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Marco De Franchi inedito. Brutti sogni

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Mamma, tu dici che se faccio brutti sogni è per colpa mia. Dici che se sono buono, se ti obbedisco e tutto il resto, non può succedermi niente di male. Non avrò più incubi. Dormirò sereno. Ma io lo so che non è vero. Anche se non te lo dico per non farti arrabbiare, mamma. Sei sempre così stanca e hai macchie sugli occhi e la voce scura e poi quell’odore. Non voglio essere io la causa della tua infelicità. Non voglio che sparisci anche te, come è successo con papà.

Però anche stasera è sceso il buio. E come ogni notte mi torna la paura. Tu sei al piano di sotto, davanti alla tivvù, accesa ma senza suoni, nella luce azzurra, e dormi, russi piano. Puzzi di quel vino che bevi sempre, ma non mi dà fastidio, dico davvero, mamma. Anche se quelle volte che mi baci alla fine puzzo pure io di un odore strano, acido. E comunque non voglio svegliarti. Non voglio spaventarti. Pure se mi prometti sempre che adesso vieni a dormire con me, e poi non lo fai mai. E allora resto immobile. Come un sasso. Cerco di non farmi sentire, mi sforzo di non piangere. Anche se è difficile. Perché tanto lo so che adesso da tutta questa oscurità uscirà la Nonna. Come tutte le notti, uscirà per me.

E infatti ecco, li sento…i primi passi sulle scale. Non quelli tuoi, mamma (magari) che continui a russare, rannicchiata sul divano e non ti accorgi di niente. Ma il tonfo pesante della Nonna. Lento. Un po’ strisciato come quando uno è zoppo. E il suo respiro. Anche quello strisciato, zoppo.

Mi vengono brividi freddi, mamma, e il cuore mi batte tanto forte che forse puoi sentirlo anche tu, al piano di sotto. Così forte che mi fa male. Così forte che mi chiude la gola e non mi fa respirare. Prendo allora lunghe boccate, cerco l’aria e mi sembra che sto affogando. La Nonna sale, mamma. Tra me e te adesso c’è lei, che sale, sale sempre.

Poi i passi si fermano fuori della porta. Allora strizzo gli occhi, serro le labbra e trattengo il respiro, mi porto la coperta fin sulla cima della testa. Affondo come dentro un mare tutto nero. Sento più forte l’odore del mio corpo. Puzzo. Di sudore. E qualcos’altro, mamma. Scusami. Ma così mi sento un po’ più sicuro. Almeno finché non vieni tu.

I passi riprendono e si avvicinano e si fermano ancora. Proprio qui. Davanti al letto. Appena fuori dal buio che mi circonda… Mamma…vorrei gridare…

La Nonna si sdraia. Nel posto accanto al mio, dove dormi tu quando non bevi (…mamma…) Io non la vedo. Ma la avverto (…mamma…aiutami…) Però non lo grido. Lo sussurro piano. Lo dico nella mia testa. Magari tu lo senti. Se mi vuoi davvero bene lo senti…(..mamma aiutami…) Lo devi sentire.

Ma non succede nulla. Allora penso a quando mi hai raccontato che la nonna mi voleva bene, al tempo che era ancora con noi. Cioè quando non era ancora morta. E che non posso aver paura della Nonna, perché la Nonna era la tua mamma. Ed era buona, come tutte le mamme. Quindi non può volermi male. Soprattutto adesso che è con Dio. E i miei sono solo brutti sogni. Colpa di mio padre, mi hai detto, piangendo, ma che c’entra papà? Io manco me lo ricordo. E poi anche la Nonna non me la rammento tanto. Avevo tre anni quando è morta. Ora ne ho sette. Eppure la Nonna mi fa tanta paura. Forse perché è cambiata dopo morta. Magari succede a tutti. Di cambiare voglio dire. Magari quando si è morti si diventa un po’ più cattivi.

No cattivi. Affamati.

Ahi! Mi mordo la lingua e mi tappo le orecchie con le mani. La Nonna ha appena parlato. Non è un brutto sogno, come pensi tu, mamma. La sua voce era proprio qui, appena oltre questa coperta, vicino alla mia faccia. È il fiato della nonna che mi scalda attraverso la stoffa. Un fiato che sa di un hamburger andato a male.

Affamati di cosa?, le chiedo.

Affamati, dice lei. Punto e basta.

Allora mi viene in mente quello che forse la Nonna vuole dire e questa idea mi fa stare ancora più male. Mi viene il dolore allo stomaco. Mi viene da vomitare, ma se vomito nel letto, mamma sì che ti arrabbi davvero!

Poi qualcosa si muove. Qualcosa mi tocca il piede, attraverso la coperta e io quasi urlo, per lo spavento, e mi rannicchio tutto. So cosa mi ha toccato: sono le dita vecchie e secche della nonna. Che adesso salgono piano, lungo la mia gamba, sulla schiena, le spalle… ecco, arrivano alla mia testa.. so cosa sta per fare… oh mamma mamma… lo so… sta per afferrare il lembo della coperta, sta per scoprirmi… E se mi scopre… mi mangia!

Allora urlo davvero, urlo forte, e non m’importa se ti svegli, mamma, e ti arrabbi, non m’importa perché la paura è troppo grande, è come un sasso che mi rotola nel petto, mi scende nella pancia. Anzi, io voglio che ti svegli! Voglio che la vedi anche tu la Nonna. Voglio che mi salvi, mamma!

Sollevo la coperta e nell’ombra la vedo, vecchia, vecchissima, china su di me, con quella bocca grande e senza denti che vuole afferrarmi, quelle labbra rosse che vogliono appiccicarsi alla mia pelle per succhiarmi l’anima. E non so come, ma adesso sto correndo, sto scendendo le scale, veloce veloce, e forse cado, forse cado e muoio e penso che è meglio così, è meglio morire che essere mangiati da mia Nonna che mi sta seguendo, oh, lo so, lo so, corre dietro di me, e non è più zoppa adesso, ma veloce e la sua fame si sente nello schiocco che fa con le labbra e la lingua e mamma mamma adesso mi prende adesso mi afferra ADESSO MI MANGIA!!!

E poi tutto cambia. È ancora buio. Ma è un buio diverso. E tu, mamma, continui a dormire. Sdraiata sul divano verde. Non ti sei mai destata. Io sono in piedi, davanti a te. Tremo. Ti guardo. Ecco che te ne accorgi. Ecco che, sì, cominci a svegliarti. Non prima, quando urlavo e avevo bisogno di te. Non quando avevo paura ed ero solo. È soltanto adesso che ti svegli.

E poi mi guardi. Fai un singhiozzo, sbarri i tuoi occhi marroni, ti rannicchi ancora di più. Cos’è, mamma? Paura quella che leggo nel tuo sguardo? Paura di me? Perché mamma? Perché hai paura di me? Non devi. Non ha senso, mamma. È solo perché sono diventato come la Nonna? EÈsolo per questo?

Perché adesso HO FAME IO?

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