Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Nicoletta Varani, Giampietro Mazza. Il mosaico dell’Africa sub-sahariana. Sostenibilità e geopolitica

Home / Recensioni / Nicoletta Varani, Giampietro Mazza. Il mosaico dell’Africa sub-sahariana. Sostenibilità e geopolitica

L’Africa è costituita da società e popolazioni in movimento, che contribuiscono a renderla una realtà interessante, da osservare e analizzare. Il mosaico dell’Africa sub-sahariana unisce studi e riflessioni su vari problemi e tematiche di quest’area del mondo, approfondendo ambiti trasversali della geografia: la geopolitica, le micro-geografie e la sostenibilità.

La finalità primaria del libro è fornire uno strumento di lettura di una realtà geografica molto complessa, articolata e in continuo cambiamento che alimenta molteplici interessi economico-politici e scientifici.

L’idea che la popolazione occidentale ha dell’Africa è spesso distorta. Sovente corrisponde a quella di un luogo inospitale dove regnano malattia povertà caos conflitti armati. Eppure, ricorda Nicoletta Varani nelle note introduttive, l’Africa è un continente molto vasto, con una varietà di paesaggi e risorse naturali, costituito da società e popolazioni in evoluzione crescita e movimento. All’interno di esso poi, per certo, vi è anche povertà e disuguaglianza, al pari di quanto non vi sia sfruttamento e degrado.

Una realtà la quale, per certo, desta interessa, oggi non meno di quanto sia accaduto in passato.

A poco più di sessant’anni dall’inizio delle indipendenze africane, il Continente ha intrapreso un percorso di sviluppo completamente nuovo. In questi anni recenti, prima della pandemia da Covid-19, ha fatto registrare una rapida crescita demografica – circa 1.3miliardi di abitanti –, e altre trasformazioni, quali la crescente urbanizzazione e la diffusione di nuove tecnologie, che permettono e permetteranno di contribuire allo sviluppo economico e commerciale del Continente.

Nonostante sia stata a lungo considerata un soggetto marginale da condurre per mano sulla strada della civilizzazione, un recipiente passivo di interventi e aiuti provenienti dal Nord, oggi il continente africano sembra aver ripreso in mano il proprio destino offrendo il suo contributo alla comprensione dei fenomeni della contemporaneità. Le grandi civiltà del suo passato e la straordinaria creatività della sua popolazione contemporanea – costituita in gran parte da giovani inseriti nella globalizzazione grazie dalla diffusione capillare delle tecnologie digitali – suggeriscono uno scenario di grande interesse per una teoria sociale che voglia uscire finalmente dall’eurocentrismo per tentare di comprendere le più recenti dinamiche globali.

Spesso gli osservatori europei hanno insistito sull’intrinseca fragilità delle democrazie africane, apparentemente incapaci di raggiungere un adeguato livello di maturazione. Frequenti sono i brogli elettorali e la corruzione delle classi dirigenti. Questi fenomeni, apparsi in un primo momento nel mondo coloniale e postcoloniale, stanno progressivamente investendo anche le democrazie occidentali. Si diffondono a macchia d’olio nei paesi del Nord sempre più alle prese con una crescente eterogeneità demografica che produce fratture e rivendicazioni, con un’economia delocalizzata dove i centri di produzione e di consumo appaiono dispersi, la finanza prevale sulla produzione, la flessibilità sulla stabilità. Dove si registra un continuo e progressivo indebolimento del tessuto sociale ed economico.1

Varani e Mazza sottolineano che l’Africa sub-sahariana si evidenza come un’area sempre più fornitrice di materie prime, attirando così l’interesse di numerosi imprenditori e compagnie che ritengono l’area africana un nuovo ampio spazio per gli investimenti.

Anche in questo caso la diffusione della pandemia ha rallentato molti finanziamenti a cui vanno sommate le endemiche instabilità di politica interna che caratterizzavano il Continente.

In soli dieci anni – tra il 2012 e il 2022 – sono stati registrati colpi si stato in Burkina Faso, Mali, Ciad e Niger, instabilità costanti nell’area dei Grandi Laghi, Corno d’Africa e Sahel, instabilità endemica in Somalia, il conflitto di Camerun e la guerra in Tigrè.

Negli stessi anni, sia i paesi europei sia gli Stati Uniti, occupati a risolvere crisi e diatribe interne, spesso non hanno dato risposta alle richieste di molti paesi africani circa la fornitura di strumenti di difesa e aiuti per la formazione. La Repubblica Popolare Cinese e la Russia hanno invece risposto alle richieste con partenariati di cooperazione di sicurezza.

Per contrastare l’influenza di Russia e Cina, il Dipartimento della Difesa americano sta elaborando programmi e autorizzando fondi, come emerge anche dallo Strategy and the Congressional National Defense Authorization Act for Fiscal Year 2023. Per gli autori, a breve sarà visibile una competizione tra grandi potenze: Russia e Cina, entrambe presenti molto attivamente nel Continente e impegnate soprattutto nel Sahel, e gli Stati Uniti.

Il 29 gennaio si è tenuto a Palazzo Madama il vertice Italia-Africa. Un ponte per una crescita comune, cui hanno partecipato anche rappresentanti dell’Unione Europea e di organismi internazionali quali le Nazioni Unite. La presidente Giorgia Meloni ha dichiarato apertamente che «all’Africa serve l’Europa». Iniziano così le azioni preliminari per l’avvio del Piano Mattei, un progetto strutturato in cinque punti, o pilastri come li ha definiti lo stesso governo italiano: Istruzione e Formazione, Agricoltura, Salute, Energia, Acqua. Pilastri interconnessi tra loro con gli interventi sulle infrastrutture, generali e specifiche in ogni ambito. È prevista inoltra la creazione, entro l’anno in corso, di un nuovo strumento finanziario per agevolare insieme a Cassa depositi e prestiti gli investimenti del settore privato nei progetti del Piano Mattei.

Oggi il continente africano è formato da 55 stati, i quali posseggono quasi i medesimi confini tracciati dalle potenze coloniali europee, con la rappresentazione cartografica che risulta pressoché immutata nell’ultimo secolo. Tale suddivisione non ha mai tenuto conto delle aree culturali comuni, le quali sono state separate senza alcuna discrezione, frammentando centinaia di gruppi etnici, le quattro famiglie linguistiche principali e le numerosissime sottofamiglie, con conseguenti scontri e conflitti.

L’orientamento generale che emerge, nell’analisi dei conflitti africani, è di caratterizzarli come lotte intestine, intra-statali, in apparenza etniche. Si ha la tendenza a spiegarne origine e sviluppo ricercandone un solo registro interpretativo principale, laddove gli stessi protagonisti ne utilizzano più di uno, dando loro il medesimo valore. In Europa e, in genere, sui media occidentali essi vengono rappresentate come brutali e selvagge, dal sapore esclusivamente etnico e perciò arcaiche, incomprensibili. Eppure si tratta di conflitti molto più moderni di ciò che si è portati a credere, legati alle condizioni socio-economiche e ambientali delle terre in cui scoppiano, dove si mescolano registri culturali e umani diversi.

L’Africa è entrata nella globalizzazione ancor prima dell’Europa, tornando a essere al centro degli interessi del commercio globale sia per le materie prime che per le infinite possibilità economiche che offre, inclusi i traffici illeciti. In molti casi ciò non ha fatto che acutizzare o far emergere vecchi conflitti mai del tutto sopiti o addirittura crearne di nuovi.2

Il continente africano è estremamente ricco di risorse naturali e detiene il 65% della terra arabile del pianeta. Eppure l’Africa detiene il primato del continente che ritrova molti dei suoi paesi nella parte più bassa della graduatoria ISU – Indice di Sviluppo Umano.

Benché la povertà non sia una causa diretta dei conflitti, essa rappresenta certamente un incentivo, poiché strettamente connessa all’appropriazione di ricchezza e risorse e, conseguentemente, all’illegalità e alla violazione dei diritti umani. L’estrema competizione per le risorse svolge un ruolo determinante per l’instabilità regionale, anche per via di alleanze di potere, talvolta implicite, tra uomini d’affari locali, signori della guerra e multinazionali. Lo stretto legame tra sfruttamento delle risorse minerarie e il finanziamento di guerre e conflitti è ormai noto. Basti pensare alla Repubblica Democratica del Congo.

La Grande guerra d’Africa è stato il risultato di un insieme di conflitti diversi, collegati tra loro al nodo centrale del conflitto tra il governo di Kabila e i suoi ex alleati ruandesi. Almeno sei paesi (Ruanda, Uganda, Angola, Zimbabwe, Namibia e Ciad) si combatterono con proprie truppe sul territorio congolese. A ciò vanno aggiunte le varie guerriglie il cui computo è tutt’ora arduo. Così, a partire dall’epicentro congolese, tutta l’Africa centrale è stata travolta, impoverendosi. Secondo il Programma Alimentare Mondiale, circa un terzo dei congolesi vivrebbe ancora oggi in uno stato di denutrizione e sottoalimentazione grave.

Anche in Congo, come prima in Liberia e in seguito nel Sahel o in Nord Mozambico, il warlordismo ha cambiato pelle ed è diventato a pieno titolo un attore del caos indotto dalla globalizzazione competitiva, nel quale soggetti di tipo molto vario concorrono per il potere e le risorse.3

I megatrend, come il cambiamento climatico, la digitalizzazione, la crescita demografica e l’urbanizzazione, stanno trasformando tutti gli aspetti della politica, dell’economia e della società in Africa. Di conseguenza, influenzano anche le dinamiche dei conflitti, alterando i modelli di intervento straniero nelle aree di crisi. Nell’analisi degli autori, emergono due aspetti principali: la gamma dei poteri di intervento si sta allargando e si interviene sempre più a distanza, delegando. Al momento sono tre i paesi i quali maggiormente stanno intervenendo in un numero crescente di conflitti africani: Emirati Arabi Uniti, Turchia, Russia.

Il fallimento delle politiche di sviluppo economico di molti stati africani ha generato forti discrepanze sulle direzioni dei modelli di cooperazione per lo sviluppo. Si è fatta sempre più largo la consapevolezza che la cooperazione Nord-Sud potesse rappresentare un ostacolo allo sviluppo di aree fragili, trovando l’unica alternativa nella strategia Sud-Sud.

La cooperazione Sud-Sud è una comune iniziativa sviluppata su esperienze condivise che coinvolgono stati del Sud, sulla base di obiettivi comuni con finalità di solidarietà e collaborazione tra eguali, riconoscendo la necessità di migliorare l’efficacia di suddetta cooperazione allineando le iniziative alle priorità di ciascun stato.

Così pensata, la cooperazione Sud-Sud certifica il trasferimento di risorse, tecnologie e conoscenze tra i paesi in via di sviluppo, inserito all’interno delle rivendicazioni di un passato coloniale e post-coloniale condiviso, e ancorato nel quadro più ampio di promozione del valore collettivo del Sud.

La riformulazione delle pratiche e delle strategie della cooperazione internazionale ha portato all’affermarsi, sulla scia dell’iniziativa Sud-Sud, della cooperazione triangolare. Gli autori ritengono essa si sia manifestata per la necessità di uno strumento più efficace per favorire strategie di sviluppo territoriale.

L’espressione si riferisce allo scambio diretto di conoscenze esperienze competenze risorse e know-how tecnico fra i paesi in via di sviluppo, spesso con l’esistenza di un donatore o di un’organizzazione multilaterale.

L’Agenda 2063 è il Piano di sviluppo per l’Africa per raggiungere uno sviluppo socio-economico inclusivo e sostenibile nell’arco di cinquant’anni.

Le società dell’Africa sub-sahariana sono fortemente condizionate da un crescente sentimento d’apertura verso sistemi democratici integrati in un’economia di mercato. Varani e Mazza ritengono evidente che la risultante di questi cambiamenti porti in dote tensioni sociali e conflitti su più scale, giustificando il riaffiorare di un certo pessimismo verso i processi di democratizzazione.

Ancora oggi, difatti, la transizione socio-economica che investe il continente è frutto di logiche neocoloniali espresse dalla pressione occidentale volta all’adozione di un modello neoliberale.

Il colonialismo è mai davvero finito, oppure è stato semplicemente adattato ai tempi?

La società coloniale, fondata sulla dominazione, è inseparabile dalla società colonizzata, oggetto della dominazione. Oltre che dalla messa in rapporto delle differenze culturali, la situazione coloniale nasce dagli scarti stabiliti fra i suoi elementi costitutivi e dalla logica inegualitaria che ne organizza le relazioni. Dal punto di vista formale, queste relazioni si stabiliscono tra una minoranza demografica costituita in maggioranza sociologica dalla dominazione che esercita, cioè la società coloniale, e una maggioranza demografica ridotta allo stato di minoranza sociologica, che è poi la società colonizzata.4

La presidente Meloni ha dichiarato alla stampa che la logica del Piano Mattei è quella di una piattaforma programmatica, in una collaborazione da pari a pari che dovrà stabilire anche i contenuti esatti del testo. Il capitolo più delicato del Piano – che omaggia il fondatore dell’Eni Enrico Mattei e per questo ampiamente criticato proprio per il suo essere un nome di rimando coloniale – è il progetto già in essere dell’elettrodotto Elmed fra Italia e Tunisia e l’iniziativa per lo sviluppo di biocarburanti in Kenya.

Il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki, ha sottolineato l’apprezzamento verso il cambio di paradigma nei rapporti con l’Africa ma ha anche dichiarato che avrebbe preferito essere consultato sui punti del Piano stesso.

L’Africa è per certo un Continente ricco di criticità ma, accanto a queste, gli autori hanno voluto sottolineare l’infinita serie di potenzialità che potrebbero e dovrebbero rappresentare degli strumenti utili per ridefinire le strategie di sviluppo del territorio, garantendo una maggiore indipendenza su larga scala. Potenzialità che fanno capo, soprattutto, alla consistente presenza di risorse naturali, sulle quali si manifestano gli interessi di paesi occidentali, in quella che per gli autori si presenta come una “nuova colonizzazione”.

Irma Loredana Galgano 

#

Nicoletta Varani, Giampietro Mazza, Il mosaico dell’Africa sub-sahariana. Sostenibilità e geopolitica, Carocci Editore, Roma, 2023

1Jean Comaroff, John L. Comaroff, Teoria dal Sud del mondo. Ovvero, come l’Euro-America sta evolvendo verso l’Africa, Rosenberg&Sellier, Torino, 2019.

2Mario Giro, Guerre nere. Guida ai conflitti nell’Africa contemporanea, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2020.

3Mario Giro, op.cit.

4Georges Balandier, La situazione coloniale e altri saggi, Meltemi Editore, Milano, 2022.

Click to listen highlighted text!