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Viola Di Grado anteprima. Marabecca

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Mi scioglierò in disprezzo, /come un usignolo in canto.”(Marina Cvetaeva a Boris Pasternak, 10 luglio 19269). Questa intestazione è inserita in epigrafe al libro “Marabbecca” di Viola Di Grado (La Nave di Teseo, 2024 pp. 208 € 19.00) che esce nelle librerie il 12 gennaio 2024. Il romanzo prende il suo spunto evocativo dall’ispirazione leggendaria del folclore siciliano e traduce l’oscurità sinistra di una visione che trae nella sua consistenza il significato simbolico e mitologico di un paradosso istigato dal male. La creatura immaginaria che si aggira nelle sfumature della psiche umana assorbe linfa vitale dalla sorprendente manifestazione della fantasia, dall’elogio sovrannaturale dall’inesistente, annienta l’elemento rivelativo del buio, trasfigura ogni cupo orizzonte in nulla e riflette il carattere provocatorio e inquietante dei personaggi, sedotti dalla tenebra impalpabile del loro destino.

La protagonista Clotilde, dopo un incidente d’auto con il suo fidanzato Igor che entra in coma, inaugura una strana e misteriosa confidenza con Angelica, la ragazza colpevole dell’infausto avvenimento, che come un imprevisto segno prodigioso è indizio miracoloso di presenza e accoglienza. Nel magico, inspiegabile e arcano appuntamento affettivo tra Clotilde e Angelica nasce una relazione enigmatica e profonda. La rinascita di Igor, uscito dal coma, compromette il legame segreto ed ermetico delle due donne, ne lacera la provvisorietà e l’instabilità. Viola Di Grado calca con seducente maestria lo spettrale e spaventoso palcoscenico dell’assurdo dove si alimenta l’impenetrabile visionarietà delle parole con la rappresentazione gotica dell’anima e il rituale ossessivo e malinconico del sentire, ambienta l’intenso e corrosivo riscontro tra i tre personaggi nell’opprimente e teatrale scenario di una stanza piena di uccelli e interpreta l’estenuante e travolgente rivelazione dell’inconscio, accelera l’abisso di un assillante labirinto di derive interiori, trasforma la sorte incomunicabile dei sentimenti convertiti a ogni minaccioso limite della macabra e fatale destinazione esistenziale.

“Marabbecca” personifica la densità sconosciuta delle emozioni, veglia sulla ricerca della propria individualità, amplifica la paura dell’irrazionale nei conflitti con l’altro, suggerisce l’affilato e lucido andamento del racconto narrando l’attitudine all’intuizione onirica dell’altra parte di noi, rivela il pensiero imprigionato, divora l’energia del tangibile nella gabbia di una solitudine inafferrabile, ricorda la suggestiva metafora delle nostre idee descritte come uccelli che volteggiano nella voliera della mente. Viola Di Grado interroga le esitazioni umane, conferma l’attrazione pericolosa e terrorizzante per gli agguati ingannevoli della coscienza, incarna la sfuggente e tormentata concezione identitaria deformata dall’ambiguità e dai tradimenti degli impulsi, trascrive la dispersione dello spirito in frammenti di transizioni aliene, fluttua nell’essenza torbida, addentrandosi in un oblio brillante, illuminata solo dal dono sapiente della scrittura e al rapimento della vertigine. Ricongiunge il confine della percezione, la premonizione della decadenza, indica il precipizio tortuoso e morboso, enfatizza, con lo strumento geniale e profetico dello stile allegorico e della consapevolezza letteraria, la voce riflessiva nel distinguere la virtù di ogni tendenza implacabile, nell’esplorazione e nell’assedio di un linguaggio dialogante con la natura insinuante dell’identità.

Rita Bompadre

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Mi facevo mille domande su di lei eppure in un certo senso non ero disposta a rinunciare a quel mistero. Angelica era un’idea, un concetto. Così come era un concetto la sua stanza degli uccelli. Un luogo destinato alla fantasia, un tipo di fantasia macabro e solitario. Immaginavo avesse passato anni in quella stanza, da sola, finché la sua solitudine era diventata selvatica al pari di quegli uccelli. Finché la sua mente li aveva inglobati come pensieri. Non era libera. Sentivo che soffriva. Si teneva chiusa in una parte opprimente della sua testa simile a quella stanza. Simile

alla sua voliera. Non poteva essere liberata. Non tutti sono equipaggiati alla libertà. Tutto questo era solo un’idea, un concetto. Io stessa stavo diventando questo: una cosa astratta. Erano astratti i nostri rapporti sessuali sul lettino color pastello. Era

astratto il suo corpo smilzo e rosato: il lecca lecca di un fumetto.Astratto il tempo: che giorno era? Ottobre era già finito? Ogni tanto tornavo alla realtà e mi ricordavo

che non avevo un lavoro. Mi dicevo: trentacinque anni, donna, capelli rossi, insegnante di flauto. Come mi ero detta in clinica appena sveglia. Dopo l’incidente la mia identità si era desertificata. Ridotta all’essenziale. Un biglietto da visita di cartone, una frasetta. Non avevo bisogno di nulla. Solo di essere sufficientemente viva da poter stare con Angelica. Anche una pianta ha vita sufficiente. Anche una pianta ostinata nel deserto. Di ritorno a casa, scoprivo tra i capelli segatura e piccoli escrementi di uccelli.

Alle sei di un pomeriggio di gennaio, mentre ce ne stavamo abbracciate sul suo letto, sentii un uccello fare un verso lungo e lacerante.

Lo senti, Angelica? Che cos’ha?”

Rise.

È solo Athanasius. Sta parlando.”

Cosa dice?”

Non so. Forse nulla.”

Ma sembra piangere…Anche altri uccelli, la notte…A volte mi sveglio e sento quel pianto nella stanza, mi sembra che stiano piangendo…”

Gli uccelli non piangono.”

Lo so, ma…”

Cioè, piangono, ma non per tristezza.”

A che serve piangere se non per sfogare la tristezza?”

Ad esempio a nutrire certe falene.”

Eh? In che senso?”

Certe falene si nutrono di lacrime di uccello per procurarsi il sodio e le proteine.”

Assurdo.”

Pensi che me lo stia inventando?”

Ma no, non intendevo questo.”

Normalmente le prendono dal fango, ma non sempre c’è fango. Pensa se non piove da un po’. In quel caso vanno bene la lacrime.”

È una cosa triste. Per gli uccelli, dico.”

No. Gli occhi non vengono danneggiati.”

Vabbè allora è solo una cosa assurda.”

Pensi che me lo stia inventando, vero? Sì, pensi questo.”

Ma no, Angelica!”

Io non mento quando parlo di cose a cui tengo.”

Io invece non ti mento mai. Proprio mai.”

Impossibile.”

Possibile. Ti dico sempre la verità.”

Ma a volte bisogna mentire. Per non ferire le persone.”

No. Non sono d’accordo. Chi mi ama vorrà sempre e solo la verità.”

Non le persone traumatizzate. Loro hanno bisogno di bugie per sopravvivere.”

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