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Ayad Akhtar. Elegie per la patria

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Ayad Akhtar è scrittore di razza, la sua prosa scorre fluidamente, impone il suo stigma narrativo con garbo il cui senso, dopo ogni capitolo, risulta lampante di uno sconforto, di uno spiazzamento che si fa via via più decisivo: ossia la condizione di essere nati negli Stati Uniti da una famiglia pakistana, il padre luminare cardiologo, la madre moderatamente di fede musulmana. Ayad descrive la propria condizione nell’America dopo l’11 Settembre, il clima di intolleranza crescente nei confronti delle minoranze razziali tra le quali la sua, il proprio rapporto con l’establishment newyorkese, con la prosperità, il successo ottenuto come commediografo, un investimento speculativo che lo farà diventare ricco. Nonostante questa affermazione materiale Ayad s’interroga su cosa sia diventata la società americana, sullo spudorato dominio dei pochi che ce l’hanno fatta, il supposto sbandierato a iosa del mito del ‘self made man’, il miraggio del consumismo fine a se stesso, giungendo sino ai giorni dell’elezione di Donald Trump alla Presidenza, lo stesso Trump che il padre ha avuto in cura e di cui il padre è un ammiratore.

Il Sogno americano che eppure è alla sua portata, con un premio Pulitzer aggiudicato, con un investimento speculativo che lo affrancherà da ogni ansia, diventa via via un aprire gli occhi su in cosa realmente consiste questo sogno: un incubo che privilegia pochi, che umilia e mortifica la vita di tanti, un atroce razzismo mai espugnato, una tendenza a schiacciare ogni minoranza razziale, uno sprofondare fatale ed inarrestabile verso l’oligarchia, un dominio globale spudorato imposto con usura e potenza militare. In questo contesto Ayad cerca di raccapezzarsi come può, non vuole rinunciare al suo essere americano, non può non ammettere che l’America gli ha offerto la chance di essere uno scrittore di successo, al contempo non può negare l’insulso arretramento etico in atto, l’ignoranza crescente e direi ormai endemica dei più, la manipolazione di un sistema che si regge sulla menzogna, sulla prevaricazione di una elite senza scrupoli che ipocritamente martella su un patriottismo di maniera, sul consumismo come il solo valore residuato. Al contempo questo è un Libro da leggere perché fa affiorare con chiarezza l’attuale dilemma in tema di immigrazione, di libertà civili, sull’uso smodato della violenza istituzionale e non. Un testo coraggioso ed intimo sul valore dell’identità, sulla discrasia di essere americano e mussulmano in un mondo polarizzato, ma anche un excursus sulla crisi economica e sociale e sulle ragioni della vittoria elettorale di Trump. Assolutamente da leggere per comprendere cosa sia diventata l’America con gli occhi di un americano che non demorde nel dire le cose come stanno. Un pugno allo stomaco a tutto tondo contro chi ancora descrive gli Stati Uniti come il Tempio delle Libertà e della Democrazia. 

Marcello Chinca

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Elegie per la patria di Ayad Akhtar da la Nave di Teseo 2021.

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