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Laura Forti anteprima. La figlia inutile

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Un abisso in agguato: “Era come se la nonna avesse una ferita coperta da un cerotto, solo che nessuno ci faceva caso. Io invece non riuscivo a distogliere lo sguardo dal cerotto. Cosa sarebbe accaduto a toglierlo? Cosa si nascondeva sotto, quali cicatrici? Forse quell’abisso che sembrava sempre pronto a risucchiare, ad aspirare tutto in un vortice minaccioso, nonostante il clima di festa e di allegria? Annaspavo davanti al mistero, non riuscendo a decifrarlo”.

Una nonna ingombrante: “La nonna considerava le figlie oggetti di sua proprietà e chiedeva loro obbedienza assoluta, cercando di ritrovare la protezione che non aveva ricevuto dai familiari. E anche noi nipoti eravamo le sue bambole umane. A volte avevo l’impressione che venissimo portate a farle visita per movimentarle il pomeriggio, come si consegna un obolo in sacrificio a una divinità esigente e capricciosa. Servivamo da distrazione, al pari di un cagnolino”.

Una nipotina saggia: “Io avevo capito che per non attirare guai o irritazione dovevo essere una brava nipotina ebrea, una degna discendente che potesse ammettere con orgoglio nel suo albero genealogico. Facevo quello che mi riusciva meglio, ciò che avevo già sperimentato con mia madre: mi offrivo come contenitore vuoto, ascoltavo la memoria cercando di trovarci un senso. Travasavo in me il passato e le restituivo ricordi. Essendo piuttosto intuitiva andavo a scovare i punti nevralgici, i sentimenti proibiti di cui nessuno voleva occuparsi”.

Dal 19 aprile è in libreria La figlia inutile di Laura Forti, (Guanda 2024, pp. 280, € 19).

Laura Forti scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e autobiografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021, e con Guanda Una casa in fiamme.

La figlia inutile di Laura Forti è un affresco appassionante, che intreccia le vicende di una famiglia con quelle dell’Italia d’inizio secolo. In questa opera, i destini individuali si confrontano con la storia e la memoria nazionale, offrendo al lettore una visione profonda e coinvolgente.

L’autrice ci presenta il ritratto di una ragazza ebrea, anticonformista e ribelle.

Attraverso il personaggio di questa giovane donna, il romanzo esplora i rivolgimenti del Novecento, mettendo in luce le sfide e le lotte personali che si intrecciano con gli eventi storici.

È un racconto vivo che mira a catturare l’attenzione del lettore attraverso pagine di narrazione avvincente e profondità emotiva.

Carlo Tortarolo

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Io sono quella che spazza le foglie sopra una tomba vuota.

Un rampicante dispettoso a seconda delle stagioni produce una fitta pioggia di ramoscelli e inflorescenze, un disordine vegetale che mi ostino a combattere.

La tomba che percepisco vuota è di mia nonna Elena. Si trova lungo il muro del cimitero ebraico, in una zona destinata ai suicidi o ai casi ambigui come il suo: quelli che hanno voluto essere cremati. I precetti religiosi sono contrari a questa procedura; affermano con certezza che il giorno della resurrezione torneremo ad abitare i nostri corpi e ci ritroveremo tutti a far baldoria a Gerusalemme. Evidentemente lei non condivideva quest’ansia messianica.

Sotto la lapide non ci sono i suoi resti, c’è un’urna con le ceneri. A dire il vero non dovevano nemmeno stare lì, era previsto un lungo viaggio al termine del quale avrebbero incontrato le acque fredde della Mosella in Francia, il luogo della sua nascita. Poi a mia madre era sembrata una complicazione, un capriccio della defunta, costoso e soprattutto inutile. Tanto i morti non vedono e non sentono, figuriamoci avere desideri.

D’altra parte, l’idea di un vaso funebre solitario, senza una lapide con inciso il nome dove poggiare perlomeno un sasso, pareva cosa brutta. Per non parlare di un’altra questione che sarebbe sfociata in un vero e proprio conflitto affettivo familiare: chi avrebbe avuto l’onere e l’onore di tenere il sacro reliquiario in salotto?

Così ecco trovato il compromesso risolutivo, il muro dei suicidi. Si è fatta una cerimonia posticcia, giusto una preghiera carbonara per un numero esiguo di presenti, recitata da un rabbino comprensivo, ed è stata chiusa lì, nel vero senso della parola.

Eppure non sono sicura che la nonna riposi davvero sotto la lastra di marmo su cui si accumulano le foglie dispettose che io continuo pazientemente a eliminare, stagione dopo stagione.

Ho la stessa sensazione di quando era viva: che non ci sia veramente. Che ci abbia ingannati. Che sotto si apra solo il vuoto, una voragine, un abisso.

Lei era quell’abisso.

L’abbiamo mai conosciuta? È mai esistita?

Con Elena ho avuto un rapporto forte, intensificato nell’adolescenza e nell’età matura quando sentivo il bisogno di avere accanto figure femminili di riferimento per confrontarmi, dato che mi interrogavo su che tipo di persona, di essere umano volessi diventare.

Era nata a Nancy. Allora era francese? No, i genitori, i Dresner, erano scappati dalla Russia Bianca, in seguito divenuta Polonia. Sì, e poi suo padre, venuto in Italia, era di nuovo fuggito in Cile nel ’39 a causa delle leggi razziali portandosi dietro la famiglia al completo. Lei esclusa.

E allora perché mi parlava in spagnolo per leggermi una poesia del bisnonno Giulio? Mi cantava anche in yiddish la ninna nanna Schluf mein kind cullandosi sulla sedia a dondolo. Quando non discuteva in ebraico con i vari Nurit, Orna, Uri, Wendy, gli ospiti israeliani e americani a cui affittava una stanza del suo appartamento e dei quali ero follemente gelosa.

In questo girotondo di suoni e di accenti l’origine fini- va per perdersi in una caotica, esuberante schizofrenia. Com’era possibile fare un gioco di rispecchiamento con lei, forgiare un’identità, se neppure Elena ne aveva una precisa? Non ero ancora in grado di comprendere la ricchezza di quelle molteplici radici che affondavano in tradizioni diverse, ero una bambina conservatrice a cui piaceva l’ordine, la coerenza.

La nonna invece era tutte quelle cose e nessuna.

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