le cose che Dio provvede a risolvere in parola e con quelle che, se va bene, si hanno solo “sessanta minuti per crepare”.

16.53. Sul pianale dell’MK 3

Dopo ore e ore di stalking mirante, dentro il furgone la temperatura s’era fatta rovente. In quella circostanza, estremamente severa, all’interno dell’abitacolo si sfiorarono anche i 50°C: i raggi solari, trapassando i vetri causarono l’aumento di temperatura, nonché un effetto serra favorito dalla massa di metallo di cui era costituita la carrozzeria.

Il metallo, nonostante lo strato di lana di roccia, accumulò tanta di quell’energia termica da irradiarla in modo proibitivo all’interno dell’abitacolo. Dalle sette del mattino erano trascorse più di dieci ore.

La temperatura interna dell’MK 3 raggiunse i 40°C, con picchi fino a 60°C tra mezzogiorno e le 14 di quel maledetto giorno. Perdemmo una grande quantità di liquidi e la nostra temperatura corporea schizzò oltre i 38°C.

Sciupammo, in tre, un intero bidone da venti litri d’acqua, sempre a temperatura ambiente, così che la sudorazione eccessiva non portasse le nostre vite a disidratarsi.

Il fetore dell’urina nelle bottigliette atte all’uso divenne insopportabile.

Massimo per l’ennesima volta controllò il suo Rk-62, calibro 7,62. Con quella cadenza di tiro di 700 colpi minuto, dalla canna di 16,4 pollici avrebbe potuto scatenare l’inferno. Se l’eventualità lo avesse richiesto …

Il nostro obiettivo era a meno di settecento metri. Eravamo in Tier 1. L’Operazione Speciale “repair bang” vedeva sul terreno noi della Decima, il capo centro dei servizi con un commando, alcuni massoni della Pentadelta all’Oriente di Xiriè, nonché Giuseppe Sapriano con svariati elementi della malavita organizzata.

Visto il contesto militare non particolarmente ostile, le nostre unità furono impegnate in un complesso di movimenti e trasferimenti intermodali, multiambientali non palesi, nonché in comunicazioni, attività logistiche e azioni sull’obiettivo con una limitata consistenza organica ma di elevato profilo operativo e di rilevanza strategica nell’intera area di conflitto.

In trincea la questione è solo tattica strategica. La nostra presenza avvertiva una sola urgenza: assicurare un supporto di fuoco. Eravamo soldati. Nessuno pose domande. Eravamo sullo scenario solo per un motivo. Neutralizzare l’obiettivo in caso di impedimento tecnico. Punto.

Di luglio. Nella pienezza del giorno. Già al mattino buttava quel caldo. Facevano quei quaranta che neppure all’inferno. E l’idea che infuriasse malvagio era più nota ai “bravi ragazzi” di vedetta al quartiere che ai preti del vecchio rione. Se c’era il paradiso, da qualche parte, a qualcuno l’”affare” poteva pure stargli in tiro. Soprattutto, se alle onoranze il lutto lo si risolveva in contanti.

Aveva il bar a destra. La tensostruttura del Teatro Vidalà a sinistra. Si mise ad aspettare. Giù in strada c’era poca gente. Se la prese comoda. Indossava una giacca gessata in un blu intenso, due bottoni, rever classico, due spacchetti laterali, tasche a filetto con pattina portata su una camicia di jeans, e il tutto abbinato a dei morbidi pantaloni neri. L’addestramento militare ti mette in condizione di capire quando qualcuno è armato dal modo in cui cammina. Era evidente che fosse armato. Arrivò fino al semaforo di Via San Solo e si fermò. Pochi secondi dopo riprese il cammino, sul marciapiedi opposto e da dove era appena giunto. La scena scorreva lentamente. Ogni tanto provvedeva ad una panoramica sulle macchine parcheggiate e sui contenitori vuoti. Il suo sguardo sembrava allontanarsi per cercare negli angoli più nascosti. Se avesse avuto tela e pennello a portata di mano avrebbe cominciato a dipingere e a cristallizzare le scene. Si fermò davanti ad un portone da dove si potevano scorgere i gradini della scalinata che portava all’ingresso; un’attesa breve, un donna in tubino grigio, capelli biondi, sui trenta, stava scendendo gli ultimi gradini. La fissò ammirato.

Riprese il passo. Camminava in modo calmo e composto, soffermandosi spesso davanti ai cartelloni pubblicitari o ai manifesti murali. Con molta attenzione leggeva tutto ciò che fosse disordinatamente apposto o scritto sui muri.

La porzione di strada monitorata era larga e pianeggiante. Ai lati, palazzi alti, eleganti e di recente costruzione. Quando qualche raro passante richiamava la sua attenzione, lo fissava lungamente fino a costringerlo ad abbassare lo sguardo e spesso si voltava con occhio indagatore e attento, come se dovesse fermarne ben saldamente l’immagine.

Gli erano state fatte delle promesse. Per la prima volta il sodalizio di cui era parte “trattava”. Sorrise. Gli interessi dei trattanti, compresi quelli dei capi che rappresentava, erano talmente grandi e indifferibili da non poter più fermare tutto il casino che a partire dal trascorso mese di marzo aveva provveduto ad innescare. Nei suoi occhi brillò come una luce. Il ricordo di quei giorni lo esaltò. Si toccò ogni testicolo con entrambe le mani, ponendo indice e medio nella zona inferiore e il pollice in quella superiore. Dal suo sorriso contratto un maligno compiacimento.

Era quel caldo. 19 luglio. Micidiale.

La Decima al completo era in assetto operativo.

Trascorreva la prima settimana di luglio e Giuseppe Sapriano, della Famiglia del mandamento Baldaccio, effettuò il suo primo sopralluogo. Per avere il massimo controllo sulle operazioni si procurò un appartamento nelle vicinanze dell’abitazione della madre del Dottor Nichelino.

Alla fine del monitoraggio, intuite le ragione di quell’estemporaneo entusiasmo, gli piacque tornare al giorno di quello storico simposio. I “trattanti”. La soluzione visiva lo legò a quella più che comprensibile sensazione di potere.

Fratelli tutti, semmai qualcuno tra noi avesse dei ripensamenti lo faccia presente. Qui e ora. Mi corre l’obbligo, però, di ricordare a tutti noi che quando infuria la bufera, alcuni costruiscono ripari, altri costruiscono mulini a vento… In un primo momento ogni nuova idea sembra assurda. E questa, la nostra, sembra più che assurda. Occorre, pertanto, una coraggiosa pazienza per portarla avanti. E come sosteneva l’illustre Fornari, ogni istituzione di lavoro reca al proprio interno, oltre che una struttura organizzativa volta al perseguimento del compito istituzionale e legata all’ordine del giorno, una struttura onirica radicata nell’ordine della notte. Se non riusciremo a cambiare, continueremo ad andare nella stessa direzione. E pensando ai grandi sforzi del nostro grande amico che si è appena affacciato sulla scena italica, concludo con Eraclito: non c’è nulla di immutabile tranne l’esigenza di cambiare”

A fine giugno nel corso di una cena nella villa del ginecologo Fiorvanti fu dato l’ordine definitivo. Il Maestro Venerabile della Loggia coperta Pentadelta n. 937 all’Oriente di Xiriè, il delegato della Commissione Interprovinciale, il boss Giuseppe Sapriano, il funzionario dei Servizi Estrada e il Vicequestore Tiberius, su impulso di quel potente Amministratore delegato, diedero il via operazioni.

Nella notte dell’8 luglio, due soldati del mandamento Baldaccio furono veloci e puliti.

Quella giusta è. Dieci secondi e l’”agghiaccio”. Spicciamoci che a Zio Giuseppe il regalo ci facciamo. Occhio, compà!”

Fu come una carezza sul velluto. Uno di guardia e l’altro allo scasso. Uno dei due compari utilizzò una chiave universale. Manovrò lievemente sulla serratura, entrò nell’abitacolo e forzato il bloccasterzo avviò il motore in tutta tranquillità.

Nel cuore del rione i due “prelevarono” l’utilitaria su incarico del braccio destro di Sapriano. L’auto, appena rubata, venne ricoverata in un magazzino non lontano dalla Piazza antistante la scuola elementare del quartiere Baldaccio.

Fai accura che qua tutto scoppia … “

Nello stesso magazzino erano stoccati cinque grossi fusti di metallo. Ognuno di essi custodiva l’esplosivo militare del tipo Semtex-H proveniente da quello specchio di mare, alla periferia ovest della città, controllato dalla Marina Militare. Due giorni dopo, i due compari trasferirono l’auto in un garage del lungo Viale alberato del quartiere. Ad un meccanico di fiducia venne dato l’incarico di riparare freni e frizione usurati.

In quei giorni l’afa estiva non lasciava tregua.

A San Bartolomeo della Villa, attualmente ne rimangono i ruderi. La sua storia affonda le radici nel 1712, quando il negoziante Tommaso Natale acquistò la tenuta in queste zone, all’epoca soprattutto coltivate a vigneti.

Il fondo passò nelle mani di Giuseppe Naselli marchese di Flores, il quale vi fabbricò una casena dotata di cortile e di costruzioni secondarie adibite alla servitù.

Alto e possente. Lo sguardo, coniugando ferocia e oscurità, tendeva a bloccare, a catturare l’attenzione e a non lasciare sfuggire chi aveva modo di incontrarlo. Gli occhi, due pozzi neri, esprimevano odio e cattiveria, persino meglio delle più crude tra le parole. Taciturno e con la faccia butterata, orribile, mostruosa per via di una lunga cicatrice sulla guancia destra.

Nella giornata del nove luglio, Bruciato, insieme ai cugini Bruno, mafiosi di San Bartolomeo, passando tra le sculture ornamentali, una volta attraversato il cancello neogotico, penetrò la cortina di gariga mediterranea fin dentro l’atrio del grande complesso. L’atrio, impostato su tre viali, formava un sistema di tre assi convergenti verso una rotonda, oltre la quale è posta ancora oggi l’immensa area di pertinenza della villa. Uno dei cugini Bruno restò di guardia tra le colonne dell’ingresso. Con tutta calma e in assoluta sicurezza, l’Ispettore, insieme al più grande dei cugini Bruno, diede inizio alle importanti simulate. L’Ispettore procedette alla prova del telecomando e delle trasmittenti.

Per verificare se il telecomando IR inviasse il segnale, Bruciato si attenne ad una semplice procedura: Bruno, ad una certa distanza dall’Ispettore, accese una Videocamera e impostò questa in modalità fotocamera.

L’Ispettore rivolse il lato del telecomando con l’emettitore IR verso l’obiettivo della fotocamera della videocamera. Poi, guardò nel mirino.

Tenne premuto uno dei pulsanti sul telecomando.

Quando il telecomando inviò il segnale, una luce lampeggiò nel mirino. Nello stesso istante nei suoi occhi brillò una luce opaca. L’Ispettore ripeté l’azione almeno una decina di volte. Verificata l’efficienza del telecomando, Bruciato passò in rassegna la coppia di ricetrasmittenti. I Charlie Gig superarono le aspettative. Terminate le prove, l’ispettore chiamò col cellulare due persone. Al cellulare, con poche parole, ebbe cura di informare e rassicurare il Vicequestore. Con la seconda telefonata contattò una donna.

Amò, cumu iamu? Si, oggi è tófa, amore miu. Sto cumu n’agiallu supra na frasca. Il Dottore nostro è. Tu diglielo a chi sai.”

Nel frattempo il fermento cresceva. Il Venerabile Massone, da giorni, non mancava il consueto appuntamento. Alla stessa ora, al mattino, aggiornava il potente imprenditore.

In quei giorni si cominciò a provvedere a pedinare Nichelino. A disposizione solo una macchina. Ma l’uomo, una insospettabile guardia giurata, in servizio di vigilanza presso una banca, assolse con estrema puntualità al compito. Nel suo incarico, l’uomo seppe mantenere tra il corteo delle tre blindate e la sua utilitaria a disposizione sempre un veicolo estraneo.

Prestò sempre attenzione ai tempi di reazione, evitando di allinearsi alla traiettoria del pedinato.

Il giudice, come gli agenti della scorta, non sospettò di essere seguito e per non mandare all’aria la preziosa attività, lo stalker ritenne opportuno più di una volta interrompere l’attività per riprendere il servizio il giorno successivo con un auto diversa. Soprattutto, per non attirare l’attenzione su di sé, evitò di tallonare, lampeggiare, di suonare il clacson o di passare da una corsia all’altra. In macchina, tolse e mise a più riprese un cappello, affinché non rimanesse impressa la sagoma del conducente.

Lo stalker, un uomo d’onore del mandamento Nocilla, fece rapporto a Sapriano.

Niente di significativo, Zio. I tragitti della personalità sempre quelli sono …”

In quegli stessi giorni all’utilitaria vennero apposte nuove targhe. Durante quei giorni, Sapriano compì un secondo sopralluogo sul campo.

La mattina precedente lo scenario, Favuzza e Putino, uomini del mandamento Porta Vecchia, andarono a comprare un’antennina da collocare sull’autobomba. Nel primo pomeriggio, l’utilitaria era già in zona operazioni e pronta per essere “equipaggiata” per lo scenario finale. Si provvide a trasferire l’auto e l’attrezzatura acquistata in un garage a pochi passi dal posto convenuto. Nella stessa giornata, Sapriano convocò Favuzza nell’appartamento messo a disposizione dal mandamento.

Ascoltami con attenzione che avrai una cosa importante da fare domani.”

A disposizione zio.”

Quando il cornuto esce di casa, ti trovi una cabina telefonica e fai questi numeri di telefono. Devi essere lesto che con queste due telefonate dai l’inizio a tutta l’orchestra. Hai capito bene?”

Un onore è … zio.”

Sapriano passò due bigliettini a Favuzza su cui erano annotati due numeri di cellulare ai quali comunicare gli spostamenti di Nichelino.

Alle prime ore del mattino del 19 luglio, i mafiosi delle Famiglie dei mandamenti Nocilla, Porta Vecchia e San Bartolomeo a bordo di cinque macchine diverse iniziarono il “pattugliamento” intorno l’abitazione del Giudice in via Marea. L’attività di stalking, però, venne immediatamente sospesa. Il Giudice, quel mattino preferì andare al mare a Villaserena di Parini e rinviare al pomeriggio l’appuntamento con sua madre.

Il pedinamento riprese nel primo pomeriggio. Alle ore 16:52 Favuzza, che si trovava in una traversa di Viale dell’Isola Siciliana, chiamò da una cabina telefonica i numeri annotati sul bigliettino, segnalando prima a Bruciato e poi a Tiberius il passaggio delle tre auto blindate di scorta intente a trasferire Nichelino sullo scenario.

16.53. Sul pianale dell’MK 3

Col tempo, se ci sai fare, diventi vecchio gratis. E se porti rispetto, ti fai il favore di morire con tutto il dovuto”.

Ricordò le parole del suo vecchio. Forse, la circostanza o chissà quale perturbante onda emotiva, ma di quei respiri da mettere dentro ne volle ancora. Malgrado la circostanza, Massimo era infinitamente calmo. Mi stava di fronte, col suo micidiale Sako ai piedi, sul pianale piatto del furgone. Il mio indice carezzava delicatamente il grilletto dello stinger. Ero concentrato sul mio compito “eventuale”. Nessun’altra interferenza emotiva. Semmai per una qualche ragione il piano fosse fallito, io, Massimo e Gregorius saremmo entrati in azione.

Mi rivolse lo sguardo. Intuii che aveva bisogno di un estraniamento. Avvertii il suo stato alterato di consapevolezza dall’ambiente circostante. Ma non lasciò mai il calcio del fucile. L’esame di realtà gli rimase integro.

Nonostante uno strato di lana di roccia alle pareti e al tetto del furgone, il caldo si faceva insopportabile.

Esagerato, fratello mio? Bastava farsi un rasoio dai ragazzi al salone per capire quanta lama sarebbe risultata giusta tra la gola e un’opinione sbagliata. Vero, pà?”

Sala Miracolo”, dentro il cuore del rione Nocilla aveva questo di suo. Regolava il silenzio alle intenzioni di chi, tra quelle quattro mura, intendeva tirarsela e, con la medesima forza, suggeriva ai soliti quattro sfigati le parole da dire in punto di morte. E se buttava il caldo bastava ordinare al “picciotto” quattro calici di nero per fottere l’inferno. Dentro ci stava il marcio delle minchiate che non cambiano mai e il disonore dei minchioni che cambiavano bandiera per ogni stronzo che a quel tempo prometteva “sgobbo” e lavoro. Tra salone da barba, onoranze e Questura, ci puoi giurare, era mille volte la storia del mondo e tutto in soli cinquecento metri. Storia di sbirri e malavita. Di coglioni in bocca allo sparato di turno e di quei Cristiani che, si diceva, la signora dignità i coglioni glieli appuntava prima di possedere il nome alla nascita. Nel quartiere, malgrado la merda d’agosto, la cosa girava secondo le regole della “buona creanza”. E due cose erano più potenti dei più potenti tra i convincimenti fottuti: la schiena dritta di quel Commissario che ebbi la fortuna di farmelo amico e i cartocci 9 millimetri, se a farsi i cazzi degli altri, senza il dovuto permesso, erano i quattro malaminchiata al rione. C’ero nato e cresciuto in quel quartiere. Soprattutto, col tempo, seppi come “muovermi” e adesso … adesso, eccomi qui con voi, fratelli miei.

Forse, per questi motivi, inclusa l’amicizia stretta con Vinci, il Prefetto, nel 1989, si prese la premura di porlo sotto osservazione e avvicinarlo.

Millenovecentonovantadue. Onnipotente. Che raccontava la vita a partire dai calci ai denti che si guadagnano pur rispettando la legge. La cosa stava stretta a tutti in città, ma se si era nessuno, dentro a quel caldo si correva il rischio di schiattare di brutto. Le ragioni per morire erano le solite di sempre, come le ore di straordinario regolate ai colleghi delle volanti per evitare a quelle ragioni di fare il culo al primo sprovveduto di turno.

In città, col caldo, in quei giorni era così. O ci si adeguava, oppure si dava un motivo a chi faceva il “mestiere” al rione.

Il nostro Comandante, l’Avvocato dell’”Assemblea” e un Dirigente Superiore del Sisde, già da quel mattino, stazionavano tra gli archi del “Castello”. Bruciato era in posizione. A meno di cinquecento metri. Dall’alto, dal decimo piano di un palazzo in costruzione, immaginava la scena prima che l’evento pianificato scuotesse e trasformasse la storia. L’Unità K, con i suoi uomini a terra, controllava il perimetro. I soldati del Commando Azalea alle spalle del perimetro, sul marciapiedi di fianco il palazzo Enel, stazionavano dentro un Transit. Semmai il piano non fosse andato a buon fine, l’unità avrebbe assolto al compito di neutralizzare gli uomini della scorta del Giudice Nichelino. A noi della Decima, in appoggio alle due Unità e nell’”eventualità limite” il compito di spazzare la blindata del procuratore. In “scena” eravamo in venti. I cinque dell’Unità K, compreso il tenente Tobias, coordinati da Tiberius, avvicendati a coppie, avrebbero terminato, da lì a poco, e in un raggio di cinquecento metri, di espletare il delicatissimo servizio di bonifica. L’unità K già dal mattino aveva in consegna la piccola utilitaria imbottita di semtex e TNT.

L’indice sulla leva di scatto e la mente al discorso che il Comandante tenne prima di schierare le unità in campo, nella prima settimana di luglio, tra le salette private di Villa Sena.

La necessità militare è normalmente intesa quale causa di giustificazione di una condotta altrimenti vietata dal diritto internazionale. In passato, la necessità militare era spesso invocata per giustificare una condotta vietata dalle leggi di “guerra”. Il Gen. Eisenhower, allo scopo di evitare un uso strumentale della necessità militare, rivolgendosi alle proprie truppe durante le operazioni successive allo sbarco in Francia del 1944, così si espresse: “non voglio che l’espressione necessità militare nasconda la rilassatezza o l’indifferenza: essa è talora utilizzata per situazioni nelle quali sarebbe più esatto parlare di comodità militare o anche di comodità personale”. In forza di ciò, si può sostenere che la necessità militare possa essere considerata quale un presupposto logico, etico e giuridico per l’esercizio della forza militare. In tal senso, la necessità militare autorizza i combattenti a ferire e uccidere i combattenti nemici e a danneggiare e distruggere proprietà private. Così delimitata, la necessità militare continuerebbe ad esistere, quale causa di esclusione dell’illecito, solo con riferimento ad ipotesi circoscritte, quali l’eventuale uso di beni di carattere civile per scopi militari, la cui valutazione deve essere fatta caso per caso, sempreché non esista alcuna valida alternativa tra l’uso di tale bene e altro metodo di comunicazione per ottenere un vantaggio militare similare. L’urgenza della situazione e l’assenza di mezzi alternativi idonei, infatti, rendono lecita la condotta odierna. Per contro, la necessità militare non potrà mai essere invocata per attaccare in maniera deliberata un bene di carattere civile, ossia un bene che non costituisce obiettivo militare. In caso contrario, si andrebbe a dilatare arbitrariamente la sfera d’azione dei combattenti, con il rischio di rendere leciti atti altrimenti vietati. La necessità militare, quindi, più che come causa di giustificazione per una condotta altrimenti vietata, può essere con voi validamente intesa quale limite generale all’uso altrimenti incontrollato della forza armata. La necessità militare, infatti, impone di impiegare la forza solo nella quantità necessaria per l’assolvimento della missione, legittimando l’attacco condotto contro un obiettivo militare in presenza di un vantaggio militare preciso. La necessità militare, pertanto, deve essere applicata in stretto coordinamento con i principi in particolare, di distinzione e proporzionalità. In ordine alla prassi degli omicidi mirati, gli stessi non sono contrari alla legge tout court, ma la loro liceità deve essere verificata caso per caso. Perché l’attacco possa essere considerato lecito, devono essere soddisfatte in particolare le seguenti condizioni:

– presenza di prove forti, fondate e convincenti in ordine alla partecipazione diretta alle ostilità;

– pericolo imminente che giustifichi l’attacco diretto;

– impossibilità di adottare altri mezzi per neutralizzare il pericolo, come ad esempio l’arresto della persona;

– valutazione della proporzionalità fra vantaggio militare previsto ed eventuali danni collaterali.

Senza la presenza di questi requisiti l’attacco non può essere considerato lecito. Le linee di comportamento che impongono un controllo preventivo e successivo per la verifica di liceità di tali attacchi, appaiono tuttavia delle istruzioni da seguire per l’attività di pianificazione futura piuttosto che espressione di condanna degli attacchi mirati avvenuti nel passato.

Soldati della Decima sappiate che: il nostro supporto di fuoco risponde ad una necessità militare, l’attacco è lecito e ben due requisiti giustificano l’attacco come lecito.

Non de possessione Siciliae ac Sardiniae, de quibus quondam agebatur, sed pro Italia est vobis pugnandum.

Stay behind, Decima!”

La prospettiva, era “bianca”. Nessun impedimento, tra il punto di osservazione e il “centro raccolta”. Neppure una chioma d’albero fuori posto o uno di quei palazzi alti quattordici o quindici piani di fronte il punto di stalking. La comunicazione fu breve. Asciutta e veloce.

Tiberius a Bruciato, passo.”

Ti ricevo forte e chiaro, Comandante. Passo.”

Ce l’hai a quattro minuti. Ripeto: tempo stimato, quattro minuti.”

Le risorse sono tutte in campo. Azalea è sul lato sud. Sono tutti sul pezzo. “K” è pronta. La Decima per ogni evenienza. Il segnale è forte. Resto in attesa del “Cardellino”. Passo.”

Alla fine della recita … recuperare. Bruciato: dieci di minuti di tempo. Passo.”

Confermo le parti. Il teatro è pieno. Dieci maschere restano in attesa per le pulizie. Il recupero dell’”Omega” dopo gli applausi. Passo.”

Resto in attesa del via. Recita bene, Bruciato. Passo e chiudo.”

Ancora una volta controllai lo spalleggiabile … respirai lentamente. Con me, sul Transit, erano Gregorius e Massimo.

Una goccia di sudore, imperlando la fronte di Massimo, mi ricordò la compostezza severa del “Christus patiens” del Mantegna. Gregorius, discreto, quasi indifferente, verificò l’efficienza del tubo di lancio I suoi occhi dallo sguardo penetrante, sbarrati al centro, raccontavano i colori dell’inferno. Il volto cereo, le rughe profonde sulla fronte, i baffi a manubrio e le sottili labbra rosso mattone, con il naso, lordato da antiche cicatrici, suggerivano le città del male.

Prima dello scoppio una calma innaturale. Quel tempo lento che unisce tutte le facce del mondo. Il silenzio dell’afa con le fotografie del salmastro isolano. Poi, le sirene delle blindate. L’estate che si trasforma in un pianto in bianco e nero.

Un fischio. Un lampo. La ferocia di un tuono.

Alle ore 16:58, l’inferno. Bruciato emise un ghigno. Diede l’impulso e l’utilitaria imbottita con 90 chilogrammi di Semtex-H telecomandati a distanza, venne fatta esplodere a due passi dall’ingresso dello stabile della madre e della sorella di Nichelino. Il giudice e gli uomini della scorta erano già scesi dalle auto. L’auto che era alla testa del corteo stava facendo manovra, stava parcheggiando, l’unica a non essere colpita dal fuoco della bomba. Improvvisamente l’inferno. Sul selciato, per un raggio di cinquecento metri, brandelli di carne umana sparsi dappertutto.

Il primo a scattare verso lo scenario dopo l’immenso fragore fu il tenente Tobias. L’”Omega” era la priorità …

Il Venerabile Maestro, alle 17.00, fece la sua telefonata.

Alle 17.02 un raggio di luce, colpendo la lente di un binocolo e spostandosi dall’aria al vetro, venne in parte rifratto e in parte riflesso: dal “Castello” non una rivelazione luminosa, ma l’elogio dell’ombra.

Sullo scenario, dalle 17.03, l’unità K ebbe tutto il tempo necessario …

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