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Elémire Zolla. Minuetto all’inferno

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Due sono le cose che possono indurmi a comprare un libro che proprio non conosco: il parere favorevole della mia libraia di fiducia e il parere sfavorevole di Vittorini.

Elio Vittorini, che a lungo lavorò nella casa editrice Einaudi, prese diverse cantonate.

È noto, per esempio, che avesse sconsigliato al proprio editore di pubblicare Il dottor Živago, Il Signore degli anelli, e almeno un altro paio di romanzi che ebbero, invece, una certa fortuna editoriale.

Vittorini aveva una lente neorealista con la quale leggeva ogni manoscritto e, con un aggeggio tanto miope, si accinse alla lettura di Minuetto all’inferno, di un giovane Elémire Zolla.

Siamo nella metà degli anni cinquanta e “Lo Zolla” come lo definisce Vittorini nelle sue dure corrispondenze editoriali con Carlo Fruttero, riversa in fin di vita per una malattia polmonare. Non ha ancora pubblicato nulla e, a chi gli chiedeva di cosa si occupasse la sua risposta era “il principe”.

Minuetto all’inferno è un romanzo molto particolare, capace di essere insieme avanti, molto avanti, rispetto al suo tempo e, indietro.

A metà tra Il Maestro e Margherita di Bulgakov e Uomo vivo di Chesterton, Minuetto all’inferno ha uno stile ricercato, barocco, attraverso il quale, il giovane Zolla, intendeva dimostrare la propria elevazione culturale. In questo senso, Vittorini non aveva torto nel definirlo “arcaico” (ma aveva decisamente torto quando aggiungeva gli aggettivi “cervellotico” “presuntuoso” “brutto” e “inattuale”) perché, da un punto di vista della struttura, della costruzione dei personaggi, questo romanzo è avanti di almeno vent’anni, i capitoli dove entrano in scena Satana e Dio, sembrano scene di Constantine o di Supernatural ed è una cosa assolutamente notevole per essere un romanzo pubblicato nel 1956.

Non a caso, l’editore Cliquot lo ripropone nel 2024, trovando ancora nuovi ed entusiasti lettori. Inoltre, questo testo dalla struttura tanto complessa e post- moderna, dove il racconto classico di narrativa si trova a convivere con partiture teatrali, dove si passa dal passato al presente e dal mondo dei morti a quello dei vivi, venne premiato con il Premio Strega opera prima.

Minuetto all’inferno tratta, volendo ridurre ai minimi termini un’opera tanto complessa, la storia di Lotario e di Giulia.

Nei primi capitoli seguiamo la loro parabola esistenziale, fin dalla nascita, in maniera separata. Molto diversi, i due ragazzi dimostrano di covare una certa crudeltà che forse è più un distacco dalle cose, una lucidità maggiore, con cui entrambi osservano e giudicano quanto gli accade.

Li osserviamo mentre crescono, si innamorano e procedono negli studi con un distacco aristocratico. Persino la guerra, il Fascismo, soltanto li sfiora. Cresciuti in famiglie agiate, Giulia e Lotario si dilettano di pittura e di scultura, ma la loro opera più grande è l’esercizio del disprezzo verso chiunque ruoti loro attorno. Disprezzando le convenzioni sociali e tutto ciò che gli appare banale, Giulia e Lotario si incontreranno e diverranno amanti, finendo con il recitare, a loro volta, una parte di cui diventeranno più consapevoli quando, stanchi di vederli così poco sottomessi, Dio e il Demonio si alleano per distruggerli.

Minuetto all’inferno è anche il ritratto grottesco di una Torino cupa, notturna, abitata da pittori viziosi, donne ambigue e nevrotiche, avventurieri in cerca di dote, dandy di periferia, anarchici e vecchie fattucchiere.

Per questi motivi si tratta di un libro che mi sento di consigliare fortemente a tutti quelli che, troppo spesso e superficialmente, leggono letteratura straniera dimenticando quanto la nostra tradizione abbia da offrire.

Pierangelo Consoli

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Elémire Zolla, Minuetto all’inferno, Cliquot 2024, Pp.290, Euro 20

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