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Yamen Manai anteprima. Bell’abisso

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La facilità della violenza: “Prendere la mira è ancora più semplice. Basta fissare l’oggetto del proprio odio e premere il grilletto”.

L’ironia nella disperazione: “Il muro, il muro. Da mesi dicono tutti che il paese sta andando a schiantarsi contro un muro. Ma una sera, al Bar Sport, Tarek il cervellone ha fatto due conti e ha proclamato Se continuiamo di questo passo non c’è da temere per il paese, ma per il muro”.

La sofferenza delle donne: “La verità è che gli uomini di questo paese non sanno rendere felici le donne, e le donne hanno una parte di responsabilità perché subiscono in silenzio”.

I vantaggi della lettura: “Okay, leggere non rende immortali, è vero, ma rende meno coglioni, e questa è già una gran cosa”.

È in libreria Bell’abisso, romanzo di Yamen Manai tradotto dal francese da Valentina Abaterusso (Edizioni E/O 2023, pp. 128, € 13,00).

Yamen Manai è nato nel 1980 a Tunisi, vive a Parigi. Ingegnere, si occupa di nuove tecnologie informatiche. La casa editrice Elyzad ha anche pubblicato i suoi romanzi La marche de l’incertitude (pocket, 2010), La sérénade d’Ibrahim Santos (2011; pocket, 2018) e L’amas ardent (2017), vincitori di numerosi premi letterari. Il romanzo Bell’abisso nel 2022 ha vinto il Prix Orange du livre en Afrique e, nello stesso anno, la decima edizione del Prix de la littérature arabe.

Il protagonista racconta la sua ribellione nei confronti della società oppressiva del suo paese, ribellione connessa al rapporto con il suo cane, Bella, reso difficile dal fatto che in Tunisia i cani, come tutti gli esseri più deboli, sono disprezzati e ripudiati.

La ragione per cui il cane viene disprezzato è che per i musulmani è considerato impuro: “Perché lo vedi tu stesso, si lecca il sedere, è sporco, anzi sudicio!” spiega un sufi al protagonista, il quale prontamente ribatte: “Faccia un giro su un sito porno e vedrà che la gente si lecca il sedere anche peggio dei cani, perché un cane lecca il proprio, gli uomini invece slinguazzano quello degli altri”.

Ma il pregiudizio è tale che i cani vengono spesso abbattuti “affinché la rabbia non si diffonda tra la gente”.

Ma un altro tipo di rabbia cova tra la gente al punto che, quando il protagonista decide di prendere le armi per vendicarsi nei confronti del potere, riceve subito la solidarietà e il sostegno delle persone.

Ci sono le illusioni infrante del dopo rivoluzione: “Ma intanto abbiamo conquistato la democrazia? Proprio un bell’affare! Prima avevamo la peste, ora possiamo scegliere tra la peste e il colera. Prima avevamo quaranta ladroni, ora ne abbiamo quarantamila. E la libertà di espressione? È così, oggi siamo liberi di dire merda alla luce del sole? Merda allora. Merda. E questo quante pance ha riempito? Merda. Quanti posti di lavoro ha creato? Merda”.

Un libro vivo e sanguinante che con uno stile diretto e accattivante racconta la Tunisia dopo la primavera araba, con i suoi pregiudizi, le sue sofferenze e le miserie. Un libro che testimonia la forza della letteratura quando l’autore ha davvero il coraggio di esprimere idee e sentimenti sfidando le convenzioni.

Carlo Tortarolo

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Dottor Bakouche? Sta scherzando? Me le suoni pure come hanno fatto tutti, ma non la chiamerò dottore. Se lo scordi, non lo dirò mai e poi mai, per chi mi ha preso? Le do del lei, ma solo perché ancora non la conosco. Magari, quando la conoscerò meglio, le darò dello stronzo.

Calmarmi? Oh, no no, si sbaglia. Io sono calmissimo. Mi vede con la faccia stravolta ma non sono alterato. È qui per aiutarmi? Come no. Non sa un accidente di me e vuole aiutarmi? Le persone, perfino le più care, mi hanno sempre affossato, quindi, capisce, per me è difficile credere al buon cuore di uno sconosciuto. Cos’è lei, l’avvocato d’ufficio? Strano. Pensavo che gli avvocati stessero in tribunale, non in ufficio. Devo abbassare i toni perché lei è dalla mia parte? Ma cosa ne sa lei, Bakouche? Ha figli lei? Gli vuole bene? Glielo dice? Li abbraccia, li bacia oppure li ama a modo suo come fanno quelli della sua specie?

È lei che fa le domande? D’accordo, intesi. Il mio fascicolo è lì sul tavolo, grosso come la Bibbia.

Ho già detto tutto ai poliziotti, cos’altro vuol sapere? Devo raccontarle come si sono svolti i fatti dal principio? La faccenda è seria? Altro che seria, è la più seria della mia breve vita. Il fardello accusatorio è pesante? Non è mica da stanotte che il fardello è pesante, sa? È da quando ci ho messo piede che questo mondo mi opprime col suo peso infame, sono abituato. Perciò il fardello accusatorio se lo può mettere dove dico io.

No, non sono uno che si morde la lingua, perché non ho nulla da perdere. È da quando sono nato che ho le tasche vuote, tranne quel giorno famoso in cui mio padre mi ha dato venti dinari perché mi andassi a divertire, così ha detto. Tieni, ragazzo, va’ al cinema, era quello che volevi, no? Tieni, comprati anche una crêpe. Io ho guardato la mano tesa, poi incredulo ho alzato gli occhi verso di lui. Aveva una strana dolcezza nello sguardo, nei suoi occhi ogni dolcezza è strana. Mia madre mi ha sussurrato all’orecchio: Avanti, prendili, vedi che ti vuole bene? Allora mi è sorto il dubbio, ho pensato che magari mi ero sbagliato sul suo conto, e ho preso la banconota. Era tutto irreale, come in un sogno strano, tanto che il cavallo di Hayreddin1 ha preso a nitrire e a impennare. Forse voleva avvertirmi, ma sul momento non l’ho capito. Avevo solo paura di svegliarmi senza essere andato al cinema, così mi sono infilato in tasca la banconota e sono corso via. È stata l’unica volta che ho avuto qualcosa in tasca, perciò non mi faccio problemi a dire le cose come stanno.

Eppure quella stessa notte ho sparato a mio padre? Sì, esatto. Se mi sono pentito? No, anzi, se tornassi indietro lo rifarei. E il sindaco? Confermo, sono stato sempre io. Anche il ministro dell’Ambiente, sempre io. E stia pur certo che se mi dessero un fucile e me li schierassero tutti davanti, presidente, ministri e deputati, non ci penserai un secondo a fare fuoco. Li sistemerei a uno a uno, quei figli di puttana.

Se sono consapevole che questi atti, sommati a queste intenzioni, comprometteranno il mio futuro? Bella battuta, Bakouche, se non avessi male dappertutto riderei di gusto. Il mio futuro era compromesso ben prima di tutto questo. Perché? Perché sono nato qui, in questo paese, tra questa gente, tra voi. Per quale motivo trenta giovani del quartiere si sono gettati in mare se avevano un futuro qui? Per quale motivo Tarek il cervellone si è imbarcato con la laurea di Matematica incollata sul petto se aveva un futuro qui? Quante volte ha fatto domanda al ministero per essere assunto? E Ziwen il giardiniere, con il suo diploma di agronomo? Quante volte ha fatto domanda all’ufficio competente per quel progetto di agricoltura biologica? Ripeteva a tutti che l’Europa aveva inviato al governo dei fondi per quelli come lui ma che in tanti anni non aveva visto neppure l’ombra di quei quattrini che gli spettavano di diritto. Anche Moussa il gatto, il meno acculturato ma il più sveglio di tutti, si è consegnato al Grande Mare, anche se detestava l’acqua al punto da non tollerare una goccia di pioggia. Tutti quei ragazzi, che se ne stavano con il culo incollato alle sedie del Bar Sport a sorseggiare tutto il giorno lo stesso cappuccino e ad aspettare il futuro come un autobus che non passa mai, oggi nutrono i pesci con i loro corpi annegati. Allora le confesso che no, non ci ho pensato neanche un secondo, al mio futuro, quando ho sparato a quella gente.

Se ho agito da solo? Sì, non c’era nessun altro. Era una cosa mia, la mia resa dei conti. Chi mi ha incaricato? La mia rabbia, la mia collera, credo. No, non ho giurato fedeltà a nessuno, non appartengo a nessun gruppo terroristico. Non amo nessun tipo di gruppo, che sia terroristico o altro. Come mai? Perché so di che pasta sono fatti, ne ho frequentato uno al liceo, abbastanza a lungo da ritenermi vaccinato. Da allora me ne sto sempre per conto mio con gli auricolari nelle orecchie e non parlo con nessuno.

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