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Colette inedita. Sono figlia di una donna che non ha mai smesso di fiorire

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Nel 1911, questa lettera fu inviata dalla madre della scrittrice francese Colette, al secolo Sidonie-Gabrielle Colette – autrice della serie legata a Claudine – all’allora marito di Colette. Nel 1928, la lettera fu ristampata all’inizio del libro di Colette, La Naissance du jour, insieme al testo seguente.

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Signore,
Mi chiedete di venire a trascorrere una settimana con voi, il che significa che sarei vicino a mia figlia, che adoro. Voi che vivete con lei sapete quanto raramente la vedo, quanto la sua presenza mi delizi, e sono commosso che mi chiediate di vederla. Tuttavia, non accetterò il suo gentile invito, almeno per il momento. Il motivo è che il mio cactus rosa probabilmente fiorirà. È una pianta molto rara che mi è stata regalata, e mi hanno detto che nel nostro clima fiorisce solo una volta ogni quattro anni. Ora, io sono già una donna molto vecchia, e se me ne andassi quando il mio cactus rosa sta per fiorire, sono certa che non lo vedrei più fiorire.
La prego quindi, Signore, di accettare i miei sinceri ringraziamenti e i miei rimpianti, insieme ai miei cordiali saluti.

Sidonie Colette, nata Landoy

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Questo biglietto, firmato “Sidonie Colette, nata Landoy”, è stato scritto da mia madre a uno dei miei mariti, il secondo. Un anno dopo morì, all’età di settantasette anni.
Ogni volta che mi sento inferiore a tutto ciò che mi circonda, minacciata dalla mia mediocrità, spaventata dalla scoperta che un muscolo sta perdendo la sua forza, un desiderio il suo potere, o un dolore il suo morso acuto, posso ancora alzare la testa e dire a me stessa: “Sono la figlia della donna che ha scritto quella lettera – quella lettera e tante altre che ho conservato. Questa mi racconta in dieci righe che a settantasei anni progettava viaggi e li intraprendeva, ma che l’attesa del possibile sbocciare di un fiore tropicale bloccava tutto e metteva a tacere anche il suo cuore, fatto per l’amore.

Sono figlia di una donna che, in un luogo meschino, chiuso e confinato, ha aperto la casa del suo villaggio ai gatti randagi, ai vagabondi e alle serve incinte. Sono figlia di una donna che molte volte, quando si disperava per non avere abbastanza denaro per gli altri, correva nella neve sferzata dal vento per gridare di porta in porta, nelle case dei ricchi, che un bambino era appena nato in una casa povera da genitori le cui mani deboli e vuote non avevano fasce per lui. Non dimentico che sono figlia di una donna che piegava la testa, tremante, tra le pale di un cactus, con il volto rugoso e pieno di estasi per la promessa di un fiore, una donna che non ha mai smesso di fiorire, instancabilmente, per tre quarti di secolo”.

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