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Will e Ariel Durant anteprima. Le lezioni della storia

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Un sagace e ironico auspicio: “Dal punto di vista politico, Roma aveva toccato il fondo quando arrivò Cesare (60 a.C.); tuttavia non soccombette completamente ai barbari fino al 465 d.C. Che anche la nostra caduta possa durare tanto quanto quella dell’Impero romano!”

L’essenza della guerra: “Siamo vogliosi di possesso, avidi e combattivi perché il sangue ci ricorda i millenni in cui i nostri antenati hanno dovuto cacciare, combattere e uccidere per sopravvivere, e hanno dovuto riempirsi lo stomaco fino alla massima capacità per paura di non riuscire a catturare tanto presto un altro banchetto. La guerra è il modo di nutrirsi di una nazione”.

Uguaglianza e libertà: “La natura sorride dell’unione tra libertà e uguaglianza delle nostre utopie. Perché la libertà e l’uguaglianza sono nemiche giurate in eterno, e quando una prevale l’altra muore. Se si lasciano liberi gli uomini, le loro disuguaglianze naturali si moltiplicheranno quasi geometricamente”.

È ora disponibile in libreria, per la prima volta in Italia e in edizione numerata da 1 a 1000, “Le lezioni della Storia” di Will e Ariel Durant, tradotto da Katia Bagnoli (Edizioni Settecolori, 2023, pp. 140, € 16) con introduzione di Ferruccio de Bortoli.

I coniugi Will e Ariel Durant, insigniti del premio Pulitzer nel 1968 per la loro monumentale opera “Storia della Civiltà” in undici volumi, sono stati figure di spicco nella scrittura e saggistica americana.

Questo libro denso di Will e Ariel Durant rappresenta un avvincente viaggio attraverso il passato, esplorando le varie sfaccettature dell’esperienza umana nel corso dei millenni. Una sintesi delle tendenze e degli insegnamenti derivati da cinquemila anni di storia mondiale viene esaminata sotto dodici diverse angolazioni: geografia, biologia, razza, carattere, moralità, religione, economia, socialismo, governo, guerra, crescita e declino, e progresso.

Un’analisi geologica in metafora: “Per l’occhio geologico tutta la superficie della Terra è una forma fluida e l’uomo si muove su di essa con la stessa incertezza con cui Pietro camminò sulle acque verso Cristo”.

Lo sviluppo della società segue lo sviluppo delle capacità dei suoi membri: “Una società in cui tutte le capacità potenziali possono svilupparsi e funzionare avrà un vantaggio nella competizione tra gruppi per la sopravvivenza”.

Dall’analisi delle diverse esperienze storiche emerge un monito: “Se la nostra economia della libertà non riuscirà a distribuire la ricchezza con la stessa abilità con cui l’ha creata, la strada della dittatura sarà aperta a chiunque possa promettere a tutti in maniera persuasiva la sicurezza; e un governo marziale, con qualsiasi slogan affascinante si presenti, divorerà il mondo democratico”.

La nostra civiltà è cultura da trasmettere: “Se un uomo è fortunato, prima di morire raccoglierà quanto più gli è possibile del suo patrimonio di civiltà e lo trasmetterà ai figli”.

Mettendo a confronto vite esemplari, idee e risultati con i cicli di conflitti e conquiste, i Durant rivelano i motivi dominanti dell’agire umano nella Storia e indagano il significato della nostra esistenza nel mondo.

Carlo Tortarolo

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Quando i suoi studi si avviano alla conclusione, lo storico è messo davanti a una sfida. A cosa sono serviti i tuoi studi? Nel lavoro hai trovato solo il divertimento di raccontare l’ascesa e la caduta di nazioni e idee, e di narrare ancora una volta «tristi storie della morte dei re»? Hai imparato più cose sulla natura umana di quante ne possa conoscere l’uomo della strada senza aver aperto un solo libro? Hai tratto dalla storia qualche illuminazione sulla nostra condizione attuale, qualche orientamento per i nostri giudizi e le nostre politiche, qualche difesa contro i rifiuti della sorpresa o le vicissitudini del cambiamento? Hai trovato, nella sequenza degli eventi passati, ricorsi così regolari da poter prevedere le azioni future dell’umanità o il destino degli stati? È possibile, in fin dei conti, che «la storia non abbia senso», che non ci insegni nulla, e che l’immenso passato sia stato solo la sfinente prova degli errori che il futuro è destinato a commettere su un palcoscenico e una scala più grandi?

A volte ci sentiamo così, e una moltitudine di dubbi prende d’assalto la nostra impresa. Per cominciare, sappiamo davvero cosa è stato il passato, cosa è realmente accaduto, o la storia è «una favola» non del tutto condivisa? La nostra conoscenza di qualsiasi evento passato è sempre incompleta, probabilmente imprecisa, offuscata da testimonianze ambivalenti e storiografi di parte, e forse distorta dalla nostra stessa partigianeria patriottica o religiosa. «La maggior parte della storia è frutto di congetture, per il resto è pregiudizio». Anche lo storico che pensa di essere al di sopra di ogni parzialità verso la sua nazione, razza, credo o classe lascia trapelare, attraverso la scelta dei materiali e le sfumature degli aggettivi, le sue segrete predilezioni. «Lo storico semplifica sempre troppo e seleziona frettolosamente una minoranza gestibile di fatti e di volti da una folla di anime e di eventi la cui complessa moltitudine non può mai abbracciare o comprendere del tutto». E le conclusioni tratte dal passato che applichiamo al futuro sono rese più pericolose che mai dall’accelerazione del cambiamento. Nel 1909 Charles Péguy pensava che «il mondo è cambiato meno dai tempi di Gesù Cristo che negli ultimi trent’anni»; e forse oggi qualche giovane dottore in fisica aggiungerebbe che la sua scienza è cambiata più dal 1909 che in tutto il tempo precedente. Ogni anno – a volte, durante le guerre, ogni mese – una nuova invenzione, un nuovo metodo o una nuova situazione impongono un rinnovamento degli atteggiamenti e delle idee. Per di più, nel comportamento dei metalli e degli uomini sembra intervenire un elemento di casualità, forse di libertà. Non siamo più sicuri che in futuro gli atomi, e tantomeno gli organismi, reagiranno come pensiamo abbiano reagito in passato. Gli elettroni, come il Dio di William Cowper, si muovono in modi misteriosi per compiere le loro meraviglie, e qualche stranezza del carattere o delle circostanze può sconvolgere l’equilibrio di intere nazioni, come quando Alessandro si ubriacò fino a morirne, lasciando che il suo nuovo impero andasse in frantumi (323 a.C.), o come quando l’ascesa al trono di uno zar infatuato delle costumanze prussiane salvò dal disastro Federico il Grande (1762).

Ovviamente la storiografia non può essere una scienza. Può essere solo un’opera dell’ingegno, un’arte e una filosofia: un’opera dell’ingegno per scovare i fatti, un’arte per stabilire un ordine significativo nel caos dei materiali, una filosofia per cercare la giusta prospettiva e l’illuminazione. «Il presente non è che il passato giunto fino a noi attraverso l’azione, e il passato non è che il presente superato dalla nostra comprensione», o almeno così crediamo e speriamo. Nella filosofia cerchiamo di vedere la parte alla luce del tutto; nella «filosofia della storia» cerchiamo di vedere questo momento alla luce del passato. Sappiamo che in entrambi i casi si tratta di un ideale irraggiungibile: la prospettiva totale è un’illusione ottica. Non conosciamo tutta la storia dell’uomo; probabilmente ci sono state molte civiltà prima di quella sumera o egizia; abbiamo appena iniziato a scavare! Dobbiamo operare con una conoscenza parziale e accontentarci provvisoriamente delle probabilità; nella storia, come nella scienza e nella politica, la relatività la fa da padrona e tutte le formule devono essere messe in dubbio. «La storia sorride di tutti i tentativi che facciamo per costringere il suo flusso in modelli teorici o in solchi logici, si fa beffe delle nostre generalizzazioni, infrange tutte le nostre regole. La storia è barocca». Forse, entro questi limiti, possiamo imparare dalla storia quanto basta per sopportare con pazienza la realtà e rispettare ognuno le illusioni dell’altro.

Poiché l’uomo è un attimo nel tempo astronomico, un ospite transitorio della Terra, una spora della sua specie, un rampollo della sua razza, un composto di corpo, carattere e mente, un membro di una famiglia e di una comunità, un credente o non credente in una fede, una unità di un’economia, forse un cittadino di uno stato o un soldato di un esercito, possiamo chiederci sotto le corrispondenti voci – astronomia, geologia, geografia, biologia, etnologia, psicologia, etica, religione, economia, politica e guerra – che cosa la storia abbia da dire sulla natura, la condotta e le prospettive dell’uomo. È un’impresa precaria, e solo un pazzo cercherebbe di comprimere cento secoli in cento pagine di conclusioni azzardate. Procediamo.

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