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MariaGiovanna Luini inedita. So che mi stai chiamando

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Dopo aver festeggiato i 20 anni di attività di Satisfiction insieme a scrittori come Enrico Remmert, Stephen King, Vitaliano Trevisan, Raul Montanari ed Enrique Vila Matas, in occasione dei 22 annni della rivista pubblichiamo i racconti di autori che da anni contribuiscono a creare Satisfiction.

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Domenica scorsa mi sono alzata presto e non ne avevo un motivo: la forza strana che ormai conosciamo mi ha trascinato nella zona giorno e, aperti meglio gli occhi, ho notato lo scempio. La tua pianta, rigogliosa e in piena espansione, era storta e semidivelta: la terra sparsa ovunque fuori dal vaso insozzava il mobile, il pavimento, una sedia. Il pezzo di legno liscio con il tuo nome scritto sopra giaceva più in là, a faccia in su, come se tu fossi sdraiata e immobile a fissarmi con gli occhi spalancati.

– Hugo!

Appena ho pronunciato il suo nome il gatto si è lanciato verso il balcone, certo di essere rimproverato. Ho fatto finta di sgridarlo, ma mentre sistemavo la pianta non pensavo a lui: ero sicura che l’episodio riguardasse te. Mi stai chiamando e non sono sicura di cogliere il messaggio.

Questa mattina ho iniziato le consulenze online richiamandoti alla memoria, e durante la supervisione ho pianto raccontando di te. Avevo gli occhi sullo schermo e le mani lontane dalla tastiera: in una rapida e improbabile sequenza si sono aperti due file, uno con una prescrizione che ho fatto a te e un altro con il certificato di una paziente che non c’entrava con te, ma ha la tua stessa data di nascita. Non ha avuto un senso: è stato uno di quei fenomeni che non commento più, incroci energetici e dimensionali che sarebbe riduttivo spiegare entro i limiti delle parole umane.

Mi stai chiamando: lo sa il silenzio nel mio cuore, lo sa l’Arcano dell’Eremita uscito proprio oggi, lo sanno i ricordi che spuntano come se ci fosse la tua mano tesa da afferrare. Quanto mi piaceva quella mano: sento il tuo modo di stringermi e di tenermi perché non ti lasciassi scivolare via.

– Dottoressa…

Concludevi così i nostri lunghi colloqui, tendevi le braccia avanti. Mi alzavo e ti raggiungevo, restavamo in silenzio con le mani a stringersi. Ci siamo appartenute fondendo le nostre energie. Nelle ultime settimane osavo abbracciare la tua testa per spingerla contro il mio petto: avevi i capelli sottili e sparsi di un’anziana che si avviava alla soglia di un altrove, li osservavo e pensavo che avrei voluto conservare quegli istanti in un tempo di mezzo, eterno e senza morte.

– Mi prometta che non mi dimenticherà mai.

E’ stata una domanda appropriata, ti stava bene addosso: sapevi, sai che sarà impossibile, indesiderabile, impraticabile dimenticarti, ma volevi sentirtelo dire.

E adesso stai chiamando, c’è qualcosa che vuoi che intuisca e, come hai sempre fatto, ti rifiuti di mollare prima che io abbia capito. Penso di sapere cosa sia, ma mi piacerebbe che ti scomodassi per infilarti in un sogno e spiegarmi, e mostrarmi per togliere ogni dubbio. Mi esorti a ricorrere alla memoria, agli anni di scambio e di reciproca conoscenza: conti sul fatto che molte volte abbiamo ripetuto le stesse cose e che su alcuni argomenti ci siamo dette più di chiunque altro.

So cosa vuoi, dunque. So anche dove sei.

So che insisterai.

So che mi accompagneranno sempre le stelle a miliardi che si incendiano quando chiudo gli occhi pensando a te.

Non ti dimentico, Andreina.

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